La differenza di essere donna

Ricerca e insegnamento della storia

Zona: Temi

I due infiniti: la materia prima e Dio, María-Milagros Rivera Garretas.
    Documenti:
  • Buona dama, tanto mi siete cara. Trovatora che chiamiamo Anonima 2.
  • La Città delle Dame. Cristina de Pizan.
  • Admiración de las obras de Dios. Teresa de Cartagena.

Buona dama, tanto mi siete caraflechaTrovatora che chiamiamo Anonima 2.

Brano de la tensone
Edizioni

Angelica Rieger, Trobairitz. Der Beitrag der Frau in der altokzitanischen höfischen Lyrik. Gesamtkorpus . Tübingen, Max Niemeyer, 1981.

Marirì Martinengo, Le trovatore. Poetesse dell’amor cortese (Testi provenzali con traduzione a fronte) . Traduzione di Pia Silvestri, Milano, Quaderni di Via Dogana, 1996.

Regesto
La trovatora o trobairitz che chiamiamo Anonima 2 perché non si è conservato il suo nome, racconta, in forma di dialogo tra una dama sposata e una ragazza nubile, una crisi in una storia d’amore tra la dama e un cavaliere, che è stato da lei abbandonato a causa del suo comportamento offensivo. La ragazza intercede per lui.
Traduzione

“Parliamo piano, signora, che nessuno ci senta:
ora dite che ha sbagliato nei vostri confronti,
e che per compiacervi si arrenda
il suo umile cuore contro il vostro orgoglioso.
Voglio che mi diciate, signora, in qual modo
qpotrete far sì che non ve ne prenda pietà,
ché mille sospiri angosciosi emette al giorno;
per uno solo non vi degnate di perdonarlo.

Se vuole che gli renda il mio amore, madamigella,
ben è necessario che sia cortese e prode,
sincero e umile, che con nessuno entri in contesa,
e che sia amabile verso tutti;
ché non mi piace un uomo malvagio o orgoglioso,
a causa del quale il mio pregio decada o diminuisca,
ma sincero e fedele, discreto e innamorato:
se vuole che gli conceda mercé, che mi ascolti.”

Trascrizione

“Süau parlem, domna, qu’om no.us entenda,
ara digatz, que forfaitz es vas vos,
mais que per far vostres plazers se renda,
son cor umil contra.l vostr’ ergulhos.
Vuelh que.m digatz, domna, per cals razos
poiretz estar que merces non vo’n prenda,
que mil sospirs ne fa.l jorn angoissos,
don per un sol no.l denhatz far esmenda.

Si m’amor vol, na donzela, que renda,
ben li er obs que sia gais e pros,
francs et umils, qu’ab nulh om no.s contenda
e a cascun sia de bel respos;
qu’a me non tanh om fel ni ergulhos
per que mon pretz dechaja ni dissenda,
mas francs e fis, celans et amoros,
s’el vol que.l don lezer que mi entenda.”

La Città delle DameflechaCristina de Pizan.

Brano
Edizioni

Ci sono due edizioni critiche della Città delle Dame :

Monica Lange, Livre de la cité des dames: Kritische Text-edition auf Grund der sieben überlieferten “manuscrits originaux” des Textes , tesi di dottorato, Università di Amburgo, 1974.

Maureen C. Curnow, The Livre de la Cité des Dames by Christine de Pisan: A Critical Edition , 2 vols., tesi di dottorato, Vanderbildt University, 1975, (basata sul manoscritto della Bibliothèque Nationale de Paris, ms. fr. 607, il più antico, datato 1407), [“Dissertation Abstracts International”, 36 (1975-1976) 4536-4537ª].

Si conservano molti manoscritti di questa opera (circa 25); ce n’è uno autografo, rivisto da Cristina verso il 1410, che appartenne a Elisabetta di Baviera (Londra, British Library, ms. Harley 4431).

Traduzione

Christine de Pizan, La Città delle Dame , a cura di Patrizia Caraffi, Edizione di Earl Jeffrey Richards, Milano-Trento, Luini, 1997.

Regesto

Christine de Pizan spiega come una sera, stanca di studiare, si mise a leggere un libro che le avevano prestato, pensando che l’avrebbe distratta. Era un libro che criticava le donne. Lo lascia perché sua madre la chiama per la cena; il giorno dopo, riflettendo su questo e molti altri libri misogini, prende coscienza del fatto che, leggendoli, riconosce più autorità a tali scrittori che alla sua esperienza femminile.

Traduzione

Un giorno mentre ero seduta nella mia stanza, come sempre concentrata nello studio delle lettere, attività consueta della mia vita, e con intorno a me numerosi volumi di differenti materie, a quell’ora ormai stanca per aver studiato a lungo il difficile pensiero di diversi autori, distolsi lo sguardo dal mio libro, pensando per una volta di tralasciare le questioni sottili per dilettarmi nella lettura di qualche poesia. Con questa intenzione cercavo intorno a me qualche opera breve, e per caso mi capitò tra le mani uno strano libro, che non era mio, lasciato lì da qualcuno con altri volumi, come in prestito. Cominciai a sfogliarlo e vidi dall’intestazione che parlava di un tale Mateolo. Allora sorrisi: pur non avendolo mai visto prima, avevo spesso sentito dire che, tra gli altri libri, questo parlava bene delle donne, e pensai che poteva divertirmi leggerlo. Ma non lo guardai a lungo: mia madre mi venne a chiamare per la cena, che era già l’ora, quindi abbandonai la lettura, proponendomi di riprenderla l’indomani. Il mattino seguente, di nuovo seduta nel mio studio, come al solito, non dimenticai il proposito di dare un’occhiata al libro di Mateolo: dunque cominciai a leggere e andai avanti per un po’. Ma, poiché il soggetto trattato poteva risultare gradevole solo ai maldicenti, e non dava alcun contributo al perfezionamento morale e alla virù e, considerata anche la grossolanità del linguaggio e dei temi trattati, lo sfogliai qua e là fino alla fine, poi lo lasciai perdere, per studi più elevati e di maggiore utilità. Ma l’aver visto quel libro, per quanto assolutamente non autorevole, suscitò in me una riflessione che mi turbò profondamente, sui motivi e le cause per cui tanti uomini diversi tra loro per condizione, i chierici come gli altri, erano stati ed erano ancora così propensi a dire e a scrivere nei loro trattati tante diavolerie e maldicenze sulle donne e la loro condizione. E non solo uno o due, come questo Mateolo, che non gode di buona reputazione e che parla in maniera truffaldina, ma più in generale in ogni trattato filosofi e poeti, predicatori e la lista sarebbe lunga, sembrano tutti parlare con la stessa bocca, tutti d’accordo nella medesima conclusione, che il comportamento delle donne è incline a ogni tipo di vizio. Profondamente assorta in ciò io, che sono nata donna, presi a esaminare me stessa e la mia condotta, e allo stesso modo pensavo alle altre donne che avevo frequentato, tanto le numerose principesse e le gran dame, come le donne di media e bassa condizione, che avevano voluto graziosamente confidarmi le loro vicende personali e i loro intimi pensieri. Volevo capire in coscienza e in modo imparziale se poteva essere vero ciò che tanti uomini illustri, gli uni come gli altri, testimoniavano. Ma, nonostante quello di cui potevo essere a conoscenza, e per quanto a lungo e profondamente esaminassi la questione, non riuscivo a riconoscere né ad ammettere il fondamento di questi giudizi contro la natura e il comportamento femminile. Continuai tuttavia a pensare male delle donne: ritenevo che sarebbe stato troppo grave che uomini così famosi, tanti importanti intellettuali di così grande intelligenza, così sapienti in tutto, come sembra che fossero quelli, avessero scritto delle menzogne e in tanti libri, che stentavo a trovare un’opera morale, indipendentemente dall’autore, senza incappare, prima di terminare la lettura, in qualche capitolo o chisa di biasimo alle donne. Questa unica e semplice ragione mi faceva concludere che, benché il mio intelletto nella sua semplicità e ignoranza non sapesse riconoscere i grandi difetti miei come delle altre donne, doveva essere veramente così. Era in questo modo che mi affidavo più ai giudizi altrui che a ciò che io sentivo e sapevo nel mio essere donna.

Admiración de las obras de DiosflechaTeresa de Cartagena.

Brano
Edizione
Teresa de Cartagena, Arboleda de los enfermos y Admiraçión operum Dey , ed. de Lewis J. Hutton, Madrid 1967. [Anejos del “Boletín de la Real Academia Española” XVI].
Regesto
Teresa de Cartagena ha appena pubblicato il libro Arboleda de los enfermos (Albereto degli infermi). Alcuni e alcune tra gli umanisti del suo ambiente l’accusano di plagio dicendo, con finta ammirazione, che una donna non può aver scritto un’opera così. Lei si difende scrivendo, su richiesta e preghiera della sua amica Juana de Mendoza, un altro libro, intitolato Admiración de las obras de Dios , in cui argomenta che alle donne è stato concesso, per grazia, il proprio divino, e agli uomini, il proprio. Questo libro è il primo conosciuto in lingua castigliana scritto da una donna che contribuisce alla Querelle des femmes .
Traduzione

“Introduzione

Molte volte mi viene dato a intendere, virtuosa signora, che alcuni dei prudenti maschi e, anche, femmine discrete, si meravigliano o si sono meravigliati di un trattato che, con la grazia divina che guidava il mio debole intelletto femminile, la mia mano scrisse. E dato che è un’opera piccola, di poca sostanza, sono meravigliata. E non si creda che i prudenti maschi siano inclinati a meravigliarsi per così poca cosa; ma, se il loro meravigliarsi è vero, par bene che il mio insulto non sia dubbio, dato che non si manifesta questa ammirazione per il merito della scrittura ma per il difetto della sua autrice o compositrice; come vediamo per esperienza quando una persona di semplice e rozzo intelletto dice una parola che ci sembra in qualcosa già sentita: ce ne meravigliamo, non perché il suo detto sia degno di ammirazione ma perché l’essere stesso di tale persona è tanto censurabile e basso e tenuto in così poca stima che non ci aspettiamo da lei niente di buono. E, perciò, quando succede, per la misericordia di Dio, che tali persone semplici e rozze dicano o facciano qualcosa che, pur non essendo del tutto buono, è poco comune, ci meravigliamo molto per il rapporto che abbiamo detto. E per lo stesso rapporto credo certamente che si sono meravigliati i prudenti maschi del trattato che feci: non perché in esso siano contenute cose molto buone o degne di ammirazione, ma perché il mio stesso essere e il giusto merito uniti all’avversa fortuna e le crescenti malattie gridano contro di me e incitano tutti a sorprendersi dicendo: “Come può esserci qualche bene in una persona in cui risiedono tanti mali?” E da questo è seguito che l’opera femminile e di poca sostanza, che è degna di riprovazione tra gli uomini comuni, con molta ragione sarebbe fatta degna di ammirazione nell’approvazione degli uomini singolari e grandi, dato che il prudente non si meraviglia senza causa quando vede che lo sciocco sa parlare. E dica pure chi vuole che questa ammirazione è elogio, a me pare insulto; e, per mia volontà, preferisco che mi si offrano insulti ingiuriosi che elogi vani, dato che non mi può far danno l’ingiuria né far bene l’elogio vano. Perché io non voglio usurpare la gloria altrui né desidero sfuggire allo stesso insulto. Però c’è un’altra cosa a cui non devo consentire, perché la verità non lo consente: a quanto pare, del trattato menzionato non solo si meravigliano i prudenti, ma perfino alcuni non possono credere che sia vero che io abbia fatto tanto bene; in me c’è meno di quanto si presuppone, ma nella misericordia di Dio si trovano beni più grandi. E poiché mi dicono, virtuosa signora, che del citato volume di carte in bozza hanno avuto notizia il signor Gómez Manrique e voi, non so se il dubbio che circonda il trattato si è presentato alla vostra discrezione. E, benché la buona opera, che davanti al soggetto della sovrana verità è veritiera e certa, non risulti molto danneggiata se è considerata dubbia -come questa- nell’accoglienza e nel giudizio degli uomini umani, ciò può distruggere e distrugge la sostanza della scrittura; e perfino pare togliere di ben molto il beneficio e la grazia che Dio mi ha fatto. Per tutto questo, nell’onore e la gloria di questo sovrano e liberale Signore, della cui misericordia è piena la terra, io, che sono un piccolo pezzo di terra, oso presentare alla vostra grande discrezione questo che alla mia, piccola e debole, si offre per ora.”

Trascrizione

“Introduçión

Muchas vezes me es hecho entender, virtuosa señora, que algunos de los prudentes varones e asy mesmo henbras discretas se maravillan o han maravillado de vn tratado que, la graçia divina administrando mi flaco mugeril entendimiento, mi mano escriuió. E como sea vna obra pequeña, de poca sustançia, estoy maravillada. E no se crea que los prudentes varones se ynclinasen a quererse marauillar de tan poca cosa, p[er]o sy su marauillar es çierto, bien paresçe que mi denuesto non es dubdoso, ca manifiesto no se faze esta admiraçión por meritoria de la escritura, mas por defecto de la abtora o conponedora della, como vemos por esperençia quando alguna persona de synple e rudo entendimiento dize alguna palabra que nos paresca algund tanto sentida: maravillámonos dello(s), no porque su dicho sea digno de admiraçión mas porque el mismo ser de aquella persona es asy reprovado e baxo e tenido en tal estima que no esperamos della cosa que buena sea. E por esto quando acaesçe por la misericordia de Dios que tales personas sinples e r[u]d[a]s dize[n] o haze[n] alguna(s) cosa(s), avnque no sea del todo buena, (e) sy no comunal, maravillámonos mucho por el respecto ya dicho. E por el mesmo respecto creo çiertamente que se ayan maravillado los prudentes varones del tractado que yo hize, y no porque en él se contenga cosa muy buena ni digna de admiraçión, mas porque mi propio ser e justo meresçimiento con la adversa fortuna e acresçentadas pasyones dan bozes contra mí e llaman a todos que se maravillen diziendo: ‘¿Cómo en persona que tantos males asyentan puede aver algund bien?’ E de aquí se ha seguido que la obra mugeril e de poca sustançia que dina [es] de reprehensyón entre los onbres comunes, (e) con mucha razón sería fecha dina de admiraçión en el acatamiento de los singulares e grandes omes, ca no syn causa se maravilla el prudente quando vehe que el nesçio sabe hablar. E diga quien quisyere que esta ya dicha admiraçión es loor, que a mí denuesto me paresçe(r) e, por la mi voluntad, antes se me ofrescan injuriosos denuestos me paresçe que no vanos loores; ca ni me puede dañar la injuria nin aprovechar el vano loor. Asy que yo no quiero vsurpar la gloria ajena ni deseo huyr del propio denuesto. Pero ay otra cosa que [no] devo consyntir, pues la verdad non la consyente, ca paresçe ser no solamente se maravillan los prudentes del tractado ya dicho, mas avn algunos no pueden creer que yo hisyese tanto bien ser verdad: que en mí menos es de lo que se presume, pero en la misericordia de Dios mayores bienes se hallan. E porque me dizen, virtuosa señora, que el ya dicho bolumen de papeles bor[r]ados aya venido a la noticia del señor Gómez Manrique e vuestra, no sé sy la dubda, a bueltas del tractado, se presentó a vuestra discreçión. E como quier que la buena obra que antel subjeto de la soberana Verdad es verdadera e çierta, non enpeçe mucho si nel acatamiento e juizio de los onbres vmanos es avida por dubdosa, como ésta, puede estragar e estraga la sustançia de la escritura, e avn paresçe evacuar muy mucho el benefiçio e graçia que Dios me hizo. Por ende, a onor y gloria deste soberano e liberal Señor de cuya misericordia es llena la tierra, e yo, que soy un pequeño pedaço de tierra, atréuome presentar a vuestra grand discreçión esto que a la mía pequeña e flaca por agora se ofresçe.”

Temi: I due infiniti: la materia prima e Dio

Autrici

María-Milagros Rivera Garretas
María-Milagros Rivera Garretas

María-Milagros Rivera Garretas è nata a Bilbao nel 1947, sotto il segno del Sagittario. Ha una figlia nata a Barcellona nel 1975. È cattedratica di Storia Medievale all’Università di Barcellona, dove ha fondato con altre la rivista e il Centro di ricerca e studi delle donne Duoda, da lei diretti dal 1991 al 2001. Ha anche contribuito a fondare, nel 1991, la Llibreria Pròleg, la libreria delle donne di Barcellona, e nel 2002 la Fondazione Entredós di Madrid.

Ha scritto: El priorato, la encomienda y la villa de Uclés en la Edad Media (1174-1310). Formación de un señorío de la Orden de Santiago (Madrid, CSIC, 1985); Textos y espacios de mujeres. Europa, siglos IV-XV (Barcellona, Icaria, 1990 e 1995; trad. tedesca, di Barbara Hinger, Orte und Worte von Fragüen, Vienna, Milena, 1994 e Monaco, Deutscher Taschenbuch Verlag, 1997); Nombrar el mundo en femenino. Pensamiento de las mujeres y teoría feminista (Barcellona, Icaria, 2003, 3ª ed.; trad. italiana di Emma Scaramuzza, Nominare il mondo al femminile, Roma, Editori Riuniti, 1998); El cuerpo indispensable. Significados del cuerpo de mujer (Madrid, horas y HORAS, 1996 e 2001); El fraude de la igualdad (Barcellona, Planeta, 1997 e Buenos Aires, Librería de Mujeres, 2002); e Mujeres en relación. Feminismo 1970-2000 (Barcellona, Icaria, 2001).

Introduzione

La Storia che si scrive ha, in generale, l’intenzione di raccontare, interpretandola, l’esperienza umana nel tempo. Nel tempo, la creatura umana, protagonista e vittima della storia, non si presenta come un essere o persona astratta, ma come una donna o un uomo; perché la creatura umana è sessuata, sempre e dovunque.

Che ne mondo ci siano e ci siano solo donne e uomini, bambine e bambini, lo impariamo quando impariamo a parlare. Quando ci insegna a parlare - cioè quando ci insegna la lingua materna -, la madre ci insegna a riferirci alle bambine al femminile e ai bambini al maschile. Percependo il fatto della differenza sessuale, impariamo a osservare e apprezzare la storia in grande, dato che il mondo lo arricchiscono le interpretazioni e le espressioni libere del fatto di essere donna e del fatto di essere uomo: una qualità umana indispensabile e irriducibile, che segna tutto.

Capita, tuttavia, che, quando leggiamo un’opera scientifica di Storia, constatiamo che il suo autore o la sua autrice quasi mai parla al femminile o al maschile ma parla al neutro: in quel neutro preteso universale che il femminismo ha tanto e con tanta ragione denunciato e che il positivismo del XIX secolo ha imposto come linguaggio scientifico. Sono opere di storia che non registrano - distaccandosi in questo modo dalla lingua materna appresa nell’infanzia - il fatto storico fondamentale che la storia la facciamo e la subiamo donne e uomini. Perciò i loro libri portano titoli come L’uomo medievale o La filosofia dell’uomo o Gli indiani del Caribe o Il bambino nella letteratura del Rinascimento.

Non lo fanno per una questione di economia del linguaggio né di mancanza di spazio, dato che generalmente sono opere che si diffondono in ogni tipo di particolari di modesto interesse, ma per una questione politica: a partire dall’Umanesimo e dal Rinascimento, la cultura chiamata occidentale ha perseguitato e perseguita con perseveranza le espressioni libere della differenza di essere donna nella storia; pretendendo, invece, contro ogni evidenza dei sensi, che il linguaggio neutro includa anche le donne. Ma, poiché si dà il caso che il linguaggio neutro non sia neutro ma coincida con il linguaggio maschile, capita che, quando una lettrice si avvicina a un’opera scientifica di storia con la speranza di sapere qualcosa sul suo passato, l’opacità è totale. In essa le donne non si vedono perché il linguaggio maschile ci priva del nostro infinito proprio.

C’è dunque, oggi, tra la storia e i libri scientifici di storia, tra la vita e la storiografia, una sconnessione fondamentale, un buco dal quale scappano molte cose: talmente tante, che sempre più gente preferisce leggere romanzi storici e non saggi per conoscere un episodio del passato. La sconnessione consiste nel fatto che il fondamento della storia viva sono i rapporti dei sessi, e invece il fondamento delle opere scientifiche di Storia sono le azioni di un uomo neutro preteso universale: un uomo curioso che non è, in realtà, né uomo né donna.

La differenza sessuale nella Storia

Tuttavia, fuori dagli ambiti retti dal positivismo scientifico, le donne hanno sempre scritto storia tenendo conto del senso libero del proprio essere donna. Lo hanno fatto soprattutto nel tra-donne, dovunque esso fosse: nei conventi e monasteri, nelle istituzioni di canonichesse, nel mondo delle beghine e beatas, nelle corti femminili della monarchia, della nobiltà e della borghesia, nei gruppi femministi, nelle relazioni duali intavolate e sostenute in qualsiasi luogo e tempo, nelle fondazioni culturali, educative o politiche femminili ecc. I testi della trovatora Anonima 2, di Christine de Pizan e di Teresa de Cartagena, ce ne offrono qualche esempio.

Nei loro racconti di storie vissute, queste donne scrissero al femminile per riferirsi alle donne e al maschile per riferirsi agli uomini. Con questo gesto politico espresso nella lingua, lasciarono aperta a donne e uomini la dimensione infinita propria, dimensione infinita in cui è possibile la libertà.

Dire che ogni sesso ha il proprio infinito, implica intendere che esistono nel mondo due infiniti, il femminile e il maschile. Questo si scontra con il costume sociale di dare per ovvio, senza pensarci molto, che l’infinito sia solo uno, come è solo uno Dio o solo uno il vertice o solo uno il presidente o il principio del pensiero o dell’essere. E, tuttavia, la cosmogonia dell’Europa feudale si formò attorno a due principi creatori, ciascuno dei quali era considerato di portata cosmica. Questi principi creatori erano il principio femminile e il principio maschile. Questa maniera di vedere il mondo si è espressa, per esempio, in una teoria che si chiama “dottrina dei due infiniti”. Questa dottrina diceva che nel mondo ci sono due infiniti, che sono la materia prima e Dio. La materia prima è il principio creatore femminile, Dio è il principio creatore maschile.

Questa teoria, aderente alla vita nella sua sessuazione, fu perseguitata a partire dal XIII secolo dalla gerarchia ecclesiastica cattolica, che per farlo si servì della scolastica, delle università, della tortura e della pena di morte.

Alcune donne si fecero tuttavia depositarie della memoria della dottrina dei due infiniti e, in modi diversi a seconda delle circostanze storiche, la ricordarono nei loro scritti nel corso del secoli successivi, fino all’attualità.

Indicazioni didattiche

Allo scopo di far percepire l’attualità della teoria o dottrina dei due infiniti, può esser molto interessante leggere e commentare un brano del romanzo di Clarice Lispector intitolato Vicino al cuore selvaggio (1944), in cui rivive la memoria della materia prima come principio creatore femminile di portata cosmica. Perché la teoria dei due infiniti aiuta a penetrare un enigma della politica del nostro tempo, enigma espresso dalla metafora del “soffitto di vetro”. Il soffitto di vetro appare quando una donna non può raggiungere qualcosa -qualcosa che desidera- perché capita che lei non sia un uomo: qualcosa - l’essere un uomo - che lei non potrebbe, in sostanza, diventare, benché lo possa emulare o sembrare. In una politica in accordo con la teoria dei due infiniti non c’è soffitto di vetro, dato che né la donna è intesa come misura dell’uomo, né l’uomo è inteso come la misura della donna: lei avrebbe il proprio infinito, lui il suo.

Bibliografia: I due infiniti: la materia prima e Dio
  • ALLARD, Guy-H., "L’attitude de Jean Scot et de Dante à l’égard du thème des deux infinis: Dieu et la matière première" in Werner Beierwaltes, (ed.) Eriugena redivivus. Zur Wirkungsgeschichte seines Denkens im Mittelalter und im Übergang zur Neuzeit. Heidelberg, Carl Winter – Universitätsverlag, 1987, 237-253.
  • ALLEN, Prudence, The Concept of Woman. The Aristotelian Revolution, 750 BC-AD 1250, Montreal, Eden Press, 1985 y Grand Rapids, MI, W.B. Eerdmans, 1997.
  • CARTAGENA, Teresa de, (Lewis J. Hutton, ed.) Arboleda de los enfermos y Admiraçión operum Dey. Madrid, Anejos del Boletín de la Real Academia Española XVI. 1967
  • CORTÉS TIMONER, Mª Mar, Madres y maestras espirituales. De Leonor López de Córdoba a Teresa de Jesús. Tesi di dottorato in Filología Española, Universidad de Barcelona, 2002.
  • LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, È accaduto non per caso. “Sottosopra”, gennaio 1996.
  • LISPECTOR, Clarice, Vicino al cuore selvaggio. Trad. di Rita Desti. Milano, Adelphi, 1987.
  • LISPECTOR, Clarice, La mela nel buio. Milano, Feltrinelli, 1988.
  • LISPECTOR, Clarice, La passione secondo GH. Trad. di Adelina Aletti. Torino, La Rosa, 1982.
  • LUCENTINI, Paolo, "L’eresia di Amalrico" in Werner Beierwaltes (ed.) Eriugena redivivus. Zur Wirkungsgeschichte seines Denkens im Mittelalter und im Übergang zur Neuzeit. Heidelberg, Carl Winter – Universitätsverlag, 1987, 174-191.
  • MARTINENGO, Marirì, Le trovatore. Poetesse dell’amor cortese (Testi provenzali con traduzione a fronte). Trad. di Pia Silvestri, Milano, Quaderni di Via Dogana, 1996.
  • MURARO, Luisa, Il Dio delle donne. Milano, Mondadori, 2003.
  • PIZAN, Cristina de, La Città delle Dame, a cura di Patrizia Caraffi, Edizione di Earl Jeffrey Richards, Milano-Trento, Luini, 1997.
  • RIEGER, Angelica, Trobairitz. Der Beitrag der Frau in der altokzitanischen höfischen Lyrik. Gesamtkorpus. Tübingen, Max Niemeyer, 1991.
  • RIVERA GARRETAS, María-Milagros, "Egregias señoras. Nobles y burguesas que escriben, 1400-1560" in Anna Caballé (ed.), La vida escrita por las mujeres, 1: Por mi alma os digo, Barcellona, Círculo de Lectores, 2003.
  • RIVERA GARRETAS, María-Milagros, Textos y espacios de mujeres. Europa, siglos IV-XV. Barcellona, Icaria, 1990.
  • RIVERA GARRETAS, María-Milagros, El fraude de la igualdad, Barcellona, Planeta, 1997, 25-43 (ried. corretta: Buenos Aires, Librería de Mujeres, 2002).
  • RIVERA GARRETAS, María-Milagros, "Una cuestión de oído. De la historia de la estética de la diferencia sexual" en BERTRAN TARRÉS, Marta; CABALLERO NAVAS, Carmen; CABRÉ I PAIRET, Montserrat; RIVERA GARRETAS, María-Milagros y VARGAS MARTÍNEZ, Ana, De dos en dos. Las prácticas de creación y recreación de la vida y la convivencia humana. Madrid, horas y HORAS, 2000, 103-126.
  • VV. AA. The Querelle des femmes in the Romania. Studies in Honour of Friederike Hassauer. Viena, Turia + Kant, 2003.
  • WOOLF, Virginia, Una stanza tutta per sé, in Per le strade di Londra, trad. di Livio Bacchi Wilcock e J. Rodolfo Wilcock, Milano, Il Saggiatore-Garzanti, 1974.

Note al testo

  1. È molto interessante confrontare questo argomento di Christine de Pizan con quello di Virginia Woolf in Una stanza tutta per sé (1929), un altro capolavoro della saggistica femminile e femminista: “I professori, i maestri, i sociologi, i teologi, i romanzieri, i saggisti, i giornalisti, gli uomini che non avevano nessun titolo tranne quello di non essere donne, tutti inseguivano la mia semplice e unica domanda - perché sono povere le donne? -, finché questa diventava cinquanta domande; finché le cinquanta domande saltavano disperatamente in mezzo al fiume e venivano trascinate dai flutti” (in Virginia Woolf, Per le strade di Londra , traduzione di Livio Bacchi Wilcock e J. Rodolfo Wilcock, Milano, Il Saggiatore-Garzanti, 1974, pp. 231-232).

  2. Sull’irriducibilià della differenza dei sessi: Libreria delle donne di Milano, È accaduto non per caso, “Sottosopra”, gennaio 1996.

  3. Paolo Lucentini, L’eresia di Amalrico, in Werner Beierwaltes, ed., Eriugena redivivus. Zur Wirkungsgeschichte seines Denkens im Mittelalter und im Übergang zur Neuzeit, Heidelberg, Carl Winter – Universitätsverlag, 1987, 174-191. Guy-H. Allard, L’attitude de Jean Scot et de Dante à l’égard du thème des deux infinis: Dieu et la matière première, Ibid., 237-253. María-Milagros Rivera Garretas, Una cuestión de oído. De la historia de la estética de la diferencia sexual, in Marta Bertran Tarrés, Carmen Caballero Navas, Montserrat Cabré i Pairet, María-Milagros Rivera Garretas e Ana Vargas Martínez, De dos en dos. Las prácticas de creación y recreación de la vida y la convivencia humana, Madrid, Horas y horas, 2000, 103-126. L’ha studiata anche Teresa Gràcia Sahuquillo in lavori sfortunatamente inediti.

  4. La dottrina dei due infiniti nella sua versione amalriciana fu condannata dal Concilio Laterano IV (1215). La versione della teologia in lingua materna -Guglielma Boema, Margherita Porete, per esempio-, che usò l’espressione “indiamento”, fu condannata da san Tommaso d’Aquino: egli, confondendo l’alterità che è dentro la creatura con la pretesa di essere lei Dio, si burlò di quelli che dicevano che “totum mundum esse Deum”. Margherita Porete fu bruciata in Place de la Grève, a Parigi, nel 1310.

  5. “Ma dov’era in fondo la loro divinità? Persino nelle più deboli c’era l’ombra di quella conoscenza che non si acquista con l’intelligenza. L’intelligenza delle cose cieche. La forza della pietra che, cadendo, ne spinge un’altra che finisce per cadere nel mare e ammazzare un pesce. A volte quella stessa forza la si trovava nelle donne che erano semplicemente madri e mogli, timide femmine del maschio, come la zia, come Armanda. Eppure, quella forza, quell’unità nella debolezza... Oh, forse stava esagerando, forse la divinità delle donne non era specifica, consisteva solo nel fatto che esistevano. Sì, sì, ecco la verità: loro esistevano più degli altri, erano il simbolo della cosa nella cosa stessa. E la donna era proprio il mistero, scoprì. C’era, in tutte loro, una qualità da materia prima, qualcosa che poteva anche definirsi ma che non si realizzava mai perché la sua stessa essenza era quella di ‘diventare’. Non era forse attraverso di lei che si univa il passato al futuro e a tutti i tempi?”. E, più avanti: “Non esagerarne l’importanza, in tutte le pance di donna può nascere un figlio. Com’è bella, e com’è donna, serenamente materia-prima, nonostante tutte le altre donne” (Vicino al cuore selvaggio, traduzione di Rita Desti, Milano, Adelphi, 2003, pp. 135-137).

  6. Sull’irriducibilià della differenza dei sessi: Libreria delle donne di Milano, È accaduto non per caso, “Sottosopra”, gennaio 1996.

  7. Paolo Lucentini, L’eresia di Amalrico, in Werner Beierwaltes, ed., Eriugena redivivus. Zur Wirkungsgeschichte seines Denkens im Mittelalter und im Übergang zur Neuzeit, Heidelberg, Carl Winter – Universitätsverlag, 1987, 174-191. Guy-H. Allard, L’attitude de Jean Scot et de Dante à l’égard du thème des deux infinis: Dieu et la matière première, Ibid., 237-253. María-Milagros Rivera Garretas, Una cuestión de oído. De la historia de la estética de la diferencia sexual, in Marta Bertran Tarrés, Carmen Caballero Navas, Montserrat Cabré i Pairet, María-Milagros Rivera Garretas e Ana Vargas Martínez, De dos en dos. Las prácticas de creación y recreación de la vida y la convivencia humana, Madrid, Horas y horas, 2000, 103-126. L’ha studiata anche Teresa Gràcia Sahuquillo in lavori sfortunatamente inediti.

  8. La dottrina dei due infiniti nella sua versione amalriciana fu condannata dal Concilio Laterano IV (1215). La versione della teologia in lingua materna -Guglielma Boema, Margherita Porete, per esempio-, che usò l’espressione “indiamento”, fu condannata da san Tommaso d’Aquino: egli, confondendo l’alterità che è dentro la creatura con la pretesa di essere lei Dio, si burlò di quelli che dicevano che “totum mundum esse Deum”. Margherita Porete fu bruciata in Place de la Grève, a Parigi, nel 1310.

  9. “Ma dov’era in fondo la loro divinità? Persino nelle più deboli c’era l’ombra di quella conoscenza che non si acquista con l’intelligenza. L’intelligenza delle cose cieche. La forza della pietra che, cadendo, ne spinge un’altra che finisce per cadere nel mare e ammazzare un pesce. A volte quella stessa forza la si trovava nelle donne che erano semplicemente madri e mogli, timide femmine del maschio, come la zia, come Armanda. Eppure, quella forza, quell’unità nella debolezza... Oh, forse stava esagerando, forse la divinità delle donne non era specifica, consisteva solo nel fatto che esistevano. Sì, sì, ecco la verità: loro esistevano più degli altri, erano il simbolo della cosa nella cosa stessa. E la donna era proprio il mistero, scoprì. C’era, in tutte loro, una qualità da materia prima, qualcosa che poteva anche definirsi ma che non si realizzava mai perché la sua stessa essenza era quella di ‘diventare’. Non era forse attraverso di lei che si univa il passato al futuro e a tutti i tempi?”. E, più avanti: “Non esagerarne l’importanza, in tutte le pance di donna può nascere un figlio. Com’è bella, e com’è donna, serenamente materia-prima, nonostante tutte le altre donne” (Vicino al cuore selvaggio, traduzione di Rita Desti, Milano, Adelphi, 2003, pp. 135-137).

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