Biblio 3W. Revista Bibliográfica de Geografía y Ciencias Sociales
Universidad de Barcelona [ISSN 1138-9796] 
Nº 185, 26 de noviembre de 1999 

CASTI, Emanuela. L’ordine del mondo e la sua rappresentazione. Milano: Unicopli, 1998 p.228. ISBN:88-400-0544-7.

Marta Melucci


La cartografia, strumento basilare della ricerca geografica, si è siluppata nel tempo come una tecnica sempre più accurata e complessa di rappresentazione del territorio. Così come la visione del mondo, anche la sua rappresentazione da parte dell’uomo è cambiata nel corso della storia a causa di fattori storici, culturali e grazie al perfezionamento tecnico. Come scrive Humboldt: “Le carte geografiche esprimono le opinioni e le conoscenze più o meno limitate di chi le ha costruite” (1). Dalle rappresentazioni degli antichi, infatti, che rispecchiano le limitate conoscenze geografiche nonchè la forte influenza di elementi religiosi e culturali, si è passati ad una rappresentazione del mondo che si serve di simboli convenzionali che riproducano il più fedelmente possibile la realtà. Se sulle forme di rappresentazione intervengono diversi fattori, possiamo considerare la cartografia non solo rispetto all’ambito strettamente geografico, ma in relazione ad altre aree di ricerca.

Il testo di Emanuela Casti esprime molto bene questa relazione, in quanto propone un’analisi della cartografia da un punto di vista che potremmo considerare linguistico-filosofico. L’autrice definisce la carta geografica come un campo semiotico autoreferenziale, ovvero si concentra sul suo valore simbolico e comunicativo. La carta viene considerata come  traduzione attraverso i segni della realtà percepita dall’uomo.

L’analisi della Casti non si limita all’aspetto teorico di questa traduzione, ma anzi insiste sulle implicazioni pragmatiche della carta geografica. Essa è vista come uno strumento attraverso cui l’uomo interviene sul mondo per realizzare progetti di cambiamento.

Il testo è composto da cinque capitoli in cui vengono trattati i seguenti temi:

-la carta geografica come strumento utilizzato nel processo di territorializzazione;
-la carta come campo semiotico;
-il  suo dominio semantico, ovvero il processo di significazione dei luoghi;
-la sintassi della carta, cioè gli elementi che la compongono e la loro relazione;
-le implicazioni pragmatiche del mezzo cartografico.

Per territorializzazione l’autrice intende quel processo attraverso cui l’uomo conosce il mondo esterno e organizza il suo intervento su di esso. Gli esseri umani non sono semplici osservatori del territorio ma agiscono in esso e lo dominano. La possibilità di rappresentare il mondo, quindi,  non soddisfa solo un’esigenza teorica e descrittiva, ma è strettamente legata ad una sfera pragmatica. In questo processo la carta geografica diviene  strumento necessario a guidare l’azione dell’uomo.
La carta viene definita come campo semiotico in quanto costituisce un sistema comunicativo. Essa è la rappresentazione di una semiosi che si sviluppa col progressivo dominio del territorio da parte dell’uomo che comporta l’assegnazione di nomi e significati ai luoghi. La Casti parla tuttavia di una “metasemiosi” o “semiosi di secondo livello” in quanto la carta non è solo la traduzione grafica della relazione uomo-ambiente, ma comunica essa stessa  attraverso i simboli di cui è composta, trasmette autonomamente messaggi e crea significazioni.

Dare alla carta un valore semantico significa attribuirle la capacita’ di creare dei significati. La carta è definita come un testo polistrutturale costituito da codici. Gli elementi geometrici, i numeri, i colori, le parole costituiscono un campo semiotico e danno ai luoghi una significazione. La carta è un’interpretazione del territorio e come tale attribuisce valori differenti agli elementi che lo compongono. Esistono diversi gradi di semplificazione nella traduzione degli elementi fisici in simboli cartografici a seconda di ciò che del territorio si vuole mattere in rilievo. La scelta del grado di semplificazione dipende dall’intervento previsto sul territorio. Il significato attribuito ai luoghi non è quindi puramente teorico, ma strettamente legato all’azione dell’uomo sul mondo. Per progettare questa azione l’essere umano si pone, attraverso la carta geografica, al di fuori del mondo stesso, lo osserva dall’alto e cerca di coglierlo in una prospettiva ampia che l’osservazione semplice non gli consente. La Casti parla di un processo di vettorializzazione, e cioè di scelta della posizione rispetto al mondo che è possibile attuare attraverso la  carta.
La rappresentazione cartografica è formata dai nomi attribuiti ai luoghi  e da surrogati denominativi, cioè i colori , i numeri ecc. L’abbinamento di nomi e surrogati costituisce i simboli. Gli elementi denominativo e surrogativo possono acquisire valori diversi a seconda di ciò che la carta vuole mettere in risalto.

L’autrice apporta alcuni esempi di questa diversità. Le antiche mappe amministrative della Venezia del cinquecento, mostrano una forte prevalenza dell’elemento surrogativo. Esse agiscono più sul piano iconologico che descrittivo, mostrando elementi che simbolizzano il potere della città e il suo dominio. Al contrario, alcune carte militari della stessa epoca mostrano un maggior interesse per l’aspetto denominativo e descrittivo. In entrambi i casi, la scelta dei simboli è dettata dallo scopo pratico per cui le carte sono state redatte. Nel primo caso, questo scopo è la manifestazione della potenza territoriale di una città; nel secondo, è di dirigere lo spostamento delle truppe sul territorio. Sulla scelta dei simboli influiscono inoltre elementi storici e culturali da cui prescinde la visione stessa del mondo e quindi la sua rappresentazione.

Per quanto riguarda il primo dei due casi sopra  analizzati l’esempio a cui si fa riferimento è la redazione delle mappe di due cartografi che facevano parte in quel tempo delle magistrature veneziane delle acque e dei beni “inculti”: Cristoforo Sabbadino e Cristoforo Sorte. Quello del Sabbadino è un progetto per raccogliere l’acqua della parte orientale della laguna veneziana in un canale che la portasse a sfociare in un fiume fuori da quel territorio. Cristoforo Sorte progetta invece un sistema di irrigazione delle zone agricole più interne. Al di là delle finalità specifiche, entrambe le carte introducono elementi simbolici che non trovano corrispondenza nella realtà territoriale, ma che bene esprimono le intenzioni dei progetti di modifica. Le carte sono usate dai due geografi come strumento persuasivo, mostrano come la realtà potrebbe diventare attraverso l’intervento progettato. Nonostante le convenzioni sociali imponessero un controllo sulla redazione delle carte, si può dire che quelle di Sabbadino e Corte mantengano un valore comunicativo autonomo che è propriamente il valore attribuito dalla Casti alla cartografia.
Il secondo esempio è una carta militare della Lombardia disegnata da Giovanni Pisato nel 1440. In questo caso i simboli forniscono informazioni circa lo stato di appartenenza delle città, la loro importanza e il loro sistema di difesa. Ancora una volta, la scelta dei surrogati da parte del cartografo dipende dal fine comunicativo previsto.

Lo scopo previsto dalla carta geografica non è tuttavia l’unico messaggio che essa ci trasmette. Un concetto centrale nella trattazione della Casti è quello di “autoreferenza cartografica”. Esso viene definito come la capacità della carta di trasmettere informazioni indipendentemente dall’intenzione del suo costruttore. Si potrebbe dire che essa contiene messaggi che permettono al destinatario un uso che può essere  diverso da quello previsto da chi ha redatto la carta. Essa è autoreferente perchè condiziona l’azione su ciò che rappresenta, non solo descrive ma permette all’interprete di intervenire su di essa.
Attraverso la carta geografica l’uomo interviene sul territorio, elabora strategie di spostamento, cerca direzioni. Apparentemente la redazione di carte costituisce un aspetto  tecnico della ricerca geografica, un’attività che si svolge in laboratorio. Al contrario i viaggi e le scoperte costituiscono ciò che Dardel chiama la “geografia a vele spiegate”(2), cioè quella che ha luogo nel mondo, che si basa sull’osservazione diretta. La Casti mostra come in realta’ queste due forme di ricerca siano strettamente correlate. Le carte costituiscono il mezzo attraverso cui l’uomo ha potuto intraprendere viaggi e scoperte e sono tutt’oggi ciò che gli permette di pianificare il suo intervento sul mondo. Allo stesso tempo, le carte sono soggette ad una continua revisione proprio perchè l’intervento dell’uomo sul territorio ne cambia l’assetto e quindi anche la rappresentazione.
La funzione pragmatica della carta rimanda  inoltre alla relazione tra cartografo e destinatario e quindi alla possibilità di essere un mezzo di comunicazione. Il destinatario non deve necessariamente possedere le competenze tecniche del cartografo, ma , perchè avvenga la comunicazione, è necessario che conosca le modalità cartografiche, il significato dei simboli. Questi sono, come abbiamo visto il risultato di processi culturali e storici, nonchè di una scelta comunicativa. È necessario però che siano condivisi dai due interpreti. La carta è comunicativa se si rifà al patrimonio cognitivo di una società, ad una condivisa interpretazione del mondo.

Anche questo aspetto è dimostrato dalla Casti attraverso un esempio. Si tratta di una carta che il generale Oreste Baratieri distribuì ai suoi soldati in occasione della battaglia del 1896 ad Adua in Africa, durante l’epoca coloniale. Questo esempio è utile per dimostrare gli effetti negativi che una carta geografica può avere nel caso in cui non sia redatta correttamente. Il piano di guerra prevedeva l’incontro di diverse  truppe in un punto, incontro che non si verificò in quanto il disegno non rispecchiava in maniera esatta la disposizione territoriale. Questo perchè il generale Baratieri non si preoccopò di verificare che il sistema comunicativo da lui utilizzato (i designatori e i simboli) corrispondesse ad una conoscenza del territorio da parte dei militari. Il generale si limitò ad utilizzare un insieme di punti che non vennero riconosciuti dai sui soldati. La funzione comunicativa della carta in questo caso non trovò esito poichè il codice utilizzato non era condiviso dagli interlocutori.

Il testo di Emanuela Casti mostra in maniera chiara ed esauriente i molteplici aspetti della cartografia e fornisce interessanti spunti di riflessione. Innanzitutto mostra il carattere interdisciplinare della ricerca geografica. Il testo richiama alla relazione tra la geografia e la storia, le tradizioni culturali, le tecniche artistiche e in parte la filosofia intesa come tentativo di comprensione della realtà. Inoltre, considerando la carta come campo semiotico ci mostra il suo valore come mezzo di comunicazione. La carta geografica non è una registrazione di dati, ma costituisce un insieme di messaggi, è pensata dal cartografo per uno scopo e inerpretata dal destinatario. Cartografo e destinatario sono interlocutori che si servono della carta come tramite comunicativo.

Un’ulteriore riflessione riguarda la carta come prodotto grafico. Nelle carte cinquecentesche predominano alcuni elementi culturali e la rappresentazione è simile ad una raffigurazione artistica. In un certo senso il mondo è rappresentato più realisticamente, richiama la visione abituale che abbiamo di esso nonostante il rigore geografico sia scarso. Al contrario la geografia euclidea contemporanea offre una visione del mondo più semplificata e generale. La rappresentazione euclidea non corrisponde direttamente all’esperienza abituale che facciamo del mondo, costituisce una visione schematica in cui gli elementi del territorio sono ridotti a simboli. Si potrebbe dire che le carte moderne sono più accurate di quelle antiche e che tuttavia si discostano maggiormente da ciò che è la realtà così come la vediamo. Attraverso la carta geografica ci situiamo in uno spazio di cui non facciamo esperienza ma che immaginiamo intorno a noi ed essa ci permette di conoscere la disposizione dei luoghi senza che ci poniamo al loro interno. La visione “dall’alto” che ci offre del mondo non rimanda a nessun tipo di visione abituale che abbiamo del territorio in cui viviamo proprio perchè ci pone al di fuori di esso.

Dedicarmi come filosofa all’analisi di questo testo, mi ha permesso di  riflettere su questi  possibili punti  di contatto tra geografia e filosofia. Nonostante credo sia forzato parlare di una interpretazione filosofica della cartografia, sicuramente la si può considerare come il risultato di un processo di conoscimento e di appropriazione dello spazio da parte dell’uomo, della sua relazione con la realtà che è oggetto continuo di speculazioni filosofiche.
 

Note:
 

(1) Humboldt A., Histoire de la géographie du noveau continent et des  progrès de l’astronomie nautique aux VI et XVI siècles, vol.1, Morgand, Paris, 1836.

(2) Dardel P., L’uomo e la terra, Unicopli, Milano, 1952.
 

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