Biblio 3W. Revista Bibliográfica de Geografía y Ciencias Sociales
Universidad de Barcelona [ISSN 1138-9796] 
Nº 198, 17 de enero de 2000 
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GEOGRAFIA CULTURALE, GEO-POLITICA E IMMAGINAZIONE COGNITIVA
Giacomo Corna-Pellegrini



La crescente attenzione data alla Geografia culturale da studiosi (geografi e non) di ogni parte del mondo è in gran parte legata alla sua importanza, riconosciutale ormai ampiamente, come strumento indispensabile per la comprensione dei fenomeni geo-politici, talora addirittura per l' avvio a soluzione di delicati problemi geo-politici. Per altro verso, proprio il costante tentativo della Geografia culturale di fornire interpretazioni corrette a problematiche geo-politiche ha imposto una attenzione maggiore ad una modalità tutta particolare del conoscere, fondata sulla immaginazione, che si può forse definire immaginazione cognitiva.

I contrasti geopolitici hanno infatti generalmente le loro radici nella difficile convivenza, su uno stesso territorio, di popolazioni culturalmente diverse, nessuna delle quali tollera l' influenza e peggio il controllo che altra da sè propone o impone. La distanza, spesso, non è affatto d' ordine etnico, bensì strettamente culturale (spesso religiosa, ideologica o soltanto di costumi sociali). Essa si fa tanto maggiore quando, da una parte, risulta difficile o addirittura impossibile percepire il punto di vista altrui. Manca o ci si rifiuta di capire le altrui modalità di interpretare il senso della vita e quello della comunità in cui si vive. Cercare di coglierle, non solo con l' aiuto razionale di dati oggettivi, ma anche con l' immaginazione è uno strumento di conoscenza interessante: l' immaginazione si fa cognitiva.

Secondo alcuni etologi, molti animali, prima dell' uomo, hanno dimostrato e dimostrano il bisogno sia di conoscere che di immaginare. Essenziamente per procacciarsi cibo e riparo, nonchè per riprodursi (cioè per garantire la propria sopravvivenza come individui e come specie) essi hanno dovuto e devono non solo conoscere le caratteristiche essenziali dell' ambiente in cui vivono, ma anche immaginare i caratteri diversi di altri ambienti in cui trovare cibo - se questo difetta là dove sono - o in cui riprodursi nelle migliori condizioni ambientali, per l' accoppiamento e per la prole. Le migrazioni periodiche di molti animali, tra territori anche lontanissimi, sono uno degli esempi di questo fenomeno. Quanto di ciò sia istintuale e quanto consapevole è certo difficile dire. Il lento progresso di consapevolezza della diversità tra conoscenza diretta della realtà e immaginazione di un' altra realtà diversa dalla prima, verso cui orientarsi, fu probabilmente la linea centrale di evoluzione: dai primati agli ominidi e poi all' homo sapiens.

La conoscenza della realtà esterna muove dal livello sensoriale (la vista, il tatto, l' udito, l' olfatto, il gusto) e si approfondisce attraverso procedimenti di connessione tra i diversi fenomeni percepiti; tra essi è essenziale quello di "causa-effetto". L' immaginazione nasce, a sua volta, da una qualche conoscenza della realtà, e procede aggiungendo però, agli elementi da essa apportati, nuovi elementi, non constatati in alcun modo attraverso i sensi, ma invece inventati o creati dalla mente. Essi vengono proiettati a costituire una realtà virtuale di forme, colori, suoni, odori, gusti che tuttavia possono ritornare anche vivissimi a livello sensoriale, ed essere così in vario modo percepiti, quasi fossero essi stessi una realtà. L' attività onirica esemplifica perfettamente questa forma del pensiero, così come lo fanno i "sogni ad occhi aperti", che spesso contraddistinguono il dormiveglia.

Come nella vita quotidiana di ogni uomo, così anche nella ricerca scientifica la conoscenza e l' immaginazione si sono sempre trovate l' una accanto all' altra: l' una indispensabile supporto all' altra. Ogniqualvolta la riflessione scientifica cerca spiegazione ai fenomeni da essa esaminati, formula delle ipotesi, che poi tenta di verificare. Altro non fa che immaginare processi di accadimenti che non sono ancora dimostrati, ma che si cercherà appunto di dimostrare. Anzi, talora si formulano ipotesi alternative, immaginando scenari diversi di soluzione agli interrogativi posti dalla realtà conosciuta. La scomparsa dei dinosauri ha richiesto decine di ipotesi, ma prevale ormai quella della caduta di un grande meteorite nella zona dei Caraibi, perchè di esso si sono trovate tracce significative, più verosimili di quelle che attribuiscono il fenomeno ad altre ipotesi immaginate.

In tutte le scienze si impongono inoltre abitualmente extra-polazioni (da singoli campioni esaminati all' universo dei fenomeni studiati), nelle quali ciò che non è direttamente conosciuto comporta necessariamnete venga in qualche modo immaginato. La ricostruzione storica di fatti del passato (la cui precisa conoscenza è sempre soltanto parziale), si avvale costantemente dell' immaginazione come strumento essenziale di connessione dei fatti tra loro. Non diversamente si comporta la ricerca geografica. Per quanto analitica essa possa essere, inevitabilmente le sfugge una miriade di aspetti, la cui esistenza e i cui caratteri debbono tuttavia essere tenuti in conto quando si voglia dare di un territorio, dei suoi abitanti e dell' organizzazione territoriale una visione complessiva, necessariamente più sintetica della realtà stessa. Fu tra i primi Alexander von Humboldt ad applicare questa metodologia descrittiva e interpretativa nel suo viaggio in America del Sud.

Immaginare ciò che non si conosce è dunque procedimento abituale, ma anche delicato e talora foriero di errori. Tutta la cartogafia storica offre testimonianza del tentativo, continuamente rinnovato e perfezionato, di dare una forma e un volto a territori ancora sconosciuti o mal conosaciuti. Nel "grande oltre" della cartografia cinese o nell' "hic sunt leones" della cartografia medioevale occidentale, i confini delle terre sono soltanto abbozzati, proprio perchè sono soltanto immaginati. Anche la storia delle esplorazioni geografiche ha visto costantemente l' immaginazione come spinta alle imprese di nuova conoscenza della superficie terrestre, ma ha anche dimostrato come essa possa talora risultare fallace.

La scoperta del Nuovo Mondo da parte di Cristoforo Colombo, fu il risultato dell' erronea immaginazione che un solo oceano separasse l' Europa dall' Asia orientale. Si trattò di una straordinaria, anche se fortunata, lezione di umiltà, cui Colombo ebbe difficoltà ad adattarsi, finchè la spedizione di Magellano non pose fine ad ogni dubbio. L' immaginazione, per essere attendibile, deve appoggiarsi comunque su qualche elemento di realtà conosciuta; altrimenti resta uno strumento conoscitivo importante (come lo fu, in quel caso, la scoperta dell' America), ma sempre soggetto a discussione, verifica, e in definitiva a revisione rispetto alla formulazione iniziale.

Nella Geografia culturale la necessità di ricorrere alla immaginazione, accanto alla conoscenza diretta e documentata dei fatti, è particolarmente forte, poichè gli oggetti di questa branca del conoscere sono, accanto alla cultura materiale (cibarsi, vestirsi, abitare, lavorare), i modi stessi di pensare delle persone, la loro filosofia della vita, i valori cui attribuiscono particolare importanza, l' immagine che hanno di sè e gli altri di loro: cioè i principali cartteri della cultura immateriale. E' ben vero che dei caratteri della cultura non materiale molto emerge anche nei fenomeni osservabili direttamente, e che sono talora addirittura misurabili e quantificabili (paesaggi antropici, regole ufficiali di comportamento, strutture demografiche, etc.), ma per gran parte si tratta, invece, di realtà che possono soltanto essere immaginate, perchè hanno essenzialmente un carattere spirituale o psicologico. La diversa idea della divinità tra islamici, cristiani e induisti va essenzialmente immaginata e "pensata", mentre pure costituisce fonte di diversità sostanziale nella vita dei rispettivi fedeli, talora anche di contrapposizioni durissime.

Quale che sia la definizione di cultura cui si faccia riferimento, la Geografia culturale riguarda comunque la conoscenza di caratteri culturali localizzabili e localizzati in specifici territori (altrimenti non si tratterebbe di Geografia !). Per di più essi sono, per loro stessa natura, dinamici, e quindi evolvono continuamente nel tempo, talora assai rapidamente. Ciò comporta una varietà di punti di vista dai quali osservarli che necessariamente è molteplice, anzi è tale addirittura in una continua attualità in evoluzione. Senza una buona misura di immaginazione sarebbe dunque difficile rendere intelligibile qualunque rappresentazione di questi aspetti della realtà territoriale. A parte la presenza di diversi luoghi di culto, è sempre stato difficile cogliere la differenza tra Serbi, Croati e Sloveni, che pure tra loro si differenziano soprattutto per le rispettive, diverse religioni. Non è così per Bosniaci e Kosovari di religione islamica che, almeno per le donne, impone costumi visibilmente caratteristici.

Pur tenendo conto di tutto ciò che di una organizzazione territoriale è osservabile, misurabile e quantificabile, sarebbe spesso impossibile descrivere i caratteri culturali di un territorio e dei suoi abitanti senza ricorrere ad una lettura e interpretazione in gran parte soggettive, legate alle capacità immaginative di chi tenta di rappresentarli e di comprenderli attraverso la loro cultura immateriale. Ciò è facilmente rilevabile, ad esempio, in quelle descrizioni di Geografia culturale che procedono da una ispirazione letteraria o artistica, ove spesso l' autore ricorre a metafore, sottolineature di singoli aspetti, sovrapposizione di diverse chiavi di lettura, che sono tipiche di intelletti immaginativi. La Veduta di Deft di Vermeer, giudicata da Proust "il più bel quadro del mondo" offre un celebre esempio di lettura immaginativa di quella città e del suo ambiente di vita che nessuna fotografia, per quanto precisa e accurata, avrebbe saputo dare.

Una delle modalità più importanti e delicate dell' immaginazione è quella di porsi "nello sguardo altrui". Ciò è operazione complessa, ma densa di risultati in molti campi. Per esempio, la comprensione dei beni culturali presenti nel proprio territorio è talora facilitata dal cercare di vederli con occhi diversi dai propri. Così Goethe, con la sua attenzione al castello semidistrutto di Malcesine, mostrava agli stupiti abitanti di Malcesine l' importanza di quelle rovine, che essi avevano sempre considerato inutili. La stessa riflessione sui caratteri e i costumi del proprio gruppo sociale è resa più viva se accostata alla immagine che essi riflettono su osservatori stranieri ed esterni. Un Africano della boscaglia, giunto in Europa, trova inammissibile che le mandrie vivano chiuse in una stalla, anzichè muoversi libere tra i campi; quando vede una scala-mobile, si domanda come mai si muova continuamente quello strano tappeto. Inconsapevolmente, egli ripropone così agli Europei una riflessione sul loro stesso modo di vivere.

Altrettanto si può dire per quanto riguarda la difficile convivenza di due diverse comunità, che si trovino a vivere nello stesso territorio. Ciò anche perchè nel rapporto di una popolazione con il proprio territorio, l' immaginazione che se ne ha è spesso fortemente legata ad elementi simbolici. Essi ne accentuano una sorta di possesso che, in quanto tale, pretende d' essere esclusivo e monopolistico. Risulta perciò inimmaginabile (e quindi inaccettabile) che altri possano, rispetto a quel territorio, percepire un eguale rapporto di appartenenenza. Si tratta infatti, in questi casi, di immaginare qualcosa di sgradevole, che tale risulta soprattutto quando appunto viene caricato di elementi fortemente simbolici.

Gli Unionisti che nell' Ulster maciano in parata per le strade, intendono simboleggaiare, per loro e per i loro avversari Repubblicani, un possesso del territorio molto più pesante di quando lo percorrono separatamente. Il problema resta quello di porsi invece nel punto di vista antagonista e sforzarsi di capirlo, e prima ancora, appunto, di immaginarlo.

Così come è necessaria a livello scientifico, l' immaginazione è strumento essenziale anche a livello sociale e politico per comporre divergenze altrimenti insanabili. Il rifiuto o l' incapacità di porsi mentalmente in un punto di vista antagonista al proprio è forse la radice prima (o, se si vuole, l' espressione più dura) dell'odio tra comunità di diversa cultura che convivano in uno stesso territorio: Utu e Tutzi in Ruanda, Serbi e Albanesi in Kossovo, Unionisti e Repubblicani in Irlanda del Nord, Bianchi e Africani in Sud-Africa, Pakistani e Indiani in Kashmir, Cristiani e Islamici in Indonesia; addirittura Occidenali e Sovietici durante quarant' anni di Guerra Fredda.

Naturalmente, riuscire ad immaginare correttamente e compiutamente il punto di vista antagonista al proprio (soprattutto quando si tratti nondi singole persone, ma di intere comunità e popoli) è solo il primo passo per il superamento dei contrasti. Il passo successivo consiste non tanto nell' accettazione del punto di vista altrui, quanto nel rispettarlo come legittimo, e nel rinunciare ad imporre il proprio con la forza. L' esercizio, invece, di un potere di comando o addirittura di oppressione all' interno della propria comunità e/o sulla comunità altrui può rivelarsi inacettabile alla controparte. La violazione di fondamentali diritti umani costituisce una di queste situazioni, ma essa è spesso il limite estremo di una tensione che viene talora raggiunta dopo aver sistematicamente rinunciato al tentativo di "comprensione-immaginazione" dell' altrui punto di vista.

Dare spazio alla immaginazione come strumento cognitivo è dunque un' operazione complessa, perchè - in sede scientifica - richiede comunque conferme che solo con altri mezzi di conoscenza si possono raggiungere. Anche in sede operativa e politica, l' immaginazione del punto di vista altrui è soltanto l' inizio, e richiede a sua volta ulteriori processi di accettazione per divenire fattore di pacifica convivenza. In entrambi i casi l' immaginazione è però il primo passo per raggiungere risultati che, senza di essa, sarebbero impossibili.

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