Scripta Nova
Revista Electrónica de Geografía y Ciencias Sociales.
Universidad de Barcelona. [ISSN 1138-9788]
Nº12, 1 de diciembre de 1997

TEMPO LIBERO E CENTRI STORICI. Strutture religiose e riusi funzionali

Elvira Petroncelli
Dipartimento di Pianificazione e Scienza del Territorio Università degli Studi di Napoli "Federico II"


La città, manufatto realizzato dagli uomini per soddisfare le proprie esigenze, sembra versare in una crisi molto grave (di identità, di ruolo, da congestione, organizzativa, gestionale), non riuscendo quasi a rispondere alle istanze collettive per le quali è creata.

Il degrado da cui sempre più spesso essa è caratterizzata si può ritenere materializzazione del disagio avvertito quotidianamente dalla comunità, che non riesce a vivere armoniosamente con la realtà e che quasi soccombe sotto il peso di conflitti e tensioni.

Basta volgere lo sguardo intorno per registrare la presenza di gravi stati di crisi in tutti i settori. A destabilizzazione politica, conflitti più o meno cruenti tra popoli, inflazione, inquinamento, depauperamento delle risorse, degrado del territorio, delle aree urbane e del patrimonio in generale, fanno riscontro insicurezza, fame, disoccupazione, stress, insoddisfazione e violenza, segni tangibili di una diffusa sofferenza individuale e sociale.

Le grandi potenzialità, che la scienza e la tecnologia sono state capaci di offrire, hanno finito con il favorire la diffusione di processi perversi che hanno portato al collasso di molte aree urbane, pur se eccellenti espressioni della cultura e dell'azione umana, e all'annientamento di loro valori.

Il contesto culturale

Globalizzazione e specializzazione vengono spesso ad assumere valenze negative, anziché esprimere l'abbattimento di barriere prima insormontabili. Basta pensare al binomio spazio/tempoche, da limite incontrovertibile allo svolgimento di molte azioni umane o alla possibilità di comunicare in tempo reale, grazie allo sviluppo tecnologico, assume ora significati ben diversi. Gli effetti della diffusione di nuovi sistemi di comunicazione e la globalizzazione dei processi, che di fatto si generano, favoriscono la graduale perdita di specificità dei tessuti urbani e gli stessi comportamenti umani tendono verso atteggiamenti comuni. Le peculiarità "culturali" subiscono così forti mutamenti e si riducono le differenze, nel bene e nel male.

Viviamo in contesti di grandi dimensioni o comunque in città che in pratica non riusciamo a conoscere completamente e con le quali, quindi, abbiamo difficoltà a rapportarci. Le nostre attività ci portano sempre più ad avere contatti, in tempi reali, con soggetti dislocati in aree molto distanti da noi, ci sembra di conoscerli perfettamente, ne condividiamo problemi ed intenti, ma avvertiamo al contempo più forte, proprio quando ci sembra di riuscire a governare una grande quantità di elementi, la nostra dipendenza e vulnerabilità, il nostro modo molto limitato e parziale di conoscere persone e cose.

A ben guardare i modi in cui utilizziamo le nostre qualità e potenzialità, per lo svolgimento della vita e per favorire le relazioni, sembra di cogliere l'esistenza di un notevole sforzo per riuscire a governare e controllare gli eventi. Governo e controllo che, per quanto possano dare spazio anche a tentativi di coazione, vengono comunque a richiedere la conoscenza degli elementi con cui si interagisce, dei loro modi di relazionarsi e di configurare la realtà.

Nello svolgere le usuali attività siamo continuamente portati a confrontarci con problemi complessi e di dimensioni megalitiche. La difficoltà di vivere simili situazioni ci induce ad operare dei tagli, nel tentativo di fare "nostri" almeno dei brandelli e frammenti, ossia di riuscire ad armonizzare le esigenze che avvertiamo, con la realtà in cui viviamo, d'altra parte espressione e frutto del nostro comportamento.

Quanto ci può venire in aiuto da un approccio scientifico, quale quello sistemico, ci sembra provvidenziale e soprattutto all'apparenza conferma la validità del nostro operare. In realtà, se la possibilità di scomporre il complesso in entità semplici, ci fa recuperare entusiasmo e vigore, finiamo spesso quasi per dimenticare che la scomposizione di un sistema in sottosistemi non è fine a se stessa, ma rappresenta un mezzo per poter comprendere e definire le relazioni tra le componenti, ossia quei legami che vengono a sostanziare l'esistenza stessa del sistema.

Trascurare o quasi elidere lo studio delle relazioni (fase sintattica), che viene a rendere possibile la successiva ricomposizione monitorata dei sottosistemiprecedentemente ottenuti, significa di fatto privare delle sue peculiarità il sistema, distorcerlo e trattarlo da semplice insieme, fargli perdere il suo riferimento unitario, frammentarlo e guidarlo verso la disgregazione, anziché ricomposizione, alla luce della quale il cosa, come e perché diventa intelligibile.

Per rifuggire da una simile spirale perversa, forti di quanto il rigore di un approccio scientifico ci prospetta, si potrebbe dire che cerchiamo di sostituire al controllo del sistema quello dei sottosistemi, nel tentativo di configurarci una realtà più rispondente alle nostre capacità. Di fatto però veniamo a perdere di vista le valenze del sistema e finiamo con il ritrovarci frammentati tra cose che talvolta non riusciamo a porre in relazione tra loro o col non vederne le connessioni: è come se vivessimo rapportandoci a tanti obiettivi disgiunti, smarrendo criteri e fini cui fare riferimento.

I segni della sofferenza del nostro "habitat" oggi sono molto evidenti ed inducono all'avvio di un processo di graduale riconsiderazione dei modi di vita, ossia dei modi di rapportarsi con gli altri esseri viventi e con il territorio.

Il quadro che sempre più ci si prospetta non è certo edificante e si potrebbe anche leggere come frutto dello scollamento esistente tra la domanda sociale di beni e di servizi e la realtà urbana e territoriale. I diversi ritmi di trasformazione sembrano accentuare il divario e richiedere attente analisi e stime della prima, per meglio orientare e configurare la seconda.

Sotto accusa è l'uomo, artefice e vittima delle sue azioni. Tutto è posto in discussione: le logiche che guidano i modi di agire, gli stessi sistemi di vita. Una rilettura delle più significative tappe evolutive viene ad essere richiesta con forza, nel tentativo di recuperare valenze positive alle "radici" e di ritrovare validi criteri guida, che consentano sviluppo armonico e appagamento dei bisogni della comunità.

L'analisi delle esigenze umane e delle domande porta anche al riesame dei modi in cui una società utilizza il proprio tempo.

Se in passato l'intero sistema di vita veniva quasi ad esaurirsi nel binomio casa/lavoro, gradualmente, con la contrazione dei tempi destinati all'attività lavorativa, si sono andate introducendo altre dimensioni.

Stanti le attuali classificazioni si identifica abitualmente una quadripartizione dei tipi fondamentali di uso del tempo: a) tempo obbligato (lavoro retribuito e lavoro domestico); b) tempo costretto(spostamenti, attese, ecc.); c) tempo necessitato (dormire, mangiare, lavarsi, attività fisiologiche, ecc.); d) tempo libero (tutto ciò che rimane) - quando non si dà spazio ad una quinta classe, quella del tempo condizionato, che potrebbe comprendere attività di tipo educativo o forme di opportuna partecipazione alla vita politica e sociale.

Una simile spinta frammentazione, d'altra parte, la si potrebbe ancora leggere come espressione dell'odierna mentalità che porta a frazionare, per meglio controllare ed affrontare, le articolate problematiche che abbiamo davanti. E' forse possibile dire che l'uomo, cosciente dei propri limiti, senta il bisogno, di fronte ad elementi di grandezza infinita, di trovare una collocazione oggettiva, per potersi a questi rapportare.

In tale luce è interessante riflettere, da un lato, sul concetto di tempo, contraddistinto da un fluire inesorabile, indipendentemente dagli eventi, scandito in tutto il mondo mediante un unico sistema di misurazione - articolato in rigide suddivisioni di multipli e sottomultipli (...anni, mesi, giorni, ore, minuti, secondi,...) - dall'altro sul termine, che in una sua accezione corrente diviene sinonimo di relatività per i modi soggettivi di valutarlo e di misurarlo: esistono strutture temporali diverse in relazione alle società, agli individui ed ai ruoli che questi assumono nella comunità(1).

Oggi vi è la tendenza a considerare il tempo non più solo come qualcosa di regolare e immutabile, che segna in maniera inequivocabile un riferimento convenzionale universale; ognuno, quasi incondizionatamente, perviene a propri sistemi di misura e di identificazione. Si può arrivare a parlare di tempo guadagnato o rubato, quando in realtà si tratta di un qualcosa che fluisce all'esterno di noi ed a prescindere da noi.

Come emerge da alcuni studi lo scadenzamento degli eventi (timing) nel corso della vita è diverso, ad esempio in relazione ai soggetti (forti differenze in particolare si registrano tra i due sessi); questo porta ad allocazioni dei tempi, variabili per i vari compiti e in stretta relazione con il valore ad essi assegnato (2).

La nostra esigenza di governare e di controllare ci spinge, ancora una volta, a cercare di impadronirci e di dominare ciò che in pratica ci sfugge e non siamo in grado di riprodurre.

Se il tempo è così una risorsa irriproducibile e di cui scarseggiamo sempre più, è anche una risorsa in un certo senso duttile, nella misura in cui la possiamo differenziare qualitativamente, associandovi aspettative diverse sia rispetto alla qualità che alla quantità che "si ha" o che "si spende"(3).

Al di là comunque delle sfaccettature che la nozione di tempo assume e delle implicazioni ad essa sottese, è prioritario sottolineare che, come sempre, per un corretto riferimento a dei termini, occorre rifarsi alle valenze loro assegnate dalla "cultura" che li ha utilizzati. "Cultura" che, in relazione a quanto accettato dagli studi antropologici, si identifica con la "totalità complessa che abbraccia nozioni, credenze, arti, costumi, diritto, abitudini e tutti gli altri tipi di capacità e di costanti attività che sono proprie dell'uomo in quanto membro della società" (4) o con il "sistema di modelli di vita impliciti o espliciti condivisi da un gruppo sociale"(5).

Per comprendere il sedimentarsi di certe consuetudini e mentalità, è il caso di ripercorre, per grandi linee, le tappe dell'evoluzione del modo di ripartire il tempo tra attività diverse. Esso è anche frutto della scala di valori assegnata ai bisogni da soddisfare ed ai ruoli da questi rivestiti. Una rilettura può essere utile per ritrovare spunti sui quali far leva e rivedere valenze trascurate, ad essi sottese. L'obiettivo è di recuperare armonia nei nostri modi di vita, appagamento e non
disagio.

Il tempo libero

Per lungo tempo si è ragionato in termini dualistici tra tempo libero e lavoro, l'uno in contrapposizione all'altro, o anche definito come negazione dell'altro.

L'immagine del lavoro, come dura fatica, e quasi in contrasto con le peculiarità(6)ed aspirazioni dell'uomo, è già presente nel libro della Genesi: nell'Eden l'uomo dispone liberamente di quanto gli occorre e tutto gli è sottoposto, solo dopo "il peccato" egli è costretto a lavorare per procacciarsi il necessario. Il lavoro così, se da un lato si riveste di una valenza negativa, perché diviene espressione della condanna e segno di un qualcosa che è stato tolto all'uomo, dall'altro trova una sorta di rivalutazione per i "frutti" che consente di ottenere. All'uomo, vittima ma pur sempre superiore rispetto agli altri esseri viventi, è data la possibilità di riscatto e di tornare ad essere dominatore, mediante un uso equilibrato e ben orientato delle proprie potenzialità.

E' questo un invito a meglio riflettere sulle dimensioni in gioco, un prodromo dell'eterno conflitto tra lavoro e tempo libero, o vuole essere una chiave di lettura per riuscire a dare spazio ad un tempo dell'uomo?

Gran parte delle azioni umane invero gravitano su queste due sfere ed è interessante osservare le diverse valenze di cui esse sono andate arricchendosi, per coglierne le relazioni e gli elementi venutisi nel tempo a definire. Oggi infatti comincia a delinearsi sempre più uno sfioccamento dei margini e di molte ragioni che hanno alimentato la contrapposizione, anche perché l'attenzione va spostandosi sull'individuazione di criteri valutativi come validi parametri di giudizio. Essi non danno esclusivamente peso al tipo di attività che si svolge o al bisogno che si soddisfa, ma al modo ed alla condizione in cui l'esigenza manifestata trova risposta.

Volendo centrare l'attenzione sul concetto di tempo libero è forse utile un rapido excursus, nel tentativo anche di riuscire a cogliere le dimensioni che si sono andate via via definendo.

Con una visione quanto mai felice e molto vicina a linee di pensiero attuali, Aristotele, nell'Etica Nicomachea affermava "Il tempo libero non è la fine del lavoro, è il lavoro la fine del tempo libero", connotando così il tempo libero come uno spazio naturale per la realizzazione dell'uomo e per l'uomo, in cui l'obiettivo è il godimento etico-estetico. Il termine , che traduce indifferentemente riposo, ozio, studio, conversazione, assenza di lavoro e comprende attività contemplative e intellettuali, artistiche e di studio - in una società come quella greca di fatto divisa in schiavi-lavoratori e padroni-liberi - pone in maniera forte il dualismo tempo libero/lavoro. Il tempo libero non è in alternativa al lavoro, l'uno esclude l'altro: la esiste per chi non ha bisogno di lavorare e diviene quasi un privilegio per pochi.

Nel mondo romano, fortemente diverso per impostazione da quello greco, otiumè la parola primaria per definire il tempo dell'uomo. Il concetto di impegno e di lavoro, fondante per noi oggi e ugualmente importante nella struttura sociale romana, veniva di contro espresso con l'aggiunta di una semplice negazione (nec otium).

Se si pensa che il sistema di valori è sempre sotteso alle scelte lessicali di un popolo, appare a prima vista strana la scelta terminologica. L'articolata realtà del lavoro e dell'impegno potrebbe infatti apparire appiattita nella dimensione negativa utilizzata. In effetti però i termini otium e ozio(7) sono lontanissimi l'uno dall'altro, come spesso avviene per parole simili sul piano fonetico, ma lontanissime su quello semantico (humanitas: cultura, non umanità con valenza morale o di insieme di esseri). L'otium (riposo dalle attività manuali, occupazioni e affari) era un tempo di cui si disponeva liberamente, soprattutto per dare spazio ad attività intellettuali ed era un tempo da riempire, tempo per fare qualcosa, non sottratto da qualcosa. Tempo per esprimere se stessi soprattutto in attività di tipo spirituale e culturale.

Gli antichi romani, d'altra parte, per anni hanno offerto a tutto il popolo occasioni di svago: terme, parchi, spettacoli circensi erano diffusi in quasi tutte le città dell'Impero ed erano a portata dei più. E' talmente connaturata al sistema di vita romano l'attenzione al tempo libero che, secondo molti, proprio l'incapacità di saper gestire tutte le implicazioni ha accelerato la rovinosa caduta dell'Impero.

Con il fiorire del monachesimo occidentale il lavoro si connota di una nuova valenza positiva: S. Benedetto da Norcia impone ai benedettini "ora et labora" e riconosce al lavoro manuale valore etico.

Nel Medioevo ad attività "più nobili" (di pura contemplazione e di ricerca della conoscenza) si vengono a contrapporre quelle a carattere "servile" (con fini utilitaristici). Il nascere delle corporazioni artigiane e più tardi le prime forme di sperimentazione scientifica pongono l'uomo in un nuovo e più diretto rapporto con la natura, a prescindere dall'esistenza di Dio, è così che il lavoro conosce forme di rivalutazione, anche se è ancora presto per vederlo assurgere ad un ruolo primario.

A partire dal Rinascimento, infatti, il rifiorire di attività artistiche e letterarie, viene ad enfatizzare l'"uomo colto" e le valenze idealizzate nell'età classica riacquistano valore. Il tempo libero assorbe spazi che erano andati scomparendo, anche per ciò che concerne l'allestimento di appositi elementi urbani.

La riforma protestante, riproponendo una visione del mondo più austera, assume invece un atteggiamento ostile nei confronti del tempo libero, che si colora soprattutto di valenze edonistiche: il lavoro ha il sopravvento(8).

Se Voltaire arriva ad affermare che il lavoro è naturale per l'uomo e l'allontana da tre mali (noia, vizio, bisogno), Pascal sostiene che niente è più insopportabile del riposo assoluto, senza impegno, senza applicazioni. Il lavoro impedisce all'uomo di sentire "il suo nulla, il suo abbandono, la sua insufficienza, la sua dipendenza, la sua impotenza, il suo vuoto". Il lavoro cioè sembra assicurare all'individuo un giusto equilibrio e quasi un mezzo di elevazione.

E' indubbio che con il passare degli anni si consolida così un ribaltamento ed il lavoro, da dura fatica delegata in special modo agli schiavi ed ai sottomessi, prende il sopravvento e conosce forme di nobilitazione che lo portano a sancire nuove sfere di diritti(9): il lavoro esprime la vocazione dell'uomo; Dio, secondo una rilettura della Genesi, ha creato il lavoro "per l'uomo". Di riflesso il tempo libero assume un ruolo subordinato. Per Marx, esso esiste solo in quanto "tempo socialmente necessario alla riproduzione della forza lavoro" e non ha uno spazio indipendente ed
autonomo.

Il filone di ispirazione marxista guarda al tempo libero come ad una entità strettamente dipendente dal lavoro; si tratta in un certo senso di una "contropartita" imposta da questo che, nelle visioni più spinte, dà luogo ad una spirale perversa: la classe lavoratrice produce ed una diminuzione del "tempo di lavoro" determina un incremento del "tempo libero", ossia del "tempo di consumo". Diviene basilare allora orientare l'uso del "tempo libero" a fini socialmente utili e favorire una corretta pianificazione socio-economica che porti a tramutare in tempo libero gran parte del tempo non dedicato al lavoro.

Nella società capitalista il comportamento dell'uomo è completamente asservito agli interessi del sistema (E. Fromm), che risulta di fatto reprimere i valori umani (H. Marcuse). Il tempo è solo fittiziamente libero (H. Lefebvre), il non lavoro non significa inattività, ma un'attività svincolata dalla produzione del plus-valore (P. Naville).

Nell'ambito della cultura capitalista un diverso filone ideologico porta poi ad analizzare i modi d'uso del tempo libero e le loro relazioni con la struttura sociale. Il tempo libero appare così con una funzione riequilibratrice per il lavoratore, pur se molto spesso occasione di nuove forme di competizione sociale, attraverso i comportamenti di consumo.

E' con la Scuola di Chicago (R.H. Park e E. Burgess) che esso assume una valenza positiva, quale elemento che favorisce il ristabilirsi di equilibri resi difficili dai mutamenti sociali accelerati. La personalità umana, continuamente sollecitata da impulsi perturbanti, può trovare elementi di rigenerazione e superare più facilmente sfasature. Il tempo libero consente la libera realizzazione individuale (D. Riesman). Non si tratta più quindi di una rigenerazione di energie da profondere nel lavoro, ma di recuperare sfere di azione e potenzialità umane (Mead).

Il processo evolutivo, ricco ed articolato, favorisce dunque il nascere di filoni di pensiero nei quali trovano modo di esprimersi sia le idee marxiste, sia quelle emerse nel contesto dell'economia liberale: nuovi spunti di riflessione danno sostanziosi apporti alla tematica lavoro/tempo libero e finalmente si può intravedere la possibilità di spazi autonomi di definizione.

La forte contrapposizione tra lavoro e tempo libero comincia ad infrangersi quando il progresso tecnologico favorisce il diffondersi di una mentalità liberatoria nei confronti del lavoro. Non a caso tra gli elementi che hanno dato impulso allo sviluppo tecnologico vi è la ricerca di affrancare l'uomo dalla "fatica" e pian piano da tutto ciò che, attraverso l'imposizione, sembra impedirgli di sentirsi "libero" e di esprimere la sua umanità.

Il processo però, se per alcuni versi estremamente positivo, favorisce sia una sorta di appiattimento riduttivo del lavoro, principalmente considerato in relazione alla produzione e quale elemento discriminante (chi non lavora è un parassita e non ha spazio nel sistema), sia una distorsione del concetto di libertà.

E' forse proprio questa posizione estrema che guida ora alla possibilità di intravedere nell'attività lavorativa un'occasione di crescita e di sviluppo, nonché ad un recupero di valori. La consapevolezza della necessità di rivalutare la componente umana, spinge a ridurre la meccanicità del lavoro, a recuperare spazi per esprimere pensieri, sentimenti, interessi, creatività, specificità, e anche, indirettamente, ad affievolire l'idea di obbligazione, insita per altro nel concetto di lavoro(10).

Se sembra però che si vada configurando, quasi a riscatto della condizione lavorativa, un nuovo fattore quale la gratificazione (per altro non necessariamente remunerata), è pur vero che il sistema culturale vigente finisce inesorabilmente col tradurre tutto in termini economici e col monetizzare anche i più elevati ideali umani(11).

La graduale demolizione, inoltre, delle barriere tra lavoro e tempo libero e la svalutazione dell'idea di obbligazione porta a far considerare la retribuzione come misura di un corrispettivo e ad annullare gli stimoli positivi che di contro potrebbero trovare espressione, una volta superata la contrapposizione.

Se ormai i tempi sono comunque maturi perché si parli di tempo libero non in termini antitetici, non sempre vi è completa chiarezza di idee circa il significato del termine e le valenze ad esso sottese, e questo genera anche difficoltà nel passare da un idioma ad un altro.

Vi è innanzitutto da osservare che il termine "tempo libero" è spesso usato con una accezione generica, ma al tempo stesso riduttiva, quasi scambievolmente con altri termini che per altro non sono da ritenere sinonimi (svago, riposo, ecc.), e che comunque la forte tradizione culturale porta tuttora a definizioni sempre in contrapposizione all'attività lavorativa(12).

Il privilegiare l'aspetto che si tratta di un tempo libero da..., porta ad enfatizzare la dimensione di assenza di coazione e la possibilità di disporne liberamente, che in realtà trova poi forti limitazioni sul piano pratico ed etico.

Per prima cosa, come emerge dalla ripartizione dei modi di uso del tempo, non è vero che tutto quello non dedicato al lavoro si può ritenere "libero"; in secondo luogo si rischia di dare eccessivo spazio all'idea che si tratti di un tempo "vuoto" e "da riempire", elidendo quindi, in un certo senso, le molteplici valenze positive che un libero per ... potrebbe fare intravedere.

Certo la trasformazione del costume sociale, economico e produttivo, nello scenario post-industriale, progressivamente incide sulla quantità di tempo lavorativo e moltiplica quella di tempo extra lavorativo. Il fenomeno viene a coinvolgere tutti gli strati sociali ed è accompagnato da estesi cambiamenti di ordine sociale e culturale, sotto la spinta anche del diffondersi di iniziative diverse: culturali, ricreative e sportive.

Spesso inoltre hanno il sopravvento azioni promosse da interessi in campo economico, che portano a favorire sempre più politiche tese a "riempire" il tempo libero, senza considerare quest'ultimo come una risorsa da utilizzare per soddisfare delle reali esigenze dell'uomo.

Il senso di disagio e di insoddisfazione, di fronte a mancate risposte, porta spesso l'uomo verso azioni disperate e violente; è così che il naturale potenziale aggressivo che egli detiene trova un fertilizzante nelle condizioni di vita e finisce per generare violenza fine a se stessa.

Sempre meno l'uomo si gestisce autonomamente; la pervasività del sistema fa sì che ognuno di fatto sia solo teoricamente libero, pur se il vedere esaltate le proprie capacità sembra fare acquisire maggiore libertà di azione. La troppo spinta specializzazione spesso viene a ridurre la vera comunicazione e favorisce l'isolamento, sotto il miraggio di una autosufficienza.

Viviamo dimensioni irreali caratterizzate da apparenti illimitate occasioni di comunicazione e di incontro, ma si tratta di fatto di rapporti di facciata che allontanano dalla realtà e danno spazio al "selfismo"(13). "Si vive sterilmente 'fuori di sé', perché si vive chiusi dentro di sé, in una interiorità falsa perché esclude l'altro", scrive Baggio(14), e che porta a considerare l'altro come un oggetto, all'occorrenza anche de-umanizzato.

Tutto il sistema attuale sembra far fortemente leva sulla competitività ed aggressività, ma è indiscutibile che l'uomo abbia bisogno, per crescere e svilupparsi positivamente, di rapporti armonici con gli altri. Si tratta quindi di porsi in un'ottica propositiva e di guardare al tempo liberocome ad un momento di realizzazione dell'essere. Il tempo libero, allora, non sarà un tempo di risulta, liberato da ... e fine a se stesso, ma soprattutto: un'occasione per vedere soddisfatte esigenze; un campo di azione che porta ciascuno a ritrovare le specificità del suo ruolo; un tempo da poter destinare ad attività finalizzate a rendere la vita piacevole; un tempo che favorisce la comunicazione e la socializzazione e che predispone l'individuo ad orientare le proprie potenzialità, anche per obiettivi volti al miglioramento dell'ambiente in cui vive.

Di fatto il sistema di vita attuale sembra quasi stimolare un insieme di fattori negativi: i condizionamenti esercitati nel campo del lavoro (imbrigliando in rigidi schemi meccanicisti l'attività umana), delle relazioni sociali (nel tentativo di riuscire a controllare i comportamenti), della cultura e delle idee (con gli appiattimenti ed i falsi miti che i mezzi di comunicazione di massa sono capaci di determinare) finiscono per eliminare molti naturali sbocchi all'azione, senza per altro dischiudere nuovi settori più o meno preordinati, ove dare sfogo a naturali esigenze.

Non volendo soffermarsi sulle molteplici manifestazioni negative del degrado sociale ed urbano(15), l'uno espressione dell'altro, e superare l'ormai logoro dualismo lavoro/tempo libero è possibile osservare che già oggi, anche se da quanto fin qui osservato potrebbe sembrare strano, gran parte delle attività lavorative sono finalizzate alla prestazione di servizi, cioè orientate a soddisfare delle esigenze umane. E' così che molte attività, che per alcuni versi si collocano nella sfera del "lavoro", per altri sono da annoverare in quella del "tempo libero". Come non riguardare allora in termini complementari, invece che dualistici, la problematica e recuperarne le diverse valenze, affinché si giunga ad agire sinergicamente verso l'obiettivo comune: la realizzazione dell'uomo in tutte le sue componenti?.

Tempo libero e vita urbana

Il panorama che oggi ci si prospetta circa le condizioni di vita in molte parti del mondo, e nelle stesse aree urbane dei cosiddetti Paesi Sviluppati, non è certo dei più allettanti. L'escalation della violenza(16), in forme diverse e sempre più degradate e perverse, è terrificante e spesso si arriva a sostenere che è proprio la violenza la più significativa espressione del vivere urbano. In realtà il tema non può essere così riduttivamente affrontato. Forse, come sempre più accade nel campo della medicina, occorre non guardare solo agli effetti del "male" e ad essi ovviare, ma è opportuno studiare il problema cercando di individuare idonee azioni di prevenzione.

Senza preoccupazione di apparire riduttivi si può rilevare come sempre si è ritenuto che, ad esclusione di anomalie personali che trovano espressione in deviazioni patologiche, due sono le motivazioni che prevalentemente portano a generare violenza: esigenze di sopravvivenza, che danno luogo a forme più o meno esasperate di manifestazioni circoscritte nel tempo; esigenze psico-sociali, quali espressioni comportamentali protratte nel tempo.

Alla nozione di violenza si sottende una valenza fisica e psicologica che, nel progressivo allargarsi di tale nozione, soprattutto nei riguardi della persona umana man mano che la vita appare come l'unico valore assoluto e finale, porta ad accrescere la consapevolezza delle cause sociali e delle sofferenze umane che genera.

Oggi l'emergere del concetto di eguaglianza, come uno dei valori fondamentali della nostra civiltà, induce ad annoverare tra i casi di violenza qualsiasi situazione di subordinazione o di discriminazione ed il forte risalto dato all'uomo, di fronte all'abbondanza di cose che riesce a produrre, porta a diminuire l'importanza della violenza su cose facilmente riproducibili.

Proprio in relazione ai valori cui l'odierna società urbana fa riferimento, appare che la violenza originata dal desiderio di soddisfare esigenze psico-sociali è sempre più rilevante. Non è il caso di sostenere l'esistenza di rigide relazioni causali, ma è possibile riconoscere che fattori naturali e istintivi, assenza di chiari riferimenti, indebolimento dei controlli sociali e permissivismo, sono quasi dei fertilizzanti, elementi che determinano la predispozione alla vulnerabilità. E' in tale contesto che più forte emerge l'interrogativo circa la possibilità di poter considerare gli atti di violenza espressione di insoddisfazione nei riguardi delle risposte date dalla città ai bisogni ed alle aspirazioni umane.

In Italia, dagli anni '50 ad oggi, si è registrato un notevole incremento dei reati contro il patrimonio e contro l'economia pubblica, che trova una componente determinante nell'esigenza di disporre di denaro e di beni facilmente monetizzabili.

Purtroppo non vi sono statistiche puntuali circa i soggetti della violenza, così come mancano dati correlati tra tipo di crimine e soggetto che lo compie, o tra soggetto e oggetto, è per questo che letture incrociate possono consentire di formulare solo alcune ipotesi circa i fattori che favoriscono la criminalità(17).

Poche osservazioni sono però sufficienti per richiamare la portata del problema e come comunque esso possa essere letto quale manifestazione di assenza di armonia nel sistema di vita.

Se ad un primo sguardo e sotto alcuni profili la dimensione urbana e la qualifica di capoluogo di provincia (ossia un insieme di funzioni e caratteristiche urbane) sembrano incidere sul fenomeno "violenza", ad una osservazione più attenta emerge che, ad una fase in cui i quozienti di criminalità hanno assunto valori più elevati (anche triplici e quadrupli, sia come dati globali che disaggregati), abbia fatto riscontro, in anni più recenti, una tendenza alla riduzione del divario. Nasce allora spontanea la domanda se tale trend possa essere ritenuto un indice di come ormai si tenda verso comportamenti comuni, anche per gli effetti indotti dai mass media, o se più semplicemente il fenomeno della non denuncia, ad esempio, sia più presente nei capoluoghi, vuoi perché nei piccoli centri più ci si conosce, vuoi per un atteggiamento di sfiducia circa l'azione tesa a ristabilire l'equilibrio che il reato ha alterato.

Circa il 66% dei delitti risultano di autore ignoto e se il dato lo si somma con quelli non denunciati (di certo in alcuni casi molti) i reati non puniti finiscono quasi con l'avere il sopravvento.

Uno sguardo ai dati circa i "soggetti minori" mette in evidenza anche altri elementi. Al di là del diffuso processo sociale che ha portato gli adulti a coinvolgere sempre più i minori (ad esempio per i diversi criteri di penalizzazione), si rileva che questi, in virtù dei loro modi di vita, risultano fortemente esposti ai messaggi di violenza, sesso e consumismo che i mass media diffondono: il malessere che è possibile cogliere dal loro comportamento più o meno deviato, lo si potrebbe definire soprattutto frutto di una "patologia dell'abbondanza".

Anche i suicidi, pur se non sono annoverati nelle statistiche sui crimini, possono essere letti come un'ulteriore significativa manifestazione della disintegrazione del rapporto tra il sistema esterno e quello personale. Il fenomeno, in forte escalation, è andato assumendo connotazioni particolari coinvolgendo sempre più le fasce non lavorative. Il dato può essere considerato senza dubbio come il segnale di un disagio sempre più diffuso ed avvertito di non riuscire a realizzare un'armonia tra aspirazioni, canoni di comportamento e realtà di vita, e viene da riflettere sulla validità dei modelli di comportamento oggi proposti e sul loro modo di rispondere a reali esigenze umane.

Al di là comunque di considerazioni che possono portare ad una migliore conoscenza dei fenomeni di devianza ed a comprenderne i moventi (sempre più emerge che i tassi di crimine sono da associarsi non a livelli di povertà, ma ad ineguaglianze tra classi), appare che folta è anche la schiera dei "nuovi poveri", quelli cioè che, pur godendo di tranquille condizioni economiche, lamentano l'impossibilità o la difficoltà di soddisfare i propri bisogni, per una non adeguata rispondenza alle loro istanze, dei servizi e di tutto il sistema.

Le statistiche oggi riportano che più del 12% della popolazione soffre di depressione, ossia non riesce a stabilire un rapporto armonico tra sistema fisio-psicologico e quello funzionale, ma fino a che punto, allora, non è possibile ritenere che fattori biologici ed organici entrano in crisi a seguito di input esterni, elementi e messaggi che inducono a posizioni conflittuali?.

In uno scenario in cui tutto sembra deporre a sfavore della città è però inutile abbandonarsi a radicali rifiuti ed è invece il caso di impegnarsi affinché il binomio azione-aggressione possa, ad esempio, giungere a tramutarsi in azione-realizzazione, dischiudendo all'individuo nuovi ed affascinanti obiettivi da poter perseguire in tempi non rigidamente programmati e condizionati da esigenze biologiche o produttive.

Parlare di realizzazione pone qui un nuovo aspetto.

Secondo il Devoto-Oli realizzazione è "traduzione in effetto di quanto costituisce desiderio, o di quanto è naturalmente predisposto all'effetto"(18)e questo implica un'idea di soddisfazione(19). L'uomo per soddisfare i suoi bisogni svolge delle attività; da un lato cioè esso è portato a plasmare lo spazio per meglio adattarlo alle proprie esigenze, dall'altro a trovare degli adeguati modi di ripartire la sua risorsa lavoro tra ambiti diversi. Tutte le attività che l'uomo svolge sono finalizzate al soddisfacimento di bisogni; è il tipo di esigenza che questi esprimono che viene a determinare la domanda da soddisfare ed in parte i requisiti che devono avere i luoghi ove svolgere l'attività richiesta.

Le attività del tempo libero sono per eccellenza non quelle originate da esigenze elementari primarie (cibo, casa, salute,...), ma di tipo più elevato. Sembra naturale che l'elettività delle scelte porti a ritenere imprescindibile una richiesta di soddisfazione, ossia di rispondenza al bisogno manifestato.

In tale contesto si impone il ricorso al sempre più diffuso concetto di qualità, non certo riconducibile a valori meramente estetici, ma più genericamente ad una rispondenza alla domanda d'uso(20).

Se è difficile pensare ad un tempo libero non proiettato in tale direzione, non è comunque da ritenere che il soddisfacimento del bisogno sia una prerogativa del tempo libero. E' piuttosto da considerare che è insito nell'uomo il bisogno di esprimersi in quanto essere, non in dipendenza da una "macchina", e quindi di manifestare le sue più elevate doti umane (pensieri, sentimenti,...).

Il tempo libero costituisce la sfera privilegiata ove dare spazio a istanze che possono portare ad una maggiore attenzione a sé, all'altro e all'ambiente in generale. Diventa allora estremamente difficile un elenco(21) delle attività da svolgere nel tempo libero, molte di esse non ne sono una pertinenza specifica, ma una possibile espressione in relazione al tipo di bisogno che soddisfano (un tipico esempio può essere dato dal "mangiare/bere" o dagli "acquisti").

Per ciò che concerne il tempo libero è il caso di rilevare infine come, a differenza di quanto avviene in altri settori, è l'utenza che viene ad assumere un ruolo determinante. Le caratteristiche socio-culturali dell'utenza (livello economico, demografico e d'istruzione), le possibilità di comunicazione (accessibilità, tipi di reti, sistemi di trasporto pubblico, parcheggi, ...) e le condizioni individuali e strutturali incidono, in relazione al ciclo, sulla ripartizione dei tempi e soprattutto sui requisiti sottesi alla domanda che, nella valutazione della prestazione, assumono un ruolo significativo.

Diverse, poi, sono le componenti che vengono a caratterizzare i luoghi a supporto delle attività del tempo libero. Accanto a quelli basati su peculiari risorse (ambientali, culturali, storico-artistiche, ...), sono da considerare quelli che presentano opportunità specifiche (luoghi di spettacolo, centri culturali, centri ricreativi, circoli sportivi, ...) e quelli con opportunità non specifiche (residenza, spazi commerciali, centri soggiorno/ristoro, spazi pubblici collettivi, centri espositivi, ...), ma non per questo meno frequentemente utilizzati per il tempo libero.

In una fase come quella attuale, definita di crisi urbana, è naturale che forte sia la ricerca di strategie che possano rivitalizzare la città e riorientarne positivamente lo sviluppo. Nasce allora spontaneo l'interrogativo: se il tempo libero è un tempo per eccellenza proiettato al soddisfacimento delle aspirazioni umane, può questo assurgere anche al ruolo di risorsa e come tale essere riconsiderato per la soluzione di alcuni problemi urbani e dei centri storici? In che misura "migliori offerte" possono contribuire ad un armonico sviluppo sociale?

I precedenti richiami a fenomeni in atto hanno prospettato problematiche diverse ed articolate sfaccettature cui potersi riferire. La ricchezza di implicazioni rende certamente complesso il discorso e non affrontabile completamente in questa sede. A titolo puramente esemplificativo, quasi per far cogliere il lavoro puntuale che è necessario condurre, si può portare all'attenzione la situazione che oggi si verifica diffusamente a livello urbano. L'imperversare dell'individualismo e, di riflesso, l'assenza del senso di "comunità" portano non solo ad una disgregazione dei rapporti e delle azioni umane, quanto ad un anonimato nei modi di vivere gli spazi urbani. Il rilevante fenomeno dell'associazionismo d'altra parte costituisce un tentativo parziale di creare elementi aggreganti, perché il loro stretto tematismo finisce spesso con il favorire contatti settoriali, non completamente coinvolgenti, e la formazione di "gruppi".

La "comunità" differisce dal "gruppo". La "comunità", secondo la terminologia di F. Tönnies (Gemeinschaft), ha qualcosa di diverso e di più anche rispetto alla "società" (Gesellschaft). Mentre quest'ultima è "un insieme organizzato di individui", la prima è caratterizzata da un "insieme di persone che hanno in comune rapporti sociali, linguistici, etici"(22). Per riportare il discorso a termini utilizzati in precedenza e per far comprendere le differenze strutturali che si configurano, si potrebbe dire che, sotto alcuni profili, esiste un parallelismo tra "gruppo" e "insieme", "comunità" e "sistema".

Il rapporto del singolo con la comunità diviene necessario proprio per riuscire a cogliere la propria identità; nel contesto della vita degli individui la comunicazione, il confronto, l'acquisizione di riferimenti sono dei momenti altamente formativi del vivere umano.

Proiettati in un'ottica del genere è facile leggere i segni del degrado negli attuali comportamenti umani e rendersi conto come la vita finisca con il veicolare negative esperienze. Se il movente dell'azione umana si identifica sempre con il soddisfacimento di bisogni, sembra che si sia perso di vista il fine. E' questa sostituzione ancora espressione del modo limitato e frammentato di affrontare la realtà, che poiché troppo complessa ci sfugge in tutte le sue componenti?

Forse è il caso di ricercare, attraverso l'osservazione dei comportamenti sociali, un'indicazione circa le istanze da dover prioritariamente soddisfare, onde favorire processi armonici di sviluppo e non lesivi.

Nell'attuale trend evolutivo si possono cogliere forti i segni di due istanze sociali: la ricerca di contatti diretti e reali, non mediati e artefatti; la ricerca di coinvolgimento personale e di ricchezza di esperienze.

La consapevolezza che non sempre nell'attività lavorativa è possibile che trovino soddisfazione tali istanze, porta a ritenere che l'ambito del tempo libero rappresenti più adeguatamente la sfera elettiva per esse. La storia d'altra parte ci mostra come, proprio nei momenti di maggiore ricchezza e di forte definizione di "culture", rilevante è stato il ruolo della comunità e l'azione condotta da organismi di ispirazione diversa.

In conclusione allora, se partiamo dal principio che l'uomo è detentore di un'energia che assolutamente deve esternare, è naturale ritenere che occorre orientare l'azione umana affinché il potenziale che l'individuo possiede non generi violenza e distruzione, ma crescita e rapporti armonici.

Il sistema attuale propone modelli di vita che molto si discostano dalle situazioni reali dei più. Questa frattura si accentua nella misura in cui i modelli sono preconfezionati e rigidi, strutturati in base a norme impostate su esigenze di mercato, non su valori della "cultura".

Accade così che le utenze, che per diversi motivi non riescono a inserirsi nel sistema preordinato, si vanno collocando ai margini di esso e vivono con difficoltà: la violenza di cui sono attori e vittime è quasi il segno del loro disagio.

La risposta a tutto ciò la si può dare ridisegnando lo scenario delle attrezzature per il "tempo libero" e dando spazio a vocazioni e potenzialità che altrimenti potrebbero fare adire alla violenza.

Abitudini e stili di vita sono determinanti, ma è importante comprendere anche come condizioni economiche, livello di istruzione e struttura demografica incidono sui comportamenti e vengono a porre domande precise. Le classi di età, ad esempio, costituiscono una forte discriminante soprattutto per ciò che concerne i tempi a disposizione per le attività del "tempo libero", nonché i tipi di domande.

Prospettive per i centri storici

Troppo a lungo nel piano urbanistico non è stato dato rilievo alle naturali istanze della collettività e non si sono considerati molti bisogni umani. E' il caso, invece, che questo recuperi le proprie finalità sociali ed economiche e si proietti in avanti, non secondo logiche ormai obsolete.

Entrare in una simile ottica rende possibile guardare con interesse alle potenzialità che la società, ed ogni "cultura", detiene e prestare attenzione alla realizzazione delle attrezzature per il tempo libero.

La logica additiva che ha guidato il processo di sviluppo urbano, ben lungi da qualunque visione organica della città, ha per alcuni versi causato una sorta di graduale atrofizzazione di sue parti, che in precedenza svolgevano ruoli cardine, venendo spesso ad inficiare tutto il sistema.

La frammentarietà con la quale fino ad ora si è proceduto è stata la naturale risposta all'assenza di criteri e di logiche cui fare riferimento; essa ha finito il più delle volte con il far divenire i centri storici delle sacche di spontanea emarginazione.

Molto spesso l'assenza di un reale processo di pianificazione lascia ampio margine ad interventi autonomi ed individuali che vengono ad alterare, se non il tessuto urbano, le volumetrie, la compagine socio-economica, la qualità edilizia.

Infrangere i canoni di un modo di concepire il centro storico, sul piano economico, sociale e qualitativo, diviene così sempre più un'impresa molto difficile.

L'inesorabilità dell'invecchiamento dei manufatti, ad opera degli agenti atmosferici, ma anche il mutare dei modi di vita e la graduale secolarizzazione di molte attività, ha portato nel tempo alla creazione di "vuoti", in molteplici accezioni, che vengono necessariamente a richiedere interventi più o meno radicali ed un insieme di opere per adeguare le costruzioni e gli spazi al modificarsi delle istanze della comunità.

La città, che per secoli è andata riproducendosi su se stessa, senza realizzare drastiche sostituzioni, ha visto nella scarsa attività di rinnovamento una sorta di azione di salvaguardia del patrimonio immobiliare, che finisce però col mostrare ora i suoi limiti.

La visione spesso limitativa di norme prescrittive, quale unica forma di salvaguardia, evidenzia come il vietare qualunque intervento debba essere considerato espressione di un malinteso rispetto del monumento.

Di fronte ai vistosi risultati di politiche esclusivamente prescrittive, che il più delle volte hanno finito con l'incentivare ciò che miravano ad impedire, occorre che oggi ci si riorienti alla definizione di regole per favorire azioni corrette.

La consapevolezza che sia necessario ridare nuovo slancio agli interventi sul centro storico, a garanzia proprio della qualità degli stessi, induce ad intraprendere con urgenza nuove fasi operative. In tale contesto particolare importanza assume la definizione dei riusi.

Numerosi sono i documenti emanati a livello internazionale, negli ultimi sessanta anni, in relazione alla definizione di principi e di criteri a guida degli interventi sul patrimonio storico-architettonico-culturale. Da essi emerge distintamente come, se si vuole perseguire una conservazione "integrata" e "globale", la definizione dei riusi non può certo identificarsi con una valutazione delle capacità di singoli "contenitori", ma richiede scelte e decisioni relazionate a ruoli ed a prerogative dell'area e dell'intero contesto urbano e territoriale.

I centri storici costituiscono il fulcro delle aree urbane e di molte attività economiche e sono degli elementi cardine sia sul piano socio-culturale che economico-funzionale.

Uno sguardo a quanto verificatosi negli ultimi decenni mette facilmente in evidenza i grandi mutamenti che si sono registrati nei modi di utilizzare gli spazi urbani ed i sistemi di comunicazione. D'altra parte è logico che la diffusione della innovazione tecnologica, ad esempio, abbia comportato dei cambiamenti nei modi d'uso anche del centro storico.

Per alcuni anni si è guardato con interesse alle attività amministrative e commerciali, ritenendole potenzialmente capaci di ridare vitalità alle aree più stratificate. Si sono avviati così molteplici interventi, ma non se ne sono valutati attentamente tutti gli impatti e gli effetti.

Oggi si colgono facilmente le distorsioni e le "distruzioni" che tale modo di procedere ha determinato e diviene spontaneo tra l'altro osservare come, sotto la spinta della telematizzazione, rapidamente vadano mutando molti modi di gestire le attività (e di riflesso sia le esigenze allocative e spaziali delle stesse, che le istanze della collettività) e come quindi occorra giovarsi di approcci più sistematici ed interrelati per la definizione di riusi funzionali.

La congestione da cui oggi molti centri storici sembrano essere gravati si può risolvere nella misura in cui si ridimensiona la domanda di spazi per alcune categorie di attività ritmate, che contribuiscono alla formazione di parte dei flussi di traffico concentrati. La rapida evoluzione del settore informatico ha portato ad una totale riconfigurazione di molte attività, affrancandole da rigide esigenze allocative. Questo senza dubbio, per ciò che concerne i centri storici, ha avuto il positivo risvolto di frenare il dilagare di tali attività in aree centrali e di consentire il recupero di spazi per funzioni che si giovano della prossimità fisica.

E' inevitabile che, nell'attuale situazione di grandi cambiamenti, il rischio di radicali e irreversibili interventi possa favorire atteggiamenti ispirati ad una eccessiva staticità. Il centro storico, quale testimonianza viva delle diverse vicende della città, non deve però essere museificato e divenire oggetto di interventi architettonici settoriali, ma deve continuare ad esprimere la vita della città in tutte le fasi del suo sviluppo. Non si tratta di alterare l'esistente intervenendo pesantemente su di esso per adeguarlo alle nuove esigenze del sistema, ma di guardare alle valenze che gli interventi di riuso e di recupero possono assumere per la riqualificazione urbana.

In relazione alla rilettura delle vocazioni e peculiarità occorre studiare i modi per ottimizzarne l'uso e per riorganizzare le attività, avendo per obiettivo il miglioramento, anche in termini qualitativi, dei sistemi di vita e di relazione.

La scarna attenzione dimostrata negli anni recenti ai bisogni dei residenti e dei diversi tipi di fruitori ha portato a considerare il centro storico per sue peculiarità spaziali ed architettoniche, più che funzionali e sociali, guidati quasi da astratti criteri estetici e dimenticando che obiettivo primo deve essere soddisfare le esigenze della collettività.

Una volta che, affrancati dalle esigenze della prossimità fisica per alcune attività ritmate, si può liberare tale area da funzioni che ne snaturano la sua dimensione, essa potrà non solo ritrovare la dispersa vitalità, con il reinserimento delle residenze e delle attività connesse, ma anche divenire più adeguatamente luogo di incontro e di convergenza umana, al di fuori di rigidi canoni e impegni che, automatizzandone i ritmi, la rendono poco permeabile all'evoluzione della domanda.

Bisogni di tipo culturale, di identità sociale, di sperimentazione della realtà circostante e di relazioni umane richiedono spazi ed ambienti che possano favorire sviluppi armonici, non rapporti conflittuali; in tal senso i centri storici, quali testimonianze concrete della nostra storia, sembrano rappresentare dei naturali e privilegiati riferimenti.

Il recupero delle radici non è altro che la ricerca di agganci saldi e certi alla nostra origine, di concretezze nel mare di incertezze che caratterizzano il "cambiamento", cui ininterrottamente siamo soggetti. La spinta al riuso ed al recupero diviene espressione tangibile delle problematiche attuali e soprattutto del modo di porsi di fronte ad esse: sentiamo lo stimolo a riagganciarci al passato, ancorati però fermamente al presente e proiettati verso il futuro.

In tale contesto il riuso riscopre quasi nuove potenzialità che danno spazio ad azioni creative: queste trovano espressione non solo a livello formale, quanto funzionale, allorché si tratta di definire le destinazioni da attribuire agli spazi ed ai volumi da recuperare. Il recupero, infatti, non è risanamento tecnico-igienico, ma un'azione che crea "indotto" sociale e culturale, oltre che economico.

Se queste possono apparire premesse teoriche, in realtà si pongono come indicazioni progettuali.

La maggiore disponibilità di tempo libero, che sempre più si va delineando, viene ad innescare nuove attività "transazionali opzionali" e, quindi, esigenze socio-culturali e spaziali che possono generare un rinnovato interesse per le aree centrali. Nonostante le possibilità offerte dai nuovi sistemi di comunicazione, proprio per la pressante ricerca di rapporti fisici, è indubbio che si vadano affermando innovate forme di vita associata e molteplici esigenze di contatto che, nell'attuale clima di recupero culturale, possono trovare soddisfazione proprio nelle aree urbane fortemente stratificate.

La nostra civiltà usa città strutturate su sistemi di vita diversi ed è venuta ad introdurre sostanziali innovazioni tecnologiche, ideologiche e relazionali, che con difficoltà cercano di farsi spazio nel sistema preesistente.

La valenza che assume il centro storico costituisce un nuovo fattore da riconsiderare attentamente, non solo per evitarne la distruzione, quanto per individuarne le potenzialità. Le stratificazioni, di cui i nostri centri storici sono ricchi, non sono altro che un tangibile segno di ciò, che non deve essere rivisto, come precedentemente è successo, in termini negativi.

Soprattutto in relazione allo stato di avanzamento delle teorie di intervento, il centro storico non può essere considerato come un elemento negativo e limitativo, ma si deve cogliere la nuova valenza che viene a rivestire non solo per ciò che concerne il recupero del patrimonio edilizio, quanto per quello culturale, sociale ed economico.

La presenza di un centro storico può essere senza dubbio rivista come una potenziale risorsa da utilizzare.

Il centro storico deve rappresentare per noi una certezza e, proprio nell'attuale stato di generale crisi, è importante renderlo più rispondente possibile alle odierne esigenze e realmente nostro: ancorato cioè al presente, sufficientemente flessibile ed adattabile alle istanze future.

I centri storici possono perfettamente ospitare una quota delle nuove domande determinate dalla maggiore disponibilità di tempo libero.

Il recupero ed il riuso di manufatti nei centri storici possono essere riconsiderati in relazione alla possibilità di riuscire a polarizzare l'interesse e le energie di quanti occupano il tempo extra-lavorativo nella ricerca affannosa di emozioni e di esperienze idonee a soddisfare alcuni bisogni.

Il riuso porta ad una "riattualizzazione" del tessuto urbano /e con essa ad una rivitalizzazione che ha anche obiettivi sociali.

Nell'attuale momento congiunturale le attività del "tempo libero" possono costituire la via per la riconversione di tutto il sistema, a patto di guardare secondo nuovi parametri al problema: occorre con realismo dare priorità all'utenza, consapevoli che il soddisfacimento dei suoi bisogni e delle sue legittime aspirazioni potrà favorire atteggiamenti diversi e non disintegrativi dell'ordine sociale.

Uno sguardo al contesto che caratterizza la gran parte dei centri storici porta facilmente ad evidenziare la frequente forte presenza di un significativo patrimonio di edifici e complessi religiosi, quasi sempre frutto di iniziative concepite in stretta relazione con l'evolversi della vita sociale e dell'intera struttura urbana.

Dall'osservazione di come questi, al di là delle loro funzioni cultuali, hanno sempre rivestito un importante ruolo nel sociale, è sembrato naturale cogliere un interessante elemento per la riflessione, che porta a delineare indicazioni per una riorganizzazione endogena di tali aree, al fine di renderle più rispondenti alle attuali esigenze collettive, pur nel rispetto delle specificità di tali particolari componenti urbane.

Dall'approfondimento delle principali tappe del processo di strutturazione, in parallelo all'evoluzione dei ruoli e delle funzioni svolte nel tempo, delle loro collocazioni nel sistema urbano, ossia dei rapporti venutisi a determinare tra l'edilizia religiosa ed i bisogni sociali, si possono ottenere importanti segni che aiutano a definire nuove possibili loro valenze. Perché non guardare, ossia, a tale patrimonio senza tradire, d'altra parte, le istanze che ne hanno determinato la realizzazione?

I complessi ecclesiastici sono sorti e sono stati usati da sempre per il culto, l'assistenza, l'educazione e l'addestramento, per libera scelta di chi li deteneva. In alcuni periodi molti ordini religiosi, infatti, si distinguevano per i loro ruoli nel sociale, per cui non sembra deprecabile un loro nuovo riorientamento in relazione ad attuali istanze collettive.

Pensare a loro possibili riusi avrebbe ha il duplice scopo di suggerire possibili letture delle istanze sociali e di rispondere ad esse in stretta assonanza con quanto sempre, nel corso della storia, si è fatto.

Se è spesso necessario adoperarsi per poter essere tempestivi nel soddisfare i bisogni, e quindi quasi poter prevedere le domande, è necessario però non fomentarle, per non rischiare di originare false esigenze.

I centri storici, che quasi sempre nel tempo hanno ospitato residenze e attrezzature religiose e civili, con l'articolato sviluppo delle funzioni commerciali e terziarie in genere registrano radicali modifiche negli schemi originarii.

La graduale secolarizzazione delle attività ha accelerato l'obsolescenza di molti complessi religiosi e spesso la loro destinazione a nuove funzioni culturali e sociali; essa, quando non attentamente considerata, ha finito con il favorire dispendiosi interventi privi per altro di esternalità.

E' di fronte all'abbandono, se non sempre fisico di certo funzionale, che oggi si deve guardare con rinnovato interesse al patrimonio storico-architettonico religioso, con la convinzione che esso costituisca una risorsa inestimabile da riconsiderare nelle sue originarie peculiarità.

La lettura dell'evoluzione dell'edilizia religiosa può costituire un'occasione per riflettere sull'armonico rapporto stabilitosi, attraverso i secoli, tra le attività religiose e la vita sociale. L'idea che il recupero di tale patrimonio risulti perfettamente in linea ancora oggi con gli obiettivi della Chiesa e che si possa guardare ai suoi ruoli funzionali, quali rivelatori dell'esistenza di un'importante risorsa per il sociale, sembra trovare ulteriore forza nella constatazione che il centro storico è il luogo di convergenza naturale per la comunità e che, come tale, può essere anche considerato un ideale polo di attività per il tempo libero.

NOTAS

1. Il termine "tempo" è probabilmente di origine indoeuropea ed ha la stessa radice del verbo tagliare, col significato iniziale di "divisione (del tempo)" (AA.VV. Vocabolario della lingua italiana. Bologna: Zanichelli,1983.)

E' utile ricordare che l'esistenza di una problematicità della nozione di tempo (proprio per la duplice presenza di un aspetto soggettivo, legato al vissuto di chi lo misura, ed uno oggettivo, connesso ai fenomeni esterni con cui lo si misura) fu avvertita già da Aristotele e formulata in termini nuovi da S. Agostino, che ruppe la visione ciclica pagana in favore di una lineare-progressiva.

2. La Saraceno nel suo studio, in particolare sulle donne, parla di fasi distinte e di ruoli da contemperare che portano alla definizione di scadenzari con orari molto articolati e strutturati in maniera diversa nel corso degli anni: tempo biologico; tempo della procreazione; tempo di lavoro quotidiano; tempo della famiglia (donna, moglie, madre); tempo di lavoro nel corso della vita (tempo della formazione, della carriera, del pensionamento). La stessa organizzazione del lavoro familiare richiede una grande flessibilità per facilitare l'adattamento continuo alle strutture temporali dei membri. (Saraceno, C. Pluralità e mutamento. Milano: Franco Angeli, 1987.)

3. Ibidem, p.150. Il discorso, quasi paradossalmente, porta la Saraceno ad osservare che è possibile lo "scambio tra qualità e quantità del tempo". "Se si vive in diverse strutture temporali e queste sono in qualche misura moltiplicabili, anche il tempo passato a fare l'una o l'altra cosa, o in cui l'una o l'altra esperienza avviene, è difficilmente misurabile con un unico metro, sia a livello di valutazione soggettiva che di rilevazione empirica.... Il fatto che si sia presenti in un luogo e ad un'attività con un tipo di attenzione secondaria non rende omogeneo il tempo passato in quelle attività a quello passatovi da una persona con attenzione primaria", pp.151-2.

4. TYLOR, E.B. The origins of culture. New York: Harper Torchbooks, 1871; 1959, pp.1-2.

5. KLUCKHOHN, C. KELLY, W. H. The Science of Man in the World Crisis. in Linton, R. (a cura di), The Concept of Culture. New York: Colombia University Press, 1945, p.91 (Trad It. P. ROSSI (a cura di), 1970. Il concetto di cultura. Torino: Einaudi, 1970.

6. "... il lavoro costituisce una dimensione fondamentale dell'esistenza dell'uomo sulla terra" (cfr. Lettera Enciclica Laborem exercens di Giovanni Paolo II, parte II Il lavoro e l'uomo).

7. Oggi il termine indica uno stato di "abituale e viziosa inerzia, per lo più come effetto di una pigra rinuncia all'attività ed alle occupazioni utili" (DEVOTO, G., OLI, G. Dizionario della lingua italiana. Firenze: Le Monnier, 1971.) o "l'abitudine di non far nulla per indolenza, o anche per motivi di salute" (PALAZZI, F. Nuovissimo Dizionario della lingua italiana. Milano: F. Fabbri editore, 1974.)

8. La Fontaine nella morale delle sue favole esalta spesso l'attività lavorativa in opposizione al godimento ozioso.

9. Da quando la rivoluzione industriale affianca alla nozione di "lavoro" il concetto di "lavoro subordinato", si introduce una connotazione particolare per il termine "lavoro", che ha insita l'idea di una debolezza del prestatore, subordinato alle decisioni del datore. Se l'intervento legislativo però, teso a dare garanzia al più debole, favorisce indirettamente una concezione alienante del lavoro, è pur vero che, con l'enfatizzazione delle potenzialità date dall'innovazione tecnologica, si avvia comunque un processo di riscatto.

10. Dal punto di vista giuridico, sociale e sindacale, l'attività lavorativa è quella svolta da una persona che per contratto si obbliga, mediante retribuzione, a prestare le proprie energie alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore, oppure a prestare al committente, dietro corrispettivo, il risultato del proprio lavoro.

11. La mancata gratificazione riportata dà spazio ad espressioni come "è fin troppo quello che faccio per come sono pagato".

12. Tempo libero: "quello che non è dedicato al lavoro e può essere impiegato per la vita familiare, lo svago, la cultura personale" (AA. VV., Il grande dizionario Garzanti della lingua italana. Milano: Garzanti, 1990. "quello al di fuori dell'orario di lavoro, utilizzabile per il riposo o lo svago" (AA. VV., Il nuovo Zingarelli. Milano: Zanichelli, 1988.)

Svago: "temporaneo allontanamento da una consuetudine operosa a scopo di riposo o ricreazione" (DEVOTO, G. OLI, G. Vocabolario illustrato della lingua italiana. Milano: Selezione dal Reader's Digest, 1977."; "divertimento, passatempo" (AA. VV. Il grande dizionario della lingua italiana. Milano: Garzanti, 1990.)

Leisure (ingl.): free time from work or other duties" (AA. VV. Oxford Advanced Learner's Dictionary. Bath: Oxford University Press, 1994.)

13. Come scrive P. Vitz "Il selfismo è in effetti la filosofia ideale del consumismo, è letteralmente tagliata su misura per chi dispone di tempo e di denaro....La pubblicità del primo consumismo e la filosofia che ne era alla base miravano a vendere cose. L'enfasi del selfismo odierna, che riflette una fase successiva della filosofia consumista, è usata per vendere servizi e attività, cioè stili di vita" (VITZ, P. Psychology as Religion. Grans Rapids: W.B. Eerdmans, 1977. (Trad. it. Psicologia e culto di sè. Studio critico. Bologna: EDB, 1987, p.66).

14. BAGGIO, A.M.Il nome dell'altro. Roma: Città Nuova, 1995, p.41.

15. Per considerazioni su dati, circa una possibile relazione tra violenza, tempo libero e vita urbana, confronta Petroncelli, E. Violenza urbana, tempo libero e centri storici, in LUCARELLI, F. G. Marotta, (a cura di) Unesco per la tutela dei centri storici. Napoli patrimonio dell'umanità. Napoli: Studio Idea, 1994, pp.275-85.

16. Si definisce "violenza" la "qualità disintegrativa di un rapporto tra due sistemi" e si dice che "l'incontro tra due corpi è violento quando mette in pericolo o incrina l'integrità di uno di essi o di ambedue".

17. A rendere più difficile il compito contribuisce l'elevata percentuale dei delitti di autore ignoto (circa il 66% del totale) i quali, sommati a quelli non denunciati (di certo in alcuni casi molti), finiscono col fare avere quasi il sopravvento ai reati non puniti.

18. DEVOTO, G. OLI, G. Vocabolario illustrato della lingua italiana., Milano: Selezione dal reader's Digest, 1977.

19. DEVOTO, G. OLI, G.Adeguazione piena alla misura di una richiesta. In Vocabolario illustrato della lingua italiana., Milano: Selezione dal reader's Digest, 1977.

20. CANIGLIA, C. La qualità è il grado di soddisfacimento di una domanda. Quality of Environment. Towards a Ridefinition, in Town Planning Review, 1993, vol. 64, n.1, pp.37-46.

21. Usualmente in relazione al ciclo (giornaliero, settimanale, annuale, della vita) si fa riferimento a: riposo, cura del corpo, mangiare/bere, mangiare/bere fuori casa, divertimento/svago, intrattenimento, informazione, lettura/istruzione, hobby, attività sociali, acquisti, sport, svago, incontri culturali/scientifici, consultazione, visite culturali.

22. DEVOTO, G. OLI, G. Vocabolario illustrato della lingua italiana. Milano: Selezione dal Reader's Digest, 1997.


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