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Índice de Scripta Nova

Scripta Nova
REVISTA ELECTRÓNICA DE GEOGRAFÍA Y CIENCIAS SOCIALES
Universidad de Barcelona. ISSN: 1138-9788. Depósito Legal: B. 21.741-98
Vol. XII, núm. 270 (127), 1 de agosto de 2008
[Nueva serie de Geo Crítica. Cuadernos Críticos de Geografía Humana]


AL DI LA’ DELL’ ADRIATICO L’ ALTROVE

Enrico Squarcina
Università degli Studi di Milano Bicocca
Dipartimento di Scienze Umane per l’Educazione
(enrico.squarcina@unimib.it)


Al di là dell’Adriatico l’altrove (Riassunto)

I testi di geografia per la scuola elementare hanno un ruolo fondamentale nella costruzione di un modo di vedere il mondo, di adottare categorie meta spaziali, come qui e altrove, vicino e lontano, centro e periferia, da cui deriva il nostro modo di rapportarci con gli spazi e con chi li abita e di attribuirgli caratteri distintivi. La descrizione dell’Albania fatta dai libri di testo, tende ad attribuirgli dei caratteri nettamente negativi a farne un “altrove” che per contrasto carica di valori positivi l’Italia. L’emigrazione albanese dunque è vista come un pericolo in quanto capace di importare quei caratteri attraverso la cui negazione ci identifichiamo. 

Parole chiave: Geopolitica popolare, Educazione, Libri di testo, Albania.


Over the Adriatic, the elsewhere (Abstract)

Geography textbooks for primary school have a key role in building up a way to look at the world, in adopting spatial categories such as here and elsewhere, near and far, centre and suburbs. This influence the way we develop to relate ourselves with spaces, with people living in them and to attribute to them different features. Textbooks describe Albany with a clear negative tendency, by attributing to it very negative features and by making it an “elsewhere”, which by contrast fills Italy with positive values. Hence Albanian migration is seen as a danger capable to import those features in which negation we identify ourselves.

Key words: Popular geopolitics, Education, Scholastics books, Albania.


Uno dei più importanti apporti della “Critical geopolitics” è stata la rivalutazione dei concetti gramsciani di “egemonia” e “senso comune” (Gramsci, 1975), intendendo con il primo termine “una forma di dominio socio-politico, che legittima l’azione di governo, sia in campo nazionale sia internazionale, attraverso l’impiego di strumenti ideologici, anziché coercitivi” (Antonsich, 2001, p. 736), e con il secondo uno dei principali mezzi di affermazione dell’”egemonia”, cioè la condivisione sociale di significati, miti, interpretazioni storiche e metageografiche, ritenute talmente evidenti da non necessitare di dimostrazione, da poter essere considerate “naturali”. Proprio la necessità di basare l’ordine politico e sociale su fondamenta condivise ha reso necessaria da parte del potere una costante attenzione alla produzione di cultura, accademica, ufficiale e comunque “elevata”, ma anche, e forse soprattutto, popolare.

Per questo motivo la geopolitica critica ha posto la propria attenzione non solo sulla geopolitica formale o sulla geopolitica pratica, ma anche sulla “geopolitica popolare” (O’ Thuathail, 1996). In particolare Joanne P. Sharp (1993, 1996), ha sottolineato la necessità di analizzare il discorso delle entità che producono cultura diffusa, di massa, che, come l’informazione radio-televisiva, la stampa quotidiana e periodica, il cinema, la letteratura popolare, i fumetti e così via,  hanno un ruolo importante nella costruzione del “senso comune”, nel plasmare quell’opinione pubblica che nelle democrazie occidentali è alla base del consenso.

Uno dei principali enti volti alla costruzione di una cultura diffusa condivisa e normalmente accettata acriticamente, è la scuola, in particolare la scuola primaria che viene, proprio per l’elementarità dei contenuti che trasmette, generalmente ritenuta priva di ogni ruolo politico e metapolitico, ma che, rivolgendo i propri argomenti ad individui in via di formazione, ha un ruolo importante nella diffusione di valori ideologici che verranno così considerati “naturali” e, conseguentemente, accettati acriticamente dai cittadini.

Fra tutte le discipline presenti nella scuola primaria la geografia, o meglio “la geo-grafia, in quanto localizzazione dei fenomeni, descrizione dei luoghi, misurazione dello spazio, ma anche tentativo di fornire delle spiegazioni sul tema delle relazioni uomo-ambiente e ambiente uomo, è uno strumento formidabile di potere” (dell’Agnese, 2005, p. 9) che, pur pretendendo di assumere un approccio oggettivo e distaccato (Farinelli, 1992), contribuisce alla costruzione duratura di un modo di vedere il mondo, da cui dipende la costruzione di categorie meta spaziali, come qui e altrove, vicino e lontano, centro e periferia, da cui deriva il nostro modo di rapportarci con gli spazi e con chi li abita e l’attribuzione di caratteri distintivi.  La geografia, e la geografia scolastica in particolare, tende ad assumere una serie di categorie interpretative dicotomiche che si rafforzano per contrapposizione, così a “sviluppato” si oppone “sottosviluppato”, a “ricco” “povero”, a “civile” “selvaggio”, a “democratico” “tirannico” e via discorrendo e tende inoltre a spazializzarle, quasi a voler trasformare le differenze economiche, sociali e culturali in rassicuranti, in quanto facilmente individuabili, misurabili, cartografabili, differenze spaziali. Tende a costruire una regione del “noi”, ideata come omogenea, che si contrappone ad una regione del “loro”, che trova nella “diversità”, al di là della sua complessità, il motivo della sua individuazione, del resto più funzionale alla costruzione per contrapposizione del “noi” che alla sua effettiva conoscenza. Questo ruolo del discorso geografico è talmente consolidato che Simon Dalby (1991) ha definito “il discorso geopolitico come un processo di esclusione spaziale (il momento essenziale nel discorso geopolitico è la divisione dello spazio fra il ‘nostro’ e il ‘loro’ spazio; la sua funzione politica quella di incorporare e regolare ‘noi’ in quanto uguali e distinti, da ‘loro’, in quanto diversi)” (dell’Agnese, 2003, p. 38).

In questo contributo si vuole analizzare come le sezioni di geografia dei libri testo per la scuola primaria italiana, pubblicati tra il 1989 e il 2003, hanno presentato l’Albania.

Di qua e di là dell’Adriatico

La scelta di analizzare come questo Stato fosse presentato ai piccoli alunni delle scuole italiane non è ovviamente casuale. Italia e Albania, divise da un braccio di mare largo appena 40 miglia nel punto più stretto, ebbero storicamente, già a partire dall’epoca pre-romana, quando su entrambe le sponde dell’Adriatico erano insediate popolazioni Illiriche, relazioni la cui intensità e qualità subirono forti variazioni nei diversi periodi storici (dell’Agnese, Squarcina, 2002, pp. 231-249).

Con la fine della Seconda guerra mondiale, e la conseguente fine dell’occupazione coloniale italiana che era iniziata nel 1939, l’Albania, posta dalle vicende storiche dal lato orientale della “cortina di ferro”, passò dall’essere considerata dagli italiani “la quinta sponda d’Italia” (Eichberg, 1997) ad essere “una sorta di ‘buco nero’ nelle carte mentali degli italiani” (dell’Agnese,  Squarcina, 2002, p. 239). Da parte albanese però si guardava sempre con interesse verso il dirimpettaio italiano, in particolare la radio e la televisione italiani rappresentavano una finestra sull’ “occidente” tant’ è vero che negli ultimi anni del regime circa un terzo della popolazione albanese riceveva almeno un canale televisivo italiano (Dorfles, Gatteschi, 1991).

All’inizio degli anni Novanta, alla caduta del governo Alia e del regime che aveva governato l’Albania per quasi cinquant’anni, squassato dalle conseguenze del crollo del Muro di Berlino, questo Paese si ripropose prepotentemente all’attenzione degli italiani prima con la cosiddetta crisi delle ambasciate, poi, nel marzo e nell’agosto del 1991, con due imponenti ondate migratorie, la prima accolta dal governo italiano, la seconda respinta. L’idea dell’Albania (e degli albanesi) che si fecero gli italiani si legò a quella delle “carrette del mare” stracolme di un’umanità stracciona approdate sulle nostre coste. Man mano allo stupore, alla curiosità, al miraggio di poter trovare in questo Paese un eldorado economico, subentrò la paura, l’idea di alterità, di pericolosità, di problematicità, se non altro a causa dei flussi migratori clandestini e dei flussi illegali tra le due sponde dell’Adriatico. Questa idea fu confermata, anzi rafforzata, nel 1997, quando a causa del crollo delle società finanziarie piramidali in Albania scoppiò una rivolta cieca ed insensata che gettò il Paese nel caos e dissipò definitivamente l’illusione di una transizione al capitalismo facile ed indolore. In quell’occasione il governo italiano si premurò di respingere le ondate migratorie albanesi e s’impegnò in un’operazione militare in terra albanese, sotto l’egida delle Nazioni Unite, volta a riportare la calma nel Paese. Nel frattempo i mezzi di comunicazione di massa italiani, alimentati anche da dichiarazioni di uomini politici italiani, non solo interpretarono la crisi delle finanziarie e i disordini che ne seguirono come fatti legati alla natura criminale dell’economia albanese, ma interpretarono gli sbarchi di profughi sulle coste italiane più come il cavallo di Troia che permetteva alla criminalità albanese di “invadere” l’Italia che un flusso determinato da ragioni complesse in cui la disillusione, la paura, la povertà, la necessità di un lavoro avevano un gran peso (Antonsich, 2002).

Si rafforza così l’idea preconcetta dell’Albania come terra inospitale, povera, arretrata, violenta e degli albanesi come individui selvaggi, violenti, irrazionali, pericolosi. Idea ribadita e se possibile cementata in occasione della crisi del Kosovo del 1999 in occasione della quale il Governo italiano organizzò la cosiddetta “Operazione Arcobaleno” con l’intento dichiarato di portare viveri e mezzi in Albania per soccorrere e accogliere i profughi in fuga dagli scontri armati in atto nella confinante regione a maggioranza albanese della Federazione Iugoslava ed evitare così che si riversassero in Italia. L’Albania dunque ha assunto progressivamente nel sentire comune il ruolo dell’”altro” per antonomasia.

Analisi dei testi

L’analisi, come preannunciato, si è svolta su di un campione, non raccolto in modo sistematico, di tredici volumi per la classe quinta, in cui gli alunni, secondo i Programmi ministeriali emanati con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 104 del 12 febbraio 1985, dovevano affrontare fra l’altro lo studio dei Paesi europei. I testi analizzati sono stati pubblicati tra il 1989 e il 2003, periodo in cui sono stati in vigore i programmi scolastici succitati, mentre successivamente due nuove Indicazioni didattiche si sono succedute a breve distanza di tempo. Si tratta di un periodo relativamente lungo, contrassegnato da radicali cambiamenti geopolitici che solo in parte sembra abbiano modificato l’atteggiamento dei curatori dei libri nei confronti dell’Albania. Vediamone i punti salienti seguendo l’ordine cronologico di pubblicazione.

Uno dei testi del nostro campione è stato pubblicato nel 1989, l’Albania viene citata  solo in un capitolo dedicato a: “I paesi comunisti” inserita come unico appartenente di un elenco definito  “Altri paesi comunisti in Europa” (Indagini[1], 5, 1989, p. 298), scelta probabilmente determinata dalla decisione dell’Albania di separarsi dal Patto di Varsavia, di cui nel testo non si dice nulla e dal COMECON, poco prima infatti, in un paragrafo dedicato alla descrizione di questa organizzazione internazionale si legge: “La Cina e l’Albania si sono ritirati per contrasti con la politica dell’URSS” (p.297). La mancanza di una descrizione del Paese trasmette agli alunni la sola notizia della sua esistenza, suggerendo l’idea di una sua mancanza assoluta di importanza, ma, allo stesso tempo, facendogli assumere un  carattere misterioso.

Nel volume Crescere oggi, pubblicato nel 1990, quando i cosiddetti “Paesi dell’Est” iniziavano a conoscere le conseguenze del crollo del muro di Berlino, si affaccia, pur nell’impianto tradizionale delle poche righe dedicate all’Albania, il tentativo di spiegare le condizioni del Paese, infatti, a pagina 101, oltre ad una breve scheda statistico-informativa si può leggere:

Il Paese è in gran parte montuoso. La popolazione risiede soprattutto nelle pianure costiere a nord del golfo di Valona[2] .

Risorse e lavoroL’Albania sta gradualmente eliminando la secolare arretratezza e il sottosviluppo, ma il livello di vita della popolazione rimane assai basso.

L’agricoltura è l’attività più diffusa, solo in questi ultimi anni si sta sviluppando l’industria. Eppure questo Paese non è privo di risorse. Circa il 43% della superficie è coperta da foreste e il sottosuolo è abbastanza ricco di minerali (petrolio, lignite, rame, cromo, nickel).

L’attuale arretratezza dell’Albania è dovuta alla politica di isolamento attuata, in passato, dal governo, che ha limitato fortemente i rapporti politici e culturali con tutti gli Stati del mondo.

Molto significativo appare l’atteggiamento assunto nei confronti dello Stato di cui ci occupiamo dal volume per l’ultima classe della scuola elementare intitolato Obiettivo chiarezza, pubblicato nel 1994, infatti, a pagina 195, all’interno di una descrizione tradizionale del Paese che verte sulla descrizione dei confini, del suo assetto fisico ed economico, possiamo leggere:

La situazione economica dell’Albania, già molto difficile, è diventata drammatica in seguito agli avvenimenti politici degli ultimi anni. Molti albanesi hanno tentato di rifugiarsi altrove, soprattutto in Italia. L’impossibilità di garantire loro una presenza attiva nel nostro Paese costrinse a rinviarne in patria una grandissima parte, ma sollecitò pure forme diverse di aiuto e di assistenza.

Da questo brano emerge chiaramente come i redattori del testo abbiano fatto propria la posizione che in quel momento aveva assunto il governo italiano e che la maggioranza dei cittadini e delle forze politiche, pur con sfumature e distinguo, condividevano. Dichiarata comprensione per le condizioni del popolo albanese, ma fermezza nella volontà di respingerne i flussi migratori, in quanto nell’impossibilità di garantire una “presenza attiva nel nostro Paese”,  espressione che può essere letta come insufficienza di posti di lavoro per tutti, ma anche come mancanza di garanzie nei confronti dell’onestà di questi individui, controbilanciata, con un tono autoassolutorio, dall’evidenziazione di come fossero state messe in atto forme di aiuto e assistenza.

Anche il volume Il mio “Sussi”, pubblicato nel 1995, sottolinea, a pagina 263, il fatto che l’Albania sia stata “sottoposta a una rigida dittatura”, sia “rimasta per lungo tempo priva di rapporti con l’estero”, sia economicamente molto arretrata e che: “La popolazione ha tentato spesso un’emigrazione di massa, soprattutto verso le vicine coste d’Italia”. Il fatto che si citi come principale destinazione delle migrazioni l’Italia, pur essendo in realtà la maggior parte dei flussi migratori albanesi diretti verso la Grecia, e l’uso dell’espressione “emigrazione di massa” rivela la sintonia da parte degli autori con la percezione diffusa che vi fosse il pericolo di un’ “invasione albanese”.

Sullo stesso tono è il contenuto del testo Imparo a studiare, pubblicato nel 1997 che presenta ai giovani allievi il Paese attraverso una breve scheda statistica e le seguenti parole:

L’Albania è uno degli Stati europei industrialmente più arretrati. Le principali risorse sono l’agricoltura e l’allevamento. La capitale è Tirana.

Molti albanesi hanno cercato negli ultimi anni di raggiungere l’Italia, dove sperano di potersi costruire un futuro meno misero” (p. 207).

Se il volume intitolato Quaderno di geografia, per la classe quinta, pubblicato nel 1998, torna praticamente ad ignorare l’Albania, a cui dedica solo una breve scheda statistica,  il volume Mondo aperto, anch’esso pubblicato nel 1998, affronta la descrizione del Paese in questi termini. All’ interno del capitolo dedicato alla “Regione Balcanica”, oltre ad una breve scheda statistico informativa, si può leggere:

Le nazioni che fanno parte di questa regione mostrano una situazione economica e sociale di relativo sottosviluppo. In particolare l’Albania si presenta come uno dei paesi più poveri d’Europa. Questo ha comportato negli ultimi anni una fuga di massa degli abitanti verso gli stati vicini alla ricerca di condizioni migliori di vita (p. 208).

Mentre a pagina 210 si aggiunge:

Il territorio dell’Albania è montagnoso e aspro, costituito da rocce calcaree dal caratteristico colore biancastro.

L’economia è fra le più povere d’Europa. Le industrie sono pressoché inesistenti e l’agricoltura non riesce a coprire nemmeno la richiesta interna. La capitale è Tirana.

Infine a pagina 211, in un paragrafo esplicitamente dedicato ai flussi di emigranti albanesi, definiti “profughi”, si aggiunge:

La gravissima arretratezza dell’economia albanese è dovuta in primo luogo alle scarse risorse e all’isolamento in cui è vissuto il paese sino a pochi anni fa.

I disordini politici seguiti alla caduta del regime comunista hanno peggiorato ancora la situazione. Dal 1991 fino a oggi, milioni di Albanesi sono sbarcati sulle coste della Puglia per sfuggire alla miseria e per cercare un luogo dove vivere. Gli Albanesi che sbarcano in Italia lo fanno in condizioni che si trovano ai limiti della sopravvivenza.

Dopo una riga bianca si legge:

Tutti gli emigranti possono rimanere in Italia? Il governo italiano ha stabilito delle norme per regolamentare l’emigrazione? Informatevi in proposito, discutendone con l’insegnante.

Il testo, oltre a descrivere l’Albania come un paese povero, ad imputare questa povertà alla scarsità di risorse e all’isolamento in cui la relegò il passato regime, presenta il Paese come pericoloso, non solo perché si fa cenno, senza spiegarne le cause, ai “disordini politici seguiti alla caduta del governo comunista”, ma soprattutto riprendendo a designarlo come il punto di partenza di “una fuga di massa” sentita come un flagello biblico tant’è vero che si giunge ad affermare che: “milioni di Albanesi sono sbarcati sulle coste della Puglia”, mente l’intero Stato albanese non ha mai superato i tre milioni e mezzo di abitanti. Ancora una volta l’esortazione a riflettere sull’opportunità di accogliere tutti gli emigranti e sulle norme varate dal Governo per regolamentare l’emigrazione appare come un tentativo di creare il consenso attorno alle scelte della classe politica al potere.

In modo particolare si presenta il libro La casa di Salomone,  (vol. 5, 1999), ha una struttura infatti in cui le discipline non sono ben separate le une dalle altre e in cui la geografia ha pochissimo spazio. L’Albania non è mai citata, a pagina 171 però, all’interno di un capitolo dedicato ai movimenti migratori, si dice che l’Europa “E’ diventata invece terra di immigrazione da parte di popolazioni extraeuropee, extracomunitarie – soprattutto nordafricani e mediorientali” e una fotografia ritrae una imbarcazione in cattivo stato di manutenzione, quella che il gergo giornalistico ha definito “carretta dei mari”, stracolma di persone di cui una didascalia dice: “Profughi albanesi in arrivo a Brindisi”. Si utilizza cioè un linguaggio prevalentemente iconico, su cui ci soffermeremo nel paragrafo successivo, il cui messaggio nello specifico può essere interpretato innanzitutto come da una parte la conferma dell’accettazione acritica e dall’altra del rafforzamento dell’equazione albanesi = immigrati clandestini.

Equazione proposta in altri termini anche dal volume di quinta intitolato: La rete dei saperi, pubblicato nel 2001, nel capitolo dedicato ai Balcani vi si può leggere infatti che l’Albania:

Era uno stato comunista, ma aveva preferito la protezione cinese a quella sovietica, vivendo un cinquantennio di totale isolamento dal resto d’Europa.

Nel 1990 è crollato il regime comunista e sono state aperte le frontiere: da allora migliaia di albanesi hanno cercato di emigrare clandestinamente in Italia e in Grecia in cerca di lavoro, ricchezza e vita migliore.

E’ il paese più povero d’Europa; ha un’economia da paese sottosviluppato del Terzo Mondo: le terre coltivabili sono poche e sfruttate senza la minima meccanizzazione, perciò si coltivano cereali, patate, fagioli a malapena per la sussistenza dei proprietari.

Maggiore è la produzione di tabacco, barbabietola, vino olio, girasoli e legname per cui si è sviluppata l’industria leggera legata alla lavorazione dei prodotti agricoli (alimentare, della manifattura del tabacco, del legname).

Nelle zone di montagna è diffuso l’allevamento ovino ed è abbastanza sviluppata la pesca costiera e lagunare.

Nonostante le risorse del sottosuolo (lignite, petrolio, cromo, gas naturale), l’industria pesante è arretrata e poco produttiva (p. 130).

La condizione di “clandestino” nel contesto del brano riportato viene presentata come una condizione assoluta, mentre gli Albanesi si trovarono nell’impossibilità di emigrare legalmente a causa della rigidità delle norme italiane, e più in generale dell’Unione Europea, sull’immigrazione e dunque si ritrovarono, loro malgrado, nella condizione di “clandestini”.

Anche il volume Sapere e saper fare per la classe quinta, pubblicato nel 2001, nel descrivere il Paese di cui ci occupiamo sottolinea la sua povertà e che: “Negli ultimi anni la popolazione è emigrata in cerca di lavoro verso l’Italia, la Grecia, la Germania” (p. 55). La “pericolosità”  dell’Albania, in quanto area instabile e punto di partenza dei temuti flussi migratori è però ancor più sottolineata da un box chiamato “Ingrandimento” e intitolato “Documenti della storia”, in cui si legge:

Nel 1997 una grave crisi politica e sociale ha portato l’Albania alla guerra civile. Le forze militari internazionali dell’ONU sono intervenute a placare la rivolta e vi sono tornate nel 1999, quando la tensione tra l’Albania e la Federazione Iugoslava si è aggravata a causa della guerra del Kosovo, territorio della Federazione Iugoslava abitato in prevalenza da albanesi. Più di 400.000 kosovari si sono rifugiati nei campi profughi albanesi e macedoni, dove sono arrivati volontari da tutta Europa.

Nella foto la distribuzione dei viveri in un campo profughi (p. 55).

La costruzione discorsiva del brano contrappone gli Albanesi, coinvolti in una guerra civile e profughi da una parte e, dall’altra, le “forze militari internazionali dell’ONU” e i “volontari da tutta Europa” impegnati a “placare la rivolta” e a soccorrere i rifugiati, dando vita ad una suddivisione dicotomica nella quale “noi”, soccorritori e pacificatori, siamo implicitamente superiori a “loro”, soccorsi e pacificati.

I due volumi del nostro campione pubblicati nel 2002 non si discostano molto per quanto riguarda i contenuti da quelli presentati precedentemente, in particolare il volume di quinta intitolato Progetto domino, dell’Albania dice:

Anche se è dotata di buone risorse minerarie, l’Albania è un Paese povero e molti suoi abitanti sono costretti a emigrare. L’agricoltura è importante, ma le proprietà sono piccole e mancano gli investimenti. Poiché i salari degli operai sono bassi, sono state impiantate molte fabbriche da imprenditori stranieri. Tirana è la capitale (p. 288).

Mentre il volume intitolato I colori del sapere, dopo una breve scheda statistico informativa afferma:

L’Albania è uno dei Paesi più poveri. L’agricoltura è fortemente arretrata e l’industria non è competitiva. Molti albanesi cercano quindi di emigrare in altri Stati, sopratutto nella vicina Italia. Oggi l’Albania è sostenuta dagli aiuti che provengono dai Paesi dell’Unione Europea (p. 298),

rimarcando, ancora una volta, come molti albanesi cerchino di giungere in Italia e la generosità dei Paesi dell’Unione Europea  che sostiene il Paese con i suoi aiuti. A pagina 267 dello stesso volume, in un paragrafo intitolato “Guerre e profughi” è pubblicata una fotografia in cui si vede un folto gruppo di persone camminare lungo i binari della ferrovia e che riporta la seguente didascalia: “L’esodo dei kosovari, che scappano per sfuggire ai massacri compiuti dalle truppe militari iugoslave”, nel paragrafo si parla delle tante situazioni in cui le guerre causano movimenti di popolazione in fuga dagli scontri armati e dalle loro conseguenze, la scelta di un’immagine che riguarda profughi albanofoni è però forse sintomatica della paradigmaticità del caso albanese, ormai considerato il simbolo stesso del caos, della miseria e della fuga.

L’ultimo in ordine di pubblicazione dei libri che compongono il nostro campione è stato pubblicato nel 2003 e s’intitola Lo studialibro. L’Albania è inserita nella Regione Balcanica, a pagina 295 è presente una scheda statistico-informativa e il seguente testo: “E’ uno dei Paesi europei economicamente più arretrati. Molti dei suoi abitanti, per sfuggire alla miseria, sono emigrati in Paesi vicini, come l’Italia” la cui laconicità ribadisce comunque l’arretratezza economica e la propensione degli Albanesi ad emigrare in Italia, elementi cardine, e in questo caso unico, del “discorso” sull’Albania.

Il linguaggio iconico

Nei libri di testo per la scuola elementare l’apparato iconografico ha un peso molto importante, anche se spesso si ha l’impressione che le immagini siano più utilizzate come riempitivo che per il loro ruolo comunicativo. Comunque, sia che le immagini siano scelte con la consapevolezza della loro capacità semantica, sia che siano scelte in modo irriflesso, contribuiscono alla costruzione dell’immagine degli “altri” e, per contrapposizione, del “noi”. In particolare le fotografie, che costituiscono la maggior parte delle immagini che troviamo nelle sezioni di geografia dei libri di testo per la scuola elementare, sono percepite da alunni, insegnanti e famiglie come un documento oggettivo, un pezzo di realtà strappato al mondo, anche se le fotografie sono un’interpretazione del mondo esattamente come i quadri e i disegni (Sontag, 1973). Già la scelta di cosa mostrare o di cosa celare (Barthes, 1980) prima da parte del fotografo e poi di chi decide di inserire tale fotografia nel libro, è un modo per fornire un’interpretazione della realtà, per divulgare un’idea del soggetto ritratto.

Le fotografie che riguardano l’Albania e gli Albanesi, pubblicate nel nostro campione di libri di testo, costituiscono di fatto un tassello del “discorso” geopolitico, cerchiamo di analizzarne le scelte ed i contenuti.

Dato il poco spazio concesso all’Albania non su tutti i libri consultati si trovano immagini che la riguardino. In alcuni casi le fotografie sembrano avere un ruolo di semplice riempitivo, così il volume intitolato Obiettivo chiarezza, (vol.5, 1994) a pagina 195 pubblica due immagini fotografiche, in una si vede uno scorcio del tutto insignificante di piazza Skanderberg e nell’altra un tratto di costa che potrebbe essere in un punto qualsiasi del Mediterraneo. Un’unica didascalia afferma semplicemente: “Tirana, capitale dal 1920. Sotto: la costa di Saranda a sud est di Valona”. Allo stesso modo il volume intitolato La rete dei saperi (vol. 5, 2001), a p. 130 pubblica un’immagine di piazza Skanderberg a Tirana, ma senza alcuna didascalia mostrando così un lembo di città che potrebbe trovarsi un po’ ovunque e rinunciando a qualsiasi ruolo comunicativo o esplicativo.

Non molto significativa è anche la fotografia scelta dal volume Progetto domino (vol. 5, 2002), vi si vedono infatti alcuni pescherecci e alcune strutture portuali, la didascalia dice semplicemente: “Il porto di Durazzo” se non che le condizioni fatiscenti delle imbarcazioni e delle infrastrutture rappresentate può essere spia di un altro dei discorsi proposti dalle fotografie, quello dell’arretratezza tecnologica e produttiva del Paese, del resto, come abbiamo visto, molto presente anche nelle parti verbali dei volumi analizzati. A questa rappresentazione dell’Albania fa riferimento l’immagine pubblicata a pagina 263 dal volume Il mio “Sussi” (vol. 5, 1995), vi si vedono alcuni operai al lavoro all’interno di un’industria meccanica di Tirana, l’abbigliamento approssimativo, uno degli operai è a torso nudo, l’ambiente mal illuminato in cui lavorano e la ruggine visibile sui macchinari, danno un’idea di arretratezza tecnologica, rafforzata dalla didascalia che dice: “L’interno di un’industria di trattori a Tirana: l’industria albanese è ancora debole e arretrata”. Lo stesso tema è proposto dalla fotografia pubblicata a pagina 211 del volume Mondo aperto (vol. 5, 1998). Vi si vedono alcune persone intente a lavorare un campo con l’aiuto di un asino. L’immagine trasmette un’idea di arretratezza e sembra paradigmatica dell’agricoltura di sussistenza. La didascalia dice: “Nel sud dell’Albania sono molto diffuse l’agricoltura e la pastorizia”.

Come abbiamo già sottolineato uno dei discorsi ricorrenti sull’Albania riguarda i flussi migratori, discorso che viene alimentato anche attraverso l’uso di fotografie. Così nel volume intitolato: La casa di Salomone (vol. 5, 1999) non viene dedicato nessuno spazio all’ Albania, a p. 171 però, all’interno di un capitolo dedicato alle disuguaglianze sociali tra nord e sud del mondo e nell’ambito di un brano dedicato ai flussi migratori, viene pubblicata una fotografia che ritrae una “carretta dei mari” stracolma di persone accompagnata dalla didascalia: “Profughi albanesi in arrivo a Brindisi”. Il contesto in cui è pubblicata l’immagine fa assurgere l’immigrazione albanese a simbolo di tutte le migrazioni. Inoltre l’immagine scelta, in cui gli immigrati appaiono una massa indistinta e in condizioni precarie, trasmette un’idea d’inferiorità sociale ed economica dei migranti albanesi che alimenta il ricorrente discorso della loro pericolosità. Nel volume per la classe quinta pubblicato nel 2001 intitolato: Sapere e saper fare, a pagina 55, a fianco delle poche righe consacrate all’Albania, è pubblicato un box dedicato alle crisi politiche del 1997 e del 1999 il cui contenuto verbale abbiamo precedentemente analizzato. All’interno del box una fotografia rappresenta un bambino che cammina con alcuni pezzi di pane tra le braccia mentre sullo sfondo si vede una fila di individui. Una frase, inserita nel testo, ma che funge da didascalia, svela il senso dell’immagine dichiarando: “Nella foto la distribuzione dei viveri in un campo profughi”. La rappresentazione di un bambino, combinandosi con il testo del box in cui traspare un’idea di superiorità dell’“occidente”, intervenuto a pacificare l’area e a soccorrere le popolazioni, può insinuare l’idea di diversità e superiorità negli alunni italiani nei confronti dei bambini albanesi e stranieri in genere. Il volume intitolato I colori del sapere, come abbiamo già rimarcato, ad illustrazione di un paragrafo intitolato: “Guerre e profughi” inserisce una fotografia che ritrae un gruppo di profughi albanesi del Kosovo, suggerendo ancora una volta l’idea che gli albanesi, in questo caso gli albanofoni, siano dei profughi per antonomasia.

Conclusioni

Dai libri di testo analizzati emergono alcuni tratti salienti e ricorrenti della costruzione discorsiva dell’Albania. Testi e immagini, a volte con quanto affermato o illustrato, a volte attraverso i silenzi, concorrono a de-scrivere agli occhi dei nostri piccoli alunni l’Albania e gli Albanesi.

Innanzitutto il poco o il nullo spazio dedicato a questo Paese ne sottolinea la scarsa importanza, se non come mezzo per autoriconoscersi e auto identificarsi per contrapposizione. La descrizione dell’arretratezza tecnologica, della povertà economica, dell’asprezza del paesaggio, dell’isolamento politico ed economico, della dipendenza dagli aiuti internazionali, dell’instabilità politica e sociale sembra costruita per permettere l’autopromozione dell’Italia a Paese tecnologicamente avanzato, ricco, piacevole, solidale nei confronti dei più deboli, stabile politicamente e socialmente. La descrizione dell’Albania appare come un mezzo di contrasto, come lo sfondo scuro di alcune rappresentazioni pittoriche costruito per far risaltare le macchie chiare degli elementi colpiti in pieno dalla luce. Forse per questo dell’Albania i testi analizzati non sottolineano nessun aspetto positivo. Le bellezze paesaggistiche, che fin dal 1990 ha spinto il Touring Club Italiano a studiare le possibilità di sviluppo turistico della regione, il patrimonio archeologico e culturale, che pure ad esempio ha portato l’UNESCO a riconoscere Berat come Patrimonio artistico dell’Umanità e il sito archeologico di Butrint come Patrimonio dell’Umanità, non sono mai menzionati e anche quando si menziona la presenza di risorse minerarie lo si fa sottolineando come nonostante ciò l’economia sia fortemente arretrata.

Questo contraltare però non si limita ad essere giustapposto e ad avere il ruolo necessario, ma definito, di termine di paragone con cui far emergere la “nostra” brillantezza. L’Albania, o meglio ciò che archetipicamente l’Albania rappresenta, tenta di travalicare il suo ruolo, di avere un contatto, di giungere alla promiscuità tramite l’emigrazione. Forse per questo le migrazioni dall’Albania non possono essere che di massa pur nella limitatezza dei dati demografici, non possono essere percepite che come “invasioni”, pericolose perché capaci di contaminarci con quelle caratteristiche sulla cui negazione abbiamo costruito la nostra identità.

La ricerca dunque del consenso all’azione del Governo italiano per il contrasto all’immigrazione albanese, va dunque oltre una semplice azione propagandistica a favore di una specifica azione politica, assume il carattere di ricerca di consenso sulla necessità di difesa dell’identità italiana così come si è costruita nel senso comune.

Un’ultima riflessione riguarda il possibile impatto di tali testi sugli alunni a cui sono rivolti. I libri di testo del nostro campione sono stati pubblicati in un arco di tempo che ha visto aumentare il numero di bambini che, giunti in Italia da piccoli o nati in Italia da famiglie di origine albanese, frequentano le classi della scuola primaria. Quale idea è stata trasmessa a questi scolari del loro Paese d’origine? Quale idea sui loro compagni albanesi è stata trasmessa ai bambini italiani? Come a fronte di tali strumenti didattici è possibile svolgere una efficace e valida educazione all’interculturalità?

L’unico antidoto appare il buon senso dei docenti che si spera siano in grado di assumere un atteggiamento critico, di rendersi conto di come la geografia scolastica proposta dai libri di testo, anche in questo inizio di terzo millennio, sia uno strumento di formazione ideologica.

Note

[1] Si è deciso di citare i libri di testo con il titolo e non il nome dell’autore perché spesso i libri di testo per la scuola elementare sono redatti da gruppi di lavoro in cui non sempre è possibile individuare i responsabili delle singole parti. Per questo motivo la bibliografia è stata divisa in due parti, la prima dedicata alla bibliografia generale, la seconda, in cui non compaiono i nomi degli autori e ordinata per titoli dei volumi, dedicata ai libri di testo consultati.

[2] Siccome nei libri di testo l’uso dei corsivi, dei grassetti o di sottolineature ha un valore semantico e didattico, evidenziando le parti ritenute più importanti del testo o quelle da imparare in modo prioritario, si è ritenuto di dover riprodurre nelle citazioni anche queste caratteristiche grafiche dei testi.

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Libri di testo consultati

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La rete dei Saperi 5. Milano: Immedia, 2001.

Lo studialibro 5. Milano: Fabbri Editori, 2003.

Mondo aperto 5. Torino: Edizioni il capitello, 1998.

Obiettivo chiarezza 5. Brescia: La Scuola, 1994.

Progetto domino 5. Milano: RCS Scuola – Fabbri Editori, 2002.

Quaderno di geografia 5. Bologna: Nicola Milano Editore, 1998.

Sapere e saper fare 5. Firenze: Gruppo Giunti Editoriale, 2001.


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Referencia bibliográfica

SQUARCINA, Enrico. Al di là dell’Adriatico l’altrove. Scripta Nova. Revista Electrónica de Geografía y Ciencias Sociales.  Barcelona: Universidad de Barcelona, 1 de agosto de 2008, vol. XII, núm. 270 (127). <http://www.ub.es/geocrit/sn/sn-270/sn-270-127.htm> [ISSN: 1138-9788]


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