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X Coloquio Internacional de Geocrítica

DIEZ AÑOS DE CAMBIOS EN EL MUNDO, EN LA GEOGRAFÍA Y EN LAS CIENCIAS SOCIALES, 1999-2008

Barcelona, 26 - 30 de mayo de 2008
Universidad de Barcelona

CAMBIAMENTI NELL’ORGANIZZAZIONE TERRITORIALE IN SEGUITO ALLE MIGRAZIONI:
LA PERIFERIA DEL PARCO “W” – BENIN, BURKINA FASO, NIGER

Alessandra Ghisalberti
Università di Bergamo
alessandra.ghisalberti@unibg.it


Cambiamenti nell’organizzazione territoriale in seguito alle migrazioni: La periferia del parco “W” – Benin, Burkina Faso, Niger (Riassunto)

La periferia del Parco Regionale “W” (Benin, Burkina Faso e Niger) è caratterizzata da una molteplicità etnica, oltre che da flussi migratori che generano mutazioni nell’organizzazione territoriale. L’obiettivo dell’articolo è di mostrare i cambiamenti determinati da tali processi migratori, in un contesto sprovvisto di dati diretti sulle migrazioni. La metodologia utilizzata si basa su una banca-dati di terreno, raccolti nel corso di una pluriannuale ricerca, e le analisi vengono presentate attraverso carte GIS (Geographic Information System) partecipative.

In particolare, si intende delineare le principali cause e conseguenze delle migrazioni rilevate a livello regionale, per mostrarne in seguito, a livello locale, le conseguenze territoriali mediante il caso di studio del villaggio beninese di Fiafounfoun. La conoscenza di un tale composito quadro sotto il profilo socio-territoriale evidenzia il ruolo catalizzatore esercitato dall’are protetta e dalle sue periferie che, mediante una crescita inarrestabile della popolazione, diventano protagoniste di mutazioni territoriali accelerate.

Parole chiave: Migrazioni, Africa Occidentale, area protetta, periferia


Changes in the territorial organization as a consquence of migrations: the periphery of “W” regional park (Benin, Burkina Faso, Niger) (Abstract)

The periphery of the “W” Regional Park (Benin, Burkina Faso and Niger) is characterised by ethnic multiplicity, as well as by migratory fluxes that generate changes in the territorial organisation. This article aims at showing the modifications determined by these migratory processes, in a context without direct data about migration. The used methodology is based on a field data-base, collected during a pluriennial research, and the analysis are presented through participatory GIS (Geographic Information System).

In particular, we mean to trace the main causes and consequences of migrations at a regional scale, in order to show afterwards at local scale the territorial consequences through the study case of Fiafounfoun village. Knowing such an articulate – from the socio-territorial point of view – situation puts in evidence the catalysing role of the protected area and its periphery that, through an unstoppable growth, become protagonist of accelerated territorial changes.   

Key words: Migrations, West Africa, protected area, periphery


Organizzazione territoriale e migrazioni[1]

La periferia del Parco Regionale “W”[2] – localizzato in Africa Occidentale, al confine tra Benin, Burkina Faso e Niger (Figura 1[3]) – è segnata da una molteplicità etnica[4], oltre che da ripetute e diversificate correnti migratorie, che generano mutazioni nell’organizzazione territoriale. Oggi nell’area attorno a tale area protetta, infatti, si assiste ad una nuova fase dei movimenti migratori che da secoli caratterizzano la regione sovrapponendo percorsi multipli[5]. Si delinea uno scenario plurale che, di là del dinamismo territoriale dei secoli precedenti, presenta configurazioni inedite e aggiunge nuove motivazioni a quelle preesistenti.

Figura 1
La localizzazione del Parco Regionale “W”

Fonte: Laboratorio di Cartografia, Università degli Studi di Bergamo

L’obiettivo del presente contributo è di mostrare i cambiamenti territoriali determinati da tali processi migratori, in un contesto sprovvisto di dati diretti sulle migrazioni. Si intende, dunque, analizzare i processi migratori che caratterizzano la periferia del Parco Regionale “W”, delineandone le principali cause e conseguenze e mediante un caso di studio – il villaggio beninese di Fiafounfoun – mostrare le dinamiche territoriali indotte a livello locale da tali fenomeni.

La ricerca sul campo per lo studio delle migrazioni

Nel contesto ovest-africano i dati quantitativi e qualitativi sugli aspetti demografici sono limitati e il monitoraggio statistico di specifici fenomeni – quali le migrazioni – è raramente effettuato. La quantificazione numerica della popolazione, infatti, è frammentaria e, mano a mano che si ingrandisce la scala d’indagine, essa diviene approssimativa[6]. Sovente, dunque, l’affidabilità delle cifre risulta dubbia, poiché la maggior parte delle statistiche elaborate proviene da stime o proiezioni verosimili come ordine di grandezza, ma certamente non precise per numeri assoluti. In particolare, rispetto alle migrazioni, tale difetto si rileva non solamente sotto il profilo diacronico dal momento che le serie storiche dei dati sono praticamente inesistenti, ma anche sotto il profilo sincronico poiché è arduo produrre una comparazione transnazionale tra Paesi che, seppur confinanti, presentano tipologie e tempi diversificati di raccolta dei dati[7].

Ciò determina una ridotta disponibilità di fonti, cui si tenta di supplire mediante l’impiego di metodologie di ricerca sul campo. Esse, infatti, permettono di produrre una conoscenza del territorio che, non essendo esclusivamente basata sugli aspetti quantitativi, si costruisce mediante l’acquisizione di dati qualitativi articolati che concernono l’intero sistema[8] dell’organizzazione territoriale e, di conseguenza, restituiscono l’identità del gruppo sociale[9].

In particolare, nel caso qui presentato, la ricerca sul campo si è svolta per unità territoriali multiple – dalla scala regionale a quella locale – nella prospettiva di fornire non solo un quadro generale del contesto territoriale di indagine, ma anche specifici casi di caso di studio che permettessero un maggiore dettaglio e approfondimento dell’analisi. L’attività di terreno, inoltre, si è articolata in diverse fasi che hanno comportato prolungate permanenze nell’area di ricerca e possono essere ricondotte a tre principali ambiti: i. l’osservazione del territorio; ii. le inchieste ad interlocutori privilegiati; iii. la cartografia partecipativa. La prima è consistita in un’analisi diretta da parte del ricercatore. La seconda è stata condotta con la collaborazione di figure di riferimento per il gruppo sociale quali, per esempio, i detentori dei poteri politico, fondiario e religioso o i responsabili delle associazioni locali. La terza, infine, ha visto l’implicazione di diversi gruppi attoriali che intervengono nella pratica così come nella strutturazione territoriale[10].

Assumendo la semiologia del territorio quale quadro teorico di riferimento[11], sono stati presi in considerazione i segni che rinviano ai valori sociali e alle istanze identitarie delle popolazioni locali nella prospettiva di delineare le mutazioni indotte dai processi migratori. Nel caso che andiamo di seguito a presentare, riferito alla periferia del Parco Regionale “W”, la metodologia di terreno ha prodotto una vasta banca-dati di terreno, le cui analisi sono state presentate attraverso un apparato di carte GIS (Geographic Information System) partecipative[12], realizzate mediante l’implicazione diretta della popolazione locale in tutte le fasi della ricerca[13].

Il mosaico etnico della periferia del Parco Regionale “W”

Questione ambientale e migrazioni: verso nuovi territori di approdo

Analizzando le cause del fenomeno migratorio nella periferia del Parco Regionale W, si rileva una molteplicità di fattori prevalentemente riconducibili al perdurare di condizioni climatiche critiche, cui si aggiungono l’intensificazione delle pratiche tradizionali di sfruttamento delle risorse naturali e l’introduzione di logiche moderne di gestione agraria. Accanto a fattori storici che da centenari connotano questo territorio, dunque, si registrano fattori più recenti che, insieme a condizioni politico-economiche in mutazione, determinano la crescita del numero di migranti.

La migrazione è spesso l’esito dello squilibrio tra risorse disponibili e bisogni espressi da un gruppo sociale, sia nei territori di provenienza che in quelli di approdo. Rispetto ai territori di provenienza, infatti, i fattori principali che determinano i fenomeni migratori sono costituiti dall’esaurimento temporale delle risorse locali disponibili, a seguito sia dell’influenza del clima che dalle pratiche antropiche che provocano emergenze ambientali come, per esempio, la desertificazione. Le migrazioni, infatti, costituiscono una delle strategie adottate dalle popolazioni locali per fronteggiare le difficoltà specifiche dell’ambiente saheliano che, soprattutto negli ultimi decenni, rivela l’inasprimento di una crisi ambientale ormai più che trentennale. In particolare, dalla fine degli anni Sessanta, le regioni saheliane conoscono deficit alimentari strutturali che vengono accentuati dall’impoverimento continuo delle popolazioni, sovente ridotte a carestia[14]. Tali esiti sono riconducibili ai deficit pluviometrici determinatisi nel corso del XX secolo, che hanno implicato nelle regioni segnate dalla doppia stagionalità tropicale, una tendenza all’aridificazione. Il primo fattore che determina le migrazioni, dunque, si ricollega della diminuzione pluviometrica che favorisce l’avanzata del deserto. La desertificazione, infatti, è un fenomeno geografico complesso, originato dalla compresenza di eventi naturali e azione dell’uomo, che investe molteplici aspetti delle aree interessate, sotto il profilo ecologico, economico e sociale, e produce effetti devastanti. Tale processo tende ad ampliarsi notevolmente, inducendo una situazione cui difficilmente l’uomo riesce ad opporre resistenza, poiché non sussiste soluzione immediata all’aridità e al degrado di un ecosistema[15].

 Inoltre, se per un verso, i cambiamenti climatici innescati dall’abbassamento del livello pluviometrico sono fattori determinanti, per altro verso risultano fatali, nella situazione ambientale dei territori di provenienza, talune attività antropiche, anche di tipo tradizionale. L’azione umana, infatti, contribuisce in molteplici casi ad intensificare l’effetto di una crisi ambientale già in atto, quando si esplica in contesti che presentano un’elevata densità demografica rispetto alle risorse disponibili. È il caso della pastorizia e, più specificatamente, del sovrapascolamento, allorché, per esempio, viene superato il limite di resilienza del pascolo oppure l’eccessivo calpestio determina la compattazione del terreno e, di conseguenza, un’impermeabilizzazione che induce l’erosione idrica del suolo. O ancora dell’agricoltura seccagna qualora, per esempio, non venga accompagnata da un’adeguata tecnica di concimazione naturale o di maggese. Sappiamo, infatti, che l’agricoltura di sussistenza, basata su pratiche tradizionali e sull’utilizzo di semplici attrezzi agricoli, viene integrata dal maggese, unica tecnica alla portata dei produttori per fertilizzare e rigenerare le terre. Infine, un’ulteriore pratica umana che favorisce il processo di desertificazione è la produzione di legname ottenuto dal continuo diboscamento effettuato da agricoltori in cerca di proventi alternativi all’attività dei campi attraverso la vendita di legna. Tale consuetudine comporta una denudazione della copertura del terreno mediante la rarefazione vegetale che, per l’esposizione continua dei suoli al vento, ne induce il processo erosivo. Ne consegue una degradazione in ragione dell’abbassamento del potenziale biologico e della fertilità, una tendenza alla salinizzazione dei bassifondi, oltre all’erosione meccanica accentuata dal rafforzamento dell’aggressività dei venti.

Rispetto ai territori di approdo, si rileva l’abbandono delle pratiche tradizionali di gestione dei suoli che per lunghi periodi avevano garantito la sopravvivenza di interi gruppi di agricoltori, nella prospettiva di introdurre modalità agricole speculative. I saperi tradizionali[16], infatti, non vengono più tramandati, le tecniche agricole subiscono cambiamenti e vengono introdotte metodologie moderne che, con la logica del massimo profitto, determinano l’estensione continua delle superfici coltivabili, anche in direzione di aree a fertilità ridotta. Ne consegue un’offerta lavorativa crescente che, non potendo più essere soddisfatta dagli abitanti locali, induce l’impiego di manodopera stagionale esterna, assai richiesta specialmente durante le fasi di raccolta dei prodotti agricoli[17]. Per quanto concerne la regione che stiamo analizzando, se fino alla fine degli anni Ottanta veniva privilegiata l’emigrazione verso i contesti urbani o rurali dei Paesi che si affacciano sul Golfo di Guinea, per la pratica del commercio ambulante o dell’agricoltura di piantagione, in anni recenti si è diffusa l’emigrazione verso le aree interne periferiche che presentano alternative sempre più valide soprattutto in campo agricolo. Per un verso, dunque, il retaggio della funzione strategica assunta dai Paesi costieri in periodo coloniale si rivela ancor’oggi nella centralità del ruolo da essi assunto nel direzionare taluni movimenti migratori attuali verso le metropoli costiere. Per altro verso, emerge in maniera sempre più netta l’esito di programmi di sviluppo di aree periferiche mediante la promozione di attività speculative, come la coltivazione del cotone[18]. Nelle aree di partenza nigerine, per esempio, la logica dell’esodo rurale che predilige l’area d’insediamento urbana, viene sempre più soppiantata dall’esigenza dei migranti di trovare mezzi di sostentamento immediati nel breve raggio accompagnata da politiche di colonizzazione agricola; nelle aree di approdo beninesi, regioni rurali precedentemente depresse fungono ora da catalizzatori in relazione a politiche agricole statali che da alcuni decenni vengono attuate per favorire lo sviluppo di produzioni agrarie intensive.

Ma andiamo ora ad analizzare le principali conseguenze, sotto il profilo socio-territoriale, che si determinano con i processi migratori.

Il complesso quadro delle dinamiche migratorie: nuove traiettorie, mescolamenti etnici e progetti diversificati

Le conseguenze delle migrazioni sono molteplici ed originano mutamenti di tipo quantitativo e qualitativo in tutta la regione analizzata mediante una diversificazione interna che si lega ad altri fenomeni trasformativi in atto. Rispetto alla composizione etnica, si registra un forte mescolamento caratterizzato da una differenziazione interna, poiché aree omogenee abitate da gruppi maggioritari coesistono con aree eterogenee dalle multiple etnie (Figura 2). In particolare, nella regione del Parco Regionale “W” si rilevano numerose etnie – batonou, mokollé, dendi e gando in Benin; gourmantché in Burkina Faso; djerma, haoussa, folmongani e bella in Niger; peul nei tre Paesi – che creano una commistione che si accentua verso nord-ovest in prossimità della valle del fiume Niger e che è meno evidente nelle aree occidentali.

Tale mescolanza etnica è l’esito più evidente dei flussi migratori che, se talvolta ricalcano percorsi segnati in epoche precedenti, viceversa, altre volte si snodano lungo inedite direzioni, in riferimento alla variazione delle aree di partenza e di destinazione degli spostamenti di popolazione. L’esito principale degli attuali flussi migratori nella regione del Parco Regionale “W” è il disegno complesso di percorsi storici e nuove traiettorie che, in un quadro reticolare di movimenti interni ed internazionali, mettono in relazione molteplici aree di provenienza, di passaggio e di approdo. Nella composita realtà transfrontaliera all’interno della quale l’area protetta regionale funge da collante fra tre territori nazionali, si determinano fenomeni osmotici tendenti a stemperare gli effetti delimitanti delle frontiere statali. Si è in presenza, infatti, di continui scambi di persone e di merci tra diverse aree, caratterizzate da flussi migratori e importanti circuiti commerciali. Le migrazioni di questa zona, si diversificano per tre aspetti principali: i. sotto il profilo del movimento, descrivono tragitti differenziati che interessano specialmente l’area transfrontaliera tra Niger e Benin; ii. rispetto alla composizione etnica vedono taluni gruppi maggiormente implicati negli spostamenti e talaltri, localizzati nelle aree di approdo, nell’accoglienza; iii. dal punto di vista temporale, implicano progetti migratori stagionali o definitivi.

Figura 2
Le migrazioni nella periferia del Parco Regionale W

Fonte: indagine sul campo, Laboratorio di Cartografia, Università degli Studi di Bergamo

Per quanto riguarda il primo aspetto, le aree di provenienza del movimento migratorio si estendono a settentrione e ad oriente del Parco W, specialmente nelle zone desertiche e predesertiche del Niger, nel Mali e nell’area nord-occidentale della Nigeria. Rispetto alle aree di approdo, si delineano e si intrecciano numerosi itinerari che, se in precedenza si spingevano prevalentemente in direzione delle grandi città costiere dell’Africa Occidentale (Accra, Cotonou, Lomé, Lagos e, prima della crisi, Abidjan[19]), oggi tendono a diversificarsi, implicando anche regioni rurali in via di sviluppo[20]. Considerando la distribuzione dei flussi migratori per componente nazionale, se quella nigerina costituisce al contempo area di approdo e di partenza per differenti flussi migratori interni al medesimo Paese o internazionali, l’area rurale del Benin settentrionale vede immigrati internazionali sempre più numerosi privilegiarla quale zona di istallazione definitiva o temporanea; viceversa, la componente burkinabé concerne una quantità assai più limitata di migranti. In particolare, dunque, la regione maggiormente caratterizzata da continui movimenti migratori è costituita dall’area transfrontaliera nigero-beninese che, lungo tutta l’estensione della valle del Niger, assiste a flussi e scambi di persone, prodotti e merci di vario genere, che implicano altresì le aree nigeriane. La particolarità di questa zona, infatti, si ricollega alla fittizia funzione del confine che, sebbene nella logica amministrativa delinei il limite fra tre Stati (Niger, Benin e Nigeria), non può impedire un continuo fenomeno osmotico tra realtà territoriali che da secoli intessono relazioni[21].

Di là della distribuzione spaziale, se passiamo ad analizzare il profilo etnico la migrazione concerne soprattutto l’insediamento definitivo di djerma ed altri nigerini provenienti dalle aree sud-orientali del Niger, di haussa dalle regioni settentrionali della Nigeria o sedentari da talune aree maliane. Ad essi si affiancano i peul transumanti presenti in tutta l’area nigerina, il cui continuo movimento è cadenzato dall’alternanza stagionale e investe la regione al confine fra i tre Paesi. Gruppi di popolazioni provenienti dalle aree settentrionali e orientali, dunque, sono attirati sia dalla fertilità delle terre che dalle possibilità lavorative, dalle generose risorse idriche, dalle migliori opportunità commerciali presenti nella periferia sud-orientale del parco e dalle possibilità che il suo raggiungimento può offrire verso nuove mete, nelle aree costiere dei paesi del Golfo di Guinea. In particolare, poi, nelle aree di arrivo, si produce un mescolamento etnico per la compresenza di gruppi diversificati per lingua, cultura, organizzazione territoriale e modalità di sfruttamento delle risorse. Tutti i gruppi etnici, stanziali o migranti, infatti, diventano attori nella fase di insediamento dei migranti che, necessariamente, produce riconfigurazioni territoriali e innesca processi di mutazione dei villaggi. L’organizzazione sociale subisce variazioni talora contenute, talaltra più evidenti, dipingendo un panorama in continua evoluzione.

Infine, per quanto riguarda il profilo temporale, il fenomeno si biforca in due tipologie migratorie, l’una di tipo temporaneo, che prevede quindi un progetto a breve termine connotato dalla volontà di ritorno al luogo di provenienza, e l’altra definitiva, caratterizzata, viceversa, da un allontanamento dalla società di partenza, nella prospettiva d’instaurare nuove relazioni finalizzate all’inserimento nel luogo di approdo.

La migrazione temporanea, denominata altresì migrazione da lavoro, implica un movimento periodico di lavoratori stagionali che ogni anno lasciano il loro villaggio e si installano per alcuni mesi nel villaggio di arrivo, coprendo distanze più o meno ampie. Tale progetto migratorio è di tipo individuale, poiché solitamente è il giovane capofamiglia che parte in cerca di mezzi di sostentamento per l’intero gruppo familiare, e comporta un mutamento temporaneo della struttura demografica sia del villaggio di partenza che di quello di approdo. La sospensione dei lavori agricoli nelle aree di provenienza, infatti, favorisce consistenti flussi migratori stagionali di parte della forza-lavoro del villaggio e, più specificatamente, dei giovani agricoltori. La migrazione, infatti, non solo procura un reddito, ma permette anche il precedente espletamento dell’attività agricola presso il proprio villaggio poiché, come rilevato nel corso di tutte le indagini di terreno, ha inizio alla fine dei lavori campestri e termina al sopraggiungere della stagione piovosa successiva.

La migrazione permanente, viceversa, si inscrive in un progetto a lungo termine, solitamente di tipo comunitario, poiché prevede uno spostamento definitivo di un gruppo famigliare in un nuovo villaggio. Essa si rivela inevitabile allorché le crisi agricole persistono, inducendo gli emigranti ad insediarsi per periodi prolungati o permanenti presso nuove aree d’approdo o nel villaggio già meta di precedenti esperienze temporanee. La migrazione cessa così di essere una strategia adattativa all’ambiente ed implica un abbandono definitivo del proprio territorio, specialmente da parte dei nuclei familiari più vulnerabili, che non sono in grado di fronteggiare le crisi alimentari. La durata della migrazione, peraltro, costituisce un parametro rispetto al quale l’immigrato instaura una dialettica differenziata di rapporti con la società del territorio d’approdo. In particolare, trattandosi di spostamenti di interi gruppi di popolazione, comporta cambiamenti demografici di tipo irreversibile, sia nel contesto di partenza che nell’area di arrivo. Inoltre, poiché induce una maggiore eterogeneità etnica presso i villaggi di approdo, diviene una minaccia per l’unità del gruppo e la persistenza delle autorità tradizionali in ragione di modifiche alle organizzazioni preesistenti. Ne deriva una diminuzione del controllo esercitato dai sistemi socio-territoriali tradizionali, che tende ad amplificare la conflittualità tra le differenti popolazioni.

Come si evince dall’analisi presentata, dunque, le mutazioni socio-territoriali indotte dai processi migratori nella periferia del Parco Regionale “W” sono molteplici, si articolano e si diversificano in un territorio assai vasto. Vediamo, ora, con un grado di dettaglio maggiore cosa avviene a livello locale, recuperando le dinamiche territoriali indotte in un villaggio beninese, Fiafounfoun.

Il villaggio di Fiafounfoun: migrazioni e trasformazioni del territorio a livello locale

Fiafounfoun è un villaggio che sorge lungo la strada statale che collega Malanville e Kandi, vale a dire i due centri nevralgici del Benin settentrionale, rispettivamente in relazione agli scambi commerciali internazionali tra Niger, Benin e Nigeria e all’organizzazione della vendita del cotone che viene prodotto nella regione settentrionale tra Banikoara e Malanville (Figura 3).

Figura 3
La localizzazione del villaggio di Fiafounfoun

Fonte: Laboratorio di Cartografia, Università degli Studi di Bergamo

Proprio in ragione della sua localizzazione, questo villaggio è interessato da migrazioni da lavoro, esito di brevi, seppur assai diffusi, progetti d’insediamento stagionale, e immigrazioni definitive che, viceversa, concernono un progetto migratorio prolungato. Tali processi hanno determinato mutazioni evidenti e inarrestabili che si rendono visibili mediante l’analisi del territorio.

La migrazione definitiva è di importanza strategica poiché determina trasformazioni territoriali radicali che interessano: i. la conformazione dell’abitato; ii. i piani di autorità; iii. la gestione delle terre.

In primo luogo, la presenza stabile di un nuovo e cospicuo gruppo sociale all’interno del medesimo territorio determina l’aumento della presenza demografica e, di conseguenza, della pressione antropica esercitata sulle risorse naturali. Il territorio di Fiafoufoun, infatti, grazie alle immigrazioni definitive di genti provenienti dal Niger, è investito da un aumento demografico che coinvolge il nucleo centrale del villaggio e, periodicamente, le strutture insediative a vocazione agricola (hameau de culture) o pastorale (campement). In particolare, la zona abitativa del villaggio (Figura 4) subisce un’evidente estensione accogliendo le capanne degli stranieri che, localizzate in posizione secondaria, si sviluppano nell’area meridionale denominata “quartiere haussa e djerma”. Rispetto alla costruzione materiale del territorio, le abitazioni squadrate di tipo moderno dei mokollé, realizzate con il cemento e con il tetto in lamiera, vengono affiancate dalle capanne circolari create dagli stranieri in modo tradizionale (con banko e paglia) secondo la conformazione delle abitazioni nei villaggi di provenienza. La reificazione abitativa, dunque, lungi dal costituire un elemento secondario del processo di territorializzazione, rende visibile la compresenza di logiche differenti riconducibili ad un insieme di saperi tramandati internamente al villaggio di generazione in generazione oppure ad una conoscenza tecnica solo recentemente acquisita dall’esterno.

Figura 4
Il piano del villaggio di Fiafounfoun

Fonte: indagine sul campo, Laboratorio di Cartografia, Università degli Studi di Bergamo

In secondo luogo, rispetto alla distribuzione dell’autorità, se tradizionalmente i poteri politico e fondiario sono conferiti esclusivamente al gruppo etnico discendente dai fondatori ed esercitati sull’intero territorio del villaggio secondo il principio di anteriorità, in seguito all’arrivo dei gruppi immigrati si fa strada un’altra figura di autorità: il capo dell’etnia immigrata. Quest’ultimo, sempre secondo il principio di anteriorità, è rappresentato dal primo immigrato della propria etnia che si è insediato a Fiafounfoun e, fungendo da mediatore tra gli stranieri, haussa o djerma, e i mokollé, interviene a sedare eventuali dinamiche conflittuali in concertazione con il capo-villaggio mokollé. L’equilibrio interetnico, dunque, è garantito dalla collaborazione tra le due autorità afferenti alla sfera della legittimità che si occupano altresì della gestione delle terre. Il processo migratorio produce una modifica, seppur parziale, delle logiche interne al villaggio, che prende in carico le esigenze manifestate dal gruppo immigrato.

Tale aspetto – e veniamo al terzo punto – concerne prevalentemente il prestito della terra concesso dal capo delle terre ai gruppi familiari djerma e haussa nigerini che, a ondate successive, si stabiliscono all’interno del nucleo centrale dell’insediamento. Il capo fondiario si occupa infatti di garantire l’accordo interetnico così come l’equità nell’accesso alle risorse fondiarie sia per le pratiche agricole che per quelle pastorali. L’interazione tra gli immigrati e gli abitanti locali seppur senza una volontà pianificatoria comune e con ruoli differenti, contribuisce alla costruzione di un nuovo territorio. I mokollé, infatti, pur rimanendo in maniera chiara i detentori principali dei poteri politico, fondiario e religioso tradizionali, accettano l’introduzione di nuovi simboli, pratiche e strutture territoriali. Le terre vengono dunque gestite sia dagli agricoltori beninesi, che dagli agricoltori djerma e haussa e dagli allevatori peul, sedentarizzati e transumanti, di origine nigerina.

Le pratiche agricole vedono protagoniste per esempio il “campo prestato” (adassigbéssé). I campi, infatti, in seguito ai flussi d’immigrazione sono investiti da processi di trasformazione che determinano un aumento della pressione sulle risorse. Si assiste quindi ad una conseguenza delle migrazioni nel villaggio di Fiafounfoun, vale a dire la lenta e progressiva saturazione fondiaria indotta dalla trasformazione in campo agricolo di ogni parte delle terre del villaggio che, sfruttate fino all’esaurimento della fertilità, vengono concesse in prestito agli stranieri e, in misura ridotta, agli allevatori peul. Gli stranieri, dunque, divengono attori collaterali del processo territoriale locale, contribuendo ad introdurre alterazioni nella distribuzione delle terre e, parzialmente, nell’organizzazione sociale. Tale situazione innesca dinamiche di conflittualità interetnica latente che, nel corso delle indagini di terreno, sono emerse durante i colloqui con gli abitanti del villaggio: per un verso, infatti, si rileva l’impossibilità di concedere ulteriori campi agli stranieri, i quali, tuttavia, costretti ad abbandonare le proprie terre, continuano a giungere al villaggio; per altro verso gli allevatori, specialmente i transumanti, sono sempre più numerosi ed occupano ogni luogo del territorio del villaggio.

Migrazioni e area protetta: per una gestione possibile

L’area periferica al Parco Regionale “W” è stata caratterizzata da antiche migrazioni che, come abbiamo visto, presentano oggi configurazioni inedite in relazione a nuovi fattori: il perdurare di anomalie pluviometriche che inducono il processo di desertificazione; l’introduzione di elementi attrattivi nuovi, quali la coltura del cotone o i circuiti commerciali ad ampio raggio, che inducono un’accelerazione dei flussi migratori. Ne consegue un’elevata mescolanza etnica che, insieme ad una cospicua presenza demografica, induce un alto livello di complessità, sia nella gestione del territorio che nell’utilizzo risorse naturali, in ragione dei molteplici sistemi socio-territoriali. In seguito ai fenomeni migratori, infatti, si rileva un’elevata presenza demografica dalla quale deriva una consistente pressione antropica sulle risorse naturali per la pratica di attività sia di sussistenza che speculative. I processi migratori, dunque, determinano degli squilibri territoriali poiché gli attori territoriali aumentano inesorabilmente, venendo a costituire una minaccia ambientale mediante una pressione antropica sempre più difficile da gestire. Essi, inoltre, destabilizzano gli abitanti locali che assistono impotenti alle mutazioni territoriali e non sono più in grado di garantire il buon funzionamento delle proprie strutture territoriali interne, in relazione allo scardinamento dell’organizzazione preesistente. I gruppi originari subiscono la progressiva perdita del proprio ruolo egemonico in un territorio sempre più commistato da elementi endogeni, tra i quali risulta cruciale la produzione monoculturale cotoniera.

La conoscenza di un tale composito quadro sotto il profilo socio-territoriale evidenzia il ruolo catalizzatore esercitato dall’are protetta e dalle sue periferie che, mediante una crescita inarrestabile della popolazione, diventano protagoniste di processi territoriali accelerati e mutazioni continue con conseguenze determinanti sotto molteplici profili. In particolare, nell’area beninese l’accesso alle risorse disponibili per la pratica di attività di sussistenza (per esempio, la pesca, la caccia, l’agricoltura tradizionale o la transumanza) e speculative (principalmente la coltivazione del cotone) origina dinamiche conflittuali.

In un ambito connotato da un alto grado di multietnicità, dove le popolazioni sono l’esito di coesistenza, conflittualità o commistione di gruppi differenti, gli attori territoriali tendono a mutare producendo nel territorio la continua sovrapposizione di logiche diverse. I processi migratori, dunque, diventano destabilizzanti per gli abitanti locali che, assistendo impotenti alle mutazioni territoriali, non sono più in grado di garantire il buon funzionamento delle proprie strutture territoriali interne in relazione allo scardinamento dell’organizzazione preesistente. I gruppi originari subiscono fatalmente la perdita progressiva del loro ruolo egemonico, in un territorio sempre più commistato da elementi esogeni, esito di scelte politico-economiche volte a favorire lo sviluppo della produzione monocolturale cotoniera, cui si accompagnano movimenti crescenti di popolazioni. Tale processo, infatti, è indotto specialmente dalle logiche economiche speculative, che originano ed accolgono migrazioni temporali e definitive sempre più numerose. Gli attori territoriali, dunque, aumentano inesorabilmente proiettando l’ombra cupa di una minaccia ambientale nel momento in cui esercitano una pressione antropica sempre più ingestibile in gran parte delle aree più prossime al parco.

In tale quadro complesso, le migrazioni costituiscono l’elemento principale sui cui agire per la conservazione dell’area protetta della regione, poiché, in una prospettiva a lungo termine, è auspicabile un’azione a due livelli: finalizzata a stabilizzare e rendere meno vulnerabile le aree di partenza, da un lato, e ad allentare la pressione antropica sul Parco Regionale W attraverso la restrizione della coltura del cotone, dall’altro.  

Note

[1] Vengono qui presentati alcuni risultati di una ricerca pluriennale di terreno finanziata dal Programme Régional Parc W/ECOPAS-UE per il Centre CIRAD (Coopération Internationale en Recherche Agronomique pour le Développement) di Montpellier e svolta dal gruppo di geografi dell'Università degli Studi di Bergamo. L'impostazione teorico-metodologica è stata concepita e sviluppata da E. Casti nella prospettiva di recuperare gli aspetti socio-territoriali delle popolazioni locali, al fine di proporre una zonizzazione operativa della periferia del parco (Casti 2004a; Id. 2004b). Per un approfondimento sui risultati della ricerca inerenti i processi migratori, si vedano: Ghisalberti 2003/2004; Id. 2006.

[2] Il Parco Regionale “W” – il cui nome deriva dal doppio meandro descritto dal fiume Niger in questa regione – è stato fondato nel 1926 come Parc de refuge e delimitato territorialmente nel 1956, per assumere poi, nel 2002, statuto di Riserva di Biosfera Transfrontaliera. Esso fa parte del più vasto sistema protetto dell'Africa Occidentale, il Complexe WAP, composto anche dal Parco Nazionale Pendjari in Benin e dall'Unità di Protezione e di Conservazione Arly in Burkina Faso.

[3] Si specifica che tutte le figure qui presentate sono state elaborate presso il Laboratorio di Cartografia dell'Università degli Studi di Bergamo diretto da E. Casti.

[4] Il concetto di etnia, definizione controversa in quanto sovente considerata di impostazione eurocentrica, viene qui utilizzato poiché, nel complesso quadro del popolamento negro-africano, permette di distinguere gruppi unitari che sono stati protagonisti di progetti territorializzanti propri (Amselle 1985).

[5] Per un approfondimento circa le migrazioni che hanno caratterizzato storicamente l'Africa e, in special modo, la regione occidentale, si veda: Amin 1974.

[6] Nel caso burkinabé, per esempio, i dati demografici esistenti sono prodotti : a livello nazionale dall'INSD – Institut National de la Statistique et de la Démographie, Ministère du Plan et de la Coopération – che dai primi anni Settanta pubblica decennalmente i censimenti (Recensement Général de la Population et de l'Habitation), il più recente dei quali risale al 2006 ; a livello regionale da istituti privati quale, per esempio, l'IRD – Institut de Recherche pour le Développement – che ha prodotto pubblicazioni sulla regione dell'Est (Guire, Santoir, Sy 2001a, b), ove ha sede la componente burkinabé della Riserva di Biosfera Transfrontaliera “W”. Tuttavia, il dettaglio informativo a livello locale resta ridotto e si mostra strategico il ricorso alle metodologie di ricerca alternative, quali le inchieste di terreno, di cui presentiamo qui alcuni risultati.

[7] L'unico studio sistematico dei processi migratori che interessano i Paesi ovest-africani risale all'inizio degli anni Novanta quando il REMUAO (Réseau Migrations et Urbanisation en Afrique de l'Ouest) ha implicato diversi ricercatori internazionali e africani nella produzione di dati sulle migrazioni in contesti urbani e rurali. I risultati di tale studio sono pubblicati in: CERPOD 2000.

[8] L'approccio sistemico all'analisi dei fenomeni migraotir internazionali è stato indagato e applicato a livello mondiale, da: Simon 1995.

[9] Per un approfondimento per tale approccio all'analisi dei fenomeni deografici e, specialmente, per quanto concerne gli spostamenti di popolazione, si rinvia ai lavoi realizzati dall'équipe di ricerca dell'Università degli Studi di Bergamo coordoinata da E. Casti, tra i quali si segnalano: Casti 2004c; Ghisalberti 2003/2004; Bernini, Casti 2008. Si tratta di tre studi delle dinamiche territoriali determinate dallemigrazioni, nel primo e nel terzo caso, riguardanti l'immigrazione – rispettivamente africana e cinse – nel contesto urbano italiano, nel secondo caso, riguardante i movimenti internazionali nel contesto rurale ovest-africano. I tre esempi mostrano l'applicazione in contesti differenti di una metodologia di ricerca che tenta di far emergere gli aspetti connotativi del territorio mediante l'utilizzo di dati raccolti sul campo.

[10] Sulla cartografia partecipativa e sulle sue implicazioni sotto il profilo semiotico, si rinvia a: Burini 2006.

[11] Sotto il profilo semiotico sono stati prodotti diversi studi teorici innovativi tra i quali si ricordano, in contesto italiano: per il paesaggio, Turri 1979 ; per il territorio, Turco 1994 ; per la carta geografica, Casti 1998.

[12] Tale apparato ha trovato sede di pubblicazione nel seguente sito internet che riguarda il sistema cartografico interattivo e multimediale Multimap: <www.multimap-parcw.org>.

[13] L'impianto teorico per l'analisi degli aspetti socio-territoriali è desunto dalla Strategia SIGAP (Sistemi di Informazione Geografica per le Aree Protette), una metodologia di ricerca applicata alle periferie delle aree protette formalizzata in: Casti 2006. Essa ha finora trovato applicazione in due aree protette: il Parco Regionale W e l'Unità di Protezione e di Conservazione Arly.

[14] Una ricostruzione diacronica delle principali siccità che hanno segnato lo spazio saheliano è contenuta in: Gado 1993.

[15] Dal momento che la desertificazione ha costituito il primo problema ambientale affrontato, fin dai primi anni Settanta, a livello mondiale, la bibliografia in merito è assai cospicua. Tuttavia, il principale contributo in ambito italiano all'analisi della desertificazione è attribuibile a P. Faggi che ha condotto un'indagine dei molteplici fattori che la producono, oltre che delle conseguenze irreversibili che essa determina, con una particolare attenzione al recupero dell'azione umana; Faggi 1991, spec. pp. 129-139.

[16] I saperi territoriali tradizionali possono essere funzionali, vale a dire riconducibili a pratiche agricole, pastorali, cinegetiche o alieutiche, securitari, riconducibili al controllo pratico del territorio mediante tecniche di conservazione, o giurisdizionali, riconducibili alle modalità di accesso alle risorse naturali e allo statuto della terra (Turco 2004, pp. 601-616).

[17] In particolare, il sistema agricolo beninese, basato su una coltivazione di tipo intensivo, gode dei vantaggi di una pratica moderna, poiché prevede, accanto alla produzione di colture di sussistenza, una diffusione elevata della coltura speculativa del cotone. Tale pratica è stata favorita da politiche statali di sviluppo che sono sfociate nella scelta della coltivazione intensiva di determinati prodotti al fine di promuovere l'economia nazionale, mediante una struttura parastatale, la SONAPRA (Société Nationale de Production Agricole), che garantisce a livello centrale il buon funzionamento di ogni fase della produzione che avviene a livello locale.

[18] La tendenza all'emigrazione in direzione delle campagne, che soppianta la tradizionale direzione verso le città, connota ormai la maggior parte dei flussi regionali ovest-africani, ove anche in Costa d'Avorio viene denunciato un processo di disurbanizzazione (Beauchemin 2002 ; 2004). In particolare, dall'inizio della crisi di questo Paese, sono sempre più numerose le migrazioni di ritorno di vecchi emigrati burkinabé che si dirigono ora non solo nelle aree rurali di provenienza ma anche verso quelle urbane, tra le quali spicca la capitale Ouagadougou (Bredelup 2006).

[19] In particolare, queste zone offrono una valida alternativa alla crisi che ha colpito talune zone tradizionalmente attrattive, quali la Costa d'Avorio che con la guerra civile vede messa in discussione la sua funzione di epicentro del popolamento accelerato (Bossard 2003, p. 151-165).

[20] La tendenza dei processi migratori in Africa occidentale, intorno ai primi anni Novanta, è stata analizzata nel quadro del Réseau Migrations et Urbanisation en Afrique de l'Ouest – REMUAO, che ha visto la collaborazione pluriennale di studiosi africanisti internazionali e africani (CERPOD 2000).

[21] Sul ruolo di questo tratto della valle del Niger, si veda : Bani Bigou 1987.

 

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Referencia bibliográfica

GHISALBERTI, A. Cambiamenti nell’organizzazione territoriale in seguito alle migrazioni: La periferia del parco “W” – Benin, Burkina Faso, Niger. Diez años de cambios en el Mundo, en la Geografía y en las Ciencias Sociales, 1999-2008. Actas del X Coloquio Internacional de Geocrítica, Universidad de Barcelona, 26-30 de mayo de 2008. <http://www.ub.es/geocrit/-xcol/389.htm>

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