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Scripta Nova
REVISTA ELECTRÓNICA DE GEOGRAFÍA Y CIENCIAS SOCIALES
Universidad de Barcelona. ISSN: 1138-9788. Depósito Legal: B. 21.741-98
Vol. XVI, núm. 418 (24), 1 de noviembre de 2012
[Nueva serie de Geo Crítica. Cuadernos Críticos de Geografía Humana]

 

La geografia del “Viaggio per l’Italia di Giannettino” di Carlo Collodi come strumento per la costruzione nazionale italiana

Enrico Squarcina
Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione Riccardo Massa – Università degli studi di Milano Bicocca
enrico.squarcina@unimib.it

Stefano Malatesta
Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione Riccardo Mass – Università degli studi di Milano Bicocca
stefano.malatesta@unimib.it

La geografia del Viaggio per l’Italia di Giannettino di Carlo Collodi come strumento per la costruzione nazionale italiana (Resumen)

Il presente contributo si prefigge di analizzare i contenuti politici e sociali del libro di Carlo Collodi intitolato Viaggio per l’Italia di Giannettino, pubblicato tra il 1880 e il 1886. In Italia il XIX secolo ha coinciso con il processo di costruzione dello stato nazionale e, contemporaneamente, con l’affermazione politico-sociale della borghesia. Molti intellettuali si impegnarono a diffondere da una parte l’idea di nazione e dall’altra i valori borghesi su cui si stava costruendo. Carlo Collodi, generalmente conosciuto per il suo Le avventure di Pinocchio, si impegnò in questa direzione con questo libro in cui un ragazzo immaginario compie un viaggio lungo tutte le regioni del neonato stato italiano per mostrarne le bellezze e per accendere nei giovani lettori lo spirito patriottico. Il volume che, pur non essendo un libro di testo, venne adottato come libro di lettura da molti insegnanti influenzando i giovani dell’epoca, rappresenta un esempio di come la letteratura per la gioventù abbia potuto rappresentare un importante tassello del discorso nazionale e dell’affermazione dei valori borghesi.

Palabras clave: letteratura paradidattica, geografia per l’infanzia, costruzione nazionale, metodo decostruzionista.

The Geography of Carlo Collodi’s Viaggio per l’Italia di Giannettino as a tool for the Italian nation-building process (Abstract)

In this contribute we discuss the political and social issues of Carlo Collodi’s Viaggio per l’Italia di Giannettino published between 1880 and 1886. In Italy the XIX Century has been a crucial phase both for the nation-builing process and for the political and social achievement of the Bourgeois class, in particular through the role played by writers and philosophers. Carlo Collodi, known mainly as the author of Le avventure di Pinocchio, gave his contribute to these processes by publishing Viaggio per l’Italia di Giannettino, a novel that tells a young boy’s journey across Italy. Collodi, by emphasizing the beauties of the Italian cultural heritage, aimed at inspiring the future generations’ patriotism. Despite not being an official textbook, many teachers used this novel as a recommended reading within their classes and this success shows how important children's literature has been both for the development of the nationalist discourse and  for the achievement of the bourgeois values during the XIX Century.

Key words:  children's literature, children’s geography, nation-building, deconstruction framework.


Premessa

Il rapporto degli individui e delle collettività con gli spazi deriva da una complessa interazione fra produttori di senso geografico. Questa considerazione si somma all’affermazione di Yves Lacoste[1] secondo la quale la geografia, che egli distingueva in “Geografia per il potere”, “Geografia dei professori” e “Geografia spettacolo”, è uno strumento di potere e del potere, anche quando la rigorosità scientifica, o lo scopo ludico, nascondono questa sua essenza.

Del ruolo della geografia come strumento di potere la Critical geopolitics[2] fa il suo principale campo di studio, proponendosi di svelarne, attraverso il metodo decostruzionista, la capacità di costruire e diffondere un senso dello spazio nient’affatto neutrale, volto ad affermare una visione funzionale al consolidamento del potere attraverso quello che Antonio Gramsci[3] definiva “senso comune”, fondamento a sua volta dell’“egemonia culturale”, cioè della capacità di far accettare come “naturale”, e dunque indiscutibile, l’insieme di valori, miti, rappresentazioni storiche e spaziali, sul quale le classi politiche egemoni giustificano il loro predominio.

L’educazione delle giovani generazioni, avvenga in modo formalizzato nella scuola o all’interno di altre organizzazioni sociali il cui fine  prevalente non è l’educazione, o ancora all’interno della famiglia, è uno dei principali strumenti di diffusione del “senso comune”, in particolar modo a partire dal XIX secolo quando, secondo Franco Cambi, accanto al “trionfo della borghesia” si è diffusa la “grande paura” nei confronti del socialismo-comunismo che ha comportato “una più radicale (rispetto al passato) ideologizzazione della pedagogia e dell’educazione, che si sono affermate come settori-chiave del controllo sociale e quindi della progettazione politica e della gestione stessa del potere”[4].

In Italia il trionfo della borghesia avvenne contemporaneamente al processo di unificazione nazionale, che si può considerare concluso nel 1870 con l’annessione al Regno d’Italia di Roma e della sua regione. Appare dunque particolarmente interessante discutere il messaggio ideologico trasmesso dai diversi strumenti didattici e più generalmente educativi, soprattutto quelli che, risalenti a quell’epoca cruciale per la storia d’Italia, possono essere considerati strumenti con cui il potere tendeva ad affermarsi in modo persuasivo e non coercitivo. In particolare, per quanto ci concerne, sembra importante sondare il ruolo ideologico degli strumenti di diffusione della conoscenza geografica, capaci, soprattutto se rivolti ad un pubblico giovanile, di imprimere durature visioni del mondo, delimitazioni e senso dello spazio, giudizi di valore, nient’affatto neutrali.

Il presente articolo si prefigge di analizzare il ruolo di strumento di diffusione del discorso nazionale e dei valori borghesi rivestito da un’opera di divulgazione geografica che, pubblicata circa 130 anni fa, si presenta come paradigmatica dell’utilizzo della disciplina geografica per la diffusione di messaggi ideologici: il Viaggio per l’Italia di Giannettino.

Va specificato che l’autore, Carlo Collodi, è stato uno degli scrittori più celebri in lingua italiana della sua epoca. A livello internazionale la sua fama è dovuta al successo di Le avventure di Pinocchio, in Italia invece la sua figura fu associata, già negli ultimi anni del XIX secolo, a coloro i quali contribuirono all’affermazione della funzione pedagogica della letteratura per l’infanzia.


Il libro

Il viaggio per l’Italia di Giannettino fu pubblicato a Firenze dell’editore Paggi in tre volumi apparsi rispettivamente nel 1880, nel 1883 e nel 1886. Nel 1877 Collodi aveva pubblicato, presso lo stesso editore, il Giannettino, un libro di testo che prendeva spunto, anche nel titolo, dal Giannetto, opera didattica pubblicata da Luigi Alessandro Parravicini nel 1837 e che aveva avuto una notevole fortuna editoriale[5], ma che pareva a quell’epoca ormai superato. Il successo del Giannettino convinse autore ed editore a fare di questo personaggio il protagonista di altri libri scolastici e parascolastici dedicati all’infanzia e alla prima giovinezza.

Il viaggio per l’Italia di Giannettino può essere considerato un testo paradidattico, nel senso che, pur non essendo nato come libro di testo, ne è chiaro l’intento didattico ed è stato spesso adottato come libro di “lettura” o come lettura consigliata da molti insegnanti.

Il libro narra di un viaggio, che percorre tutte le regioni d’Italia, compiuto da un giovane fiorentino. Riprende l’idea del viaggio come esperienza al tempo stesso ludica ed educativa, potremmo per questo ricollegarlo alla tradizione del Grand Tour, cioè del viaggio d’istruzione guidato da un precettore, in questo caso chiamato dottor Boccadoro, a cui veniva data molta importanza all’interno del percorso formativo dei giovani appartenenti alla nobiltà europea soprattutto del XVIII secolo[6].

Il libro si prefigge di permettere di “percorrere” l’Italia in modo mediato, cioè attraverso la lettura delle esperienza fatte dal protagonista del libro, anche a chi non avrebbe potuto permettersi i costi di un viaggio reale o non avrebbe avuto a disposizione il tempo necessario. Infatti l’ascesa al potere della borghesia e l’ampliamento della base sociale, necessitava di un più ampio accesso all’istruzione, conseguentemente di strumenti didattici meno dispendiosi, che si sposavano ad un’idea maggiormente utilitaristica dell’istruzione. Rimane comunque inalterata l’idea del carattere formativo del viaggio, di esperienza non solo volta all’apprendimento di nozioni, ma anche di occasione di crescita personale. A riprova di ciò Collodi fa infatti dire, in apertura del primo volume, allo stesso protagonista del libro: “sono partito da casa che ero sempre un ragazzo, e dopo quaranta giorni di trottolio per le città dell’Alta Italia sono ritornato a casa, non già un uomo fatto (sarebbe troppo pretendere), ma per lo meno un omino avviato bene”[7].

Giuseppe Rigutini, nella presentazione del libro afferma: “Il concetto del COLLODI è quello di far conoscere ai giovinetti l’Italia nei suoi monumenti, nelle sue glorie antiche o recenti, nelle industrie, nei commercj, e in tutto ciò che può dare ad essi la cognizione della nostra patria”[8]. Si conferma così il carattere geografico dell’opera di Collodi, anche se in Italia all’epoca la geografia insegnata a scuola, sulla scorta del paradigma positivista, era essenzialmente fisica o volta all’alfabetizzazione cartografica[9], conseguentemente è possibile individuarne dei contenuti ideologici poiché: “la geo-grafia, in quanto localizzazione dei fenomeni, descrizione dei luoghi, misurazione dello spazio, ma anche tentativo di fornire delle spiegazioni sul tema delle relazioni uomo-ambiente e ambiente-uomo, è uno strumento formidabile di potere”[10]. Del resto lo stesso Rigutini non nasconde l’intenzione ideologica dell’autore che nel descrivere la patria cerca di stimolarne nei giovani lettori l’amore e il senso di appartenenza “avezzandoli per tal modo a considerarsi non come toscani o piemontesi o lombardi o veneti o romani o napoletani o siciliani, ma come italiani; a mettere fin di principio il sentimento nazionale nel luogo del provinciale o municipale, e a far amare di eguale amore qualunque parte della Italia”[11].

Collodi costruisce il libro non come un diario di viaggio, ma, per quanto riguarda il primo volume, come il racconto che, al termine dello stesso, il protagonista fa all’amico Minuzzolo e ai suoi tre fratelli, già protagonisti di altri libri per l’infanzia dell’autore, mentre per il secondo e il terzo volume, come il racconto del viaggio affidato ad una serie di lettere indirizzate a Minuzzolo, che, a sua volta, le legge ai fratelli. Ciò gli permette di inframmezzarlo con dei dialoghi e il racconto di alcune situazioni comiche o inusuali avvenute durante il viaggio immaginario, che hanno il compito di alleviare il tono del libro e di coinvolgere maggiormente, anche attraverso l’uso di una lingua di derivazione orale, i giovani lettori che possono così più facilmente identificarsi nel protagonista, o nei suoi interlocutori, descritti non come ragazzi ideali o come “fantocci” da indottrinare, ma come fanciulli reali con i loro difetti e perciò più vicini all’esperienza di ogni bambino[12]. Lo stesso espediente permette a Collodi di raccontare, tramite Giannettino, episodi il cui scopo è quello di stigmatizzare comportamenti ineducati e contribuire anche così “alla Formazione del nuovo cittadino italiano”[13].

In questo senso né la struttura né le scelte narrative adottate da Collodi presentano particolari aspetti di originalità rispetto ai modelli consolidati nella sua epoca, molto più rilevanti, lo si mostrerà qui di seguito, sono le implicazioni politiche e ideologiche che tali scelte hanno avuto sulla formazione dei futuri cittadini italiani. Occorre ricordare, a tal proposito, che i ragazzi che negli ultimi decenni del XIX secolo leggevano Collodi avrebbero esercitato le loro funzioni civili a cavallo tra i due secoli, ovvero durante una delle stagioni chiave nella storia politica del Regno.


Analisi dei contenuti

Nel presente contributo il testo è stato analizzato adottando una prospettiva ermeneutica, già seguita in precedenti lavori[14], cercando di isolare alcune narrative che contribuiscono alla produzione di un modello nazionale attraverso la descrizione della geografia e del patrimonio culturale di un’Italia unificata solo sul piano politico. Dunque sono stati individuate cinque narrative principali, discusse nei seguenti paragrafi, che per la loro valenza ideologica sembrano particolarmente importanti per dare conto dell’idea d’Italia che si voleva trasmettere ai giovani lettori attraverso questo volume. Sono in particolare:

Questi temi s’intrecciano lungo tutto lo svolgimento delle circa mille pagine del libro, in questa occasione si è tentato di isolarli per poterne meglio sottolineare la portata ideologica.


La nazione  e il nazionalismo

Come abbiamo già precedentemente sottolineato, secondo l’estensore della Presentazione al libro, quest’opera di Collodi  aveva come scopo quello di far superare ai giovani lettori lo spirito localistico per diffondere la coscienza di appartenere ad una nazione unitaria pur nelle sue differenziazioni, per suscitare l’amore per la patria che, come ci ricorda Horacio Capel, nel momento della costruzione dello spirito nazionale si riteneva possibile solo attraverso la sua conoscenza[15].

Negli anni in cui Collodi scrive questo testo l’unificazione nazionale è un fatto politico piuttosto recente e, soprattutto, a fronte di un’unificazione politica ormai compiuta, si è ancora lontani dall’affermazione di una coscienza nazionale. Come si disse allora, attribuendo la frase a Massimo d’Azeglio: era stata fatta l’Italia, occorreva fare gli italiani[16].

Per questo motivo era necessario “narrare” l’Italia attraverso alcune strategie: illustrare ai giovani le diverse regioni che componevano questo regno di recente formazione, sottolinearne le bellezze, ricordare ed esaltare le vicende storiche e le imprese eroiche che ne avevano reso possibile la costituzione.

L’intera opera in esame risponde alla prima delle tre esigenze, per quanto riguarda la proposizione delle bellezze nazionali Collodi fa una scelta soprattutto monumentale, delle quasi mille pagine dell’insieme dei tre volumi, una gran parte sono dedicate alla descrizione e alla storia dei monumenti, più o meno noti, incontrati durante il viaggio. L’esaltazione del patrimonio monumentale italiano qui si compie attraverso la contemporanea menzione delle fama e dei primati che tali opere potevano vantare in tutto il mondo. Inferiore risalto viene dato invece alle bellezze paesaggistiche e naturali, si sottolinea ad esempio come il paesaggio delle Cascine fiorentine sia notissimo in Europa[17], si descrive il lago di Como[18], il Vesuvio[19] e l’Etna[20] oltre a decine di altri elementi e paesaggi naturali, ma, complessivamente, Collodi enfatizza maggiormente gli elementi antropici del paesaggio e in particolare quelli monumentali. Questa scelta, al di là dei gusti personali dell’autore, probabilmente risponde anche alla volontà di collegare idealmente la nuova Italia alle glorie del passato, in sintonia con l’interpretazione del processo di unificazione nazionale come “Risorgimento”, come infatti fu chiamato, cioè come giusto e necessario risveglio da un periodo di decadenza politica e sociale.

La narrazione e l’esaltazione degli episodi storici che portarono all’unificazione nazionale, ha un ruolo centrale nell’opera di Collodi. L’autore infatti non manca mai, nel descrivere le diverse regioni e province, di ricordare quando e in quali circostanze entrarono a far parte del Regno d’Italia. Allo stesso modo nell’enumerare le località incontrate durante il viaggio una parte notevole viene dedicata alla descrizione dei fatti legati al “Risorgimento” che vi si svolsero; così, fra i tanti casi, citiamo a titolo di esempio Talamone, ricordata per essere stata il punto di raccolta dei volontari di Garibaldi per la spedizione dei Mille[21], Montebello e Voghera ricordate per “i fatti di guerra del 1859”[22], l’Aspromonte menzionato come luogo in cui nel 1862 vi rimase ferito Garibaldi[23] e così via. Anche nel descrivere i singoli edifici monumentali vengono ricordati i fatti “nazionali” che vi si svolsero o le steli che ricordano episodi e caduti, così ad esempio di palazzo Vecchio si ricorda come fu sede del Governo Provvisorio di Bettino Ricasoli nel 1859 e come, con lo spostamento della capitale da Torino a Firenze, nel 1865, divenne sede della Camera dei Deputati del Regno[24]; di Milano si rammenta come il nome di porta Vittoria sia legato al ricordo della vittoria da parte degli insorti del 1848 nei confronti degli austriaci[25] e via discorrendo. La costanza con cui vengono ricordati i fatti e i luoghi del “Risorgimento” ci permette di considerare l’intero viaggio di Giannettino, oltre che come un viaggio tra le regioni d’Italia e un’esperienza di formazione personale, come una sorta di pellegrinaggio fra le tracce materiali di quella religione laica e nazionale affermatasi nella seconda metà dell’Ottocento che aveva negli eroi del Risorgimento i suoi santi e nelle vestigia delle guerre d’indipendenza i suoi sacrari; anzi, ancora meglio, di leggerla come una re-invenzione dei luoghi attraverso questa chiave di lettura ideologica che ha contribuito alla costruzione di nuove relazioni fra spazio e società[26] nell’immaginario geografico dell’Italia della fine del XIX secolo. I luoghi geografici del “Risorgimento” nazionale diventano nella narrazione di Collodi veri e propri “luoghi simbolo” che contribuiscono a produrre un’identificazione tra storia nazionale, cultura e geografia. Questa associazione, ben nota ai geografi contemporanei[27], nelle pagine del “viaggio di Giannettino” diventa strumento indiretto attraverso il quale la memoria nazionale viene reificata nel paesaggio della “patria” italiana.   

In tanto fervore nazionale non poteva mancare l’esaltazione della casa regnante: i Savoia, le cui gesta militari e i cui meriti politici sono raccontati lungo tutto il libro, ma soprattutto in un paragrafo ad essa dedicato posto all’inizio della descrizione di Torino che significativamente si apre con questa affermazione da parte del dottor Boccadoro: “La storia di questo paese va di pari passo con quella dei suoi Re di Casa Savoia.”[28].

La costruzione dello spirito nazionale avviene anche, in minor misura, ad onor del vero, attraverso la denigrazione degli avversari del “Risorgimento” e dei governi preunitari, così, citando due esempi tra i tanti possibili, parlando del Ducato di Modena si afferma: “L’arciduca prese il titolo di Francesco IV; fece molti abbellimenti alla città; ma fu uomo tristo e crudele. Il suo figlio Francesco V (poco di buono, come il padre) appena che sentì rumoreggiare la rivoluzione del 1859, scappò impaurito a Vienna” [29], mentre dei catanesi Collodi afferma: “oltre i tormenti della lava e i terremoti del vicino vulcano, ebbero a patire, con gli altri popoli dell’isola, il tristissimo governo dei Borboni: quel turpe governo di oppressioni e di abusi, del quale un illustre uomo di stato inglese, fece, per così dire, il ritratto parlante, chiamandolo ‘la negazione di Dio’”[30].


La lingua e i dialetti

Strettamente legata alla descrizione del paesaggio culturale e al problema della costruzione nazionale, appare la questione linguistica. Infatti l’unità linguistica è considerata un importante fattore della coesione nazionale[31] e non a caso gli anni a cavallo e immediatamente successivi all’unificazione nazionale furono caratterizzati anche per un profondo dibattito sulla natura e sulla necessità di costruire la lingua italiana. Come abbiamo già sottolineato Collodi sceglie per il suo “Giannettino” una lingua di derivazione orale, anche se non dialettale. Forse influenzato da questo dibattito Collodi “mette in bocca” ai suoi protagonisti diverse considerazioni sul dialetto. L’autore pare aderire all’idea manzoniana di coincidenza tra l’italiano e la parlata dei fiorentini illustri e fa dire allo stesso Giannettino: “Il popolo fiorentino … non ha dialetto; i Fiorentini parlano la lingua italiana, la stroppiano un poco nel pronunziarla, ma è sempre lingua italiana”[32]. Con questa frase si afferma un’idea di primordialità della lingua italiana, cioè non si dice ai giovani lettori che l’italiano, per scelta politica e culturale, è stato fatto coincidere con la parlata locale di Firenze, ma che i fiorentini parlano l’italiano, lingua considerata come sempre esistita e non frutto di una costruzione politico-culturale.

Per quasi tutte le regioni italiane Collodi esprime, attraverso i suoi personaggi, delle considerazioni linguistiche, in particolare sui diversi dialetti. Riconosce che in Val d’Aosta si parla francese[33] e se sembra voler far coincidere l’istruzione con l’uso dell’italiano, tanto da far dire a Giannettino: “La lingua italiana si parla da tutti solamente in Toscana; dalle altre parti d’Italia la parlano solamente, e non sempre, le persone istruite”[34], nei confronti delle diverse lingue locali italiane esprime interesse e curiosità, è ben lungi dalla denigrazione e dalla lotta al dialetto che caratterizzarono le circolari ministeriali e la prassi didattica della scuola italiana del periodo[35].


Il folklore, l’orientalismo e gli stereotipi regionali

Nel descrivere le caratteristiche delle diverse regioni Collodi ne sottolinea anche, da una parte il folklore, dall’altra quelle che ritiene siano le principali caratteristiche psicologiche della popolazione, in vero alimentando luoghi comuni, in alcuni casi ancora radicati al giorno d’oggi e un certo “orientalismo interno”[36]. Così, prendendo solo alcuni tra i molti possibili esempi, Collodi fa dichiarare ai suoi protagonisti: “Ravenna  ... è la città della cortesia e della schietta ospitalità. Il forestiero che arriva qui è sempre il ben arrivato!”[37], oppure: “i Milanesi sono cortesi e con tanto di cuore! Quanto poi a salute e robustezza, pare un popolo che n’abbia da rivendere e da dar via”[38], ancora: “i Veneziani , in generale, sono una gente cortese, gioviale e manierosa, che parla volentieri e parla bene...”[39]. Gli stereotipi si fanno più negativi e caricati di “orientalismo”[40] man mano che il nostro autore descrive le popolazioni del sud d’Italia, così ad esempio parlando della popolazione napoletana Collodi si esprime così: “non ho mai trovato tanta amorevolezza di modi e tanta natural cortesia in gente lurida e stracciata, come nella plebe napoletana”[41], oppure: “nella maggior parte dei siciliani troverai statura media, capelli neri, carnagione olivastra o bruna, occhi vivissimi, ingegno pronto e variabile, e nel loro modo di fare, qualche cosa che rassomiglia alla mollezza degli orientali. In quanto poi a carattere, il siciliano è ardente, appassionato, generoso, liberale, pieno di fuoco per tutto ciò che è bello e nobile; temperamento un po’ vulcanico, in cui il cuore qualche volta prevale e vince la mano alla riflessione”[42].

Le descrizioni compiaciute degli elementi più “stravaganti” del folklore e del comportamento sociale delle popolazioni incontrate nel viaggio riguardano prevalentemente le regioni appartenute al Regno dei Borbone. In particolare le 74 pagine dedicate a Napoli sottolineano in modo costante e divertito gli aspetti più folcloristici e “pittoreschi” del paesaggio umano della città. Certo Collodi precisa che questi aspetti riguardano esclusivamente i ceti più popolari della città, implicitamente affermando l’avvenuta “modernizzazione e “italianizzazione” della borghesia, ma comunque assume un atteggiamento simile a quello del visitatore europeo dello spazio “coloniale”, o delle esposizioni coloniali, in cui la descrizione dell’“originalità” e dell’“arretratezza” degli “usi e costumi” degli autoctoni serve da una parte a preservarne l’“autenticità” e dall’altra a fornire una tra le possibili giustificazioni alla colonizzazione[43] e, nel nostro caso, all’unificazione nazionale che coincide anche con l’adozione dei valori borghesi che, con l’industrializzazione, si stavano imponendo nella parte settentrionale del Paese. Dal punto di vista della valenza ideologica del volume si tratta di scelte narrative tutt’altro che banali o “neutre”, soprattutto se si considera il clima politico di quegli anni, infatti a partire dagli anni Settanta nasceva e andava articolandosi - grazie all’azione politica e intellettuale del deputato Antonio Billia che per primo ne diede una definizione, al lavoro di ricerca condotto dagli esponenti della Destra storica Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino e, infine, alla sintesi in campo storiografico fornita da Giustino Fortunato[44] - il dibattito su quella che, già allora, venne definita la “questione meridionale”, ovvero sulla drammatica distanza tra le regioni settentrionali e quelle meridionali della penisola in termini di produttività, dotazione di servizi e livello socio-economico della popolazione.

Il nostro autore si esprime così descrivendo “il costume del basso popolo” napoletano: “gambe intonacate di fango e polvere: calzoni più in su della noce del piede, con toppe e finestre spalancate, giacchetta che ride da tutte le costure: berretto d’una forma pur che sia”[45], mentre del piatto più tipicamente napoletano dice: “vuoi sapere cos’è la pizza? E’ una stiacciata di pasta di pane lievitata, e abbrustolita in forno, con sopra una salsa di ogni cosa un po’. Quel nero del pane abbrustolito, quel bianchiccio dell’aglio e dell’alice, quel giallo-verdacchio dell’olio e dell’erbucce soffritte e quei pezzetti rossi qua e là di pomidoro danno alla pizza un’aria di sudiciume complicato che sta benissimo in armonia con quello del venditore”[46]. Del resto l’“invenzione” della pizza come piatto nazionale, come ci ricorda La Cecla[47], è un fenomeno che si stava realizzando proprio negli anni in cui collodi scriveva, e il libro di Pellegrino Artusi: La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene, in cui viene “inventata” la cucina nazionale italiana[48] venne pubblicato nel 1891.

Anche visitando la Sicilia il nostro autore si sofferma nella ricerca del “pittoresco” dell’”autentico”, poco o punto modificato dalla “modernità” soprattutto fra le fasce più “basse” della popolazione, anche se in questo caso pare affiorare più nettamente la coscienza delle ragioni sociali dell’arretratezza, infatti un personaggio, nell’accompagnare Giannettino a visitare i quartieri poveri di Palermo dice: “...non ti mettere in capo che il popolino palermitano abbia qualche cosa di veramente particolare e caratteristico. I poveri di questo mondo, ormai si sa, un po’ più un po’ meno si somigliano tutti fra loro: la miseria ha una fisionomia di famiglia, che non cambia mai per mutar di clima o paese”[49].


La banalizzazione della questione sociale

Queste ultime considerazioni introducono un altro tema che emerge dalle pagine del libro di Collodi, quello della povertà e dei tentativi di porvi rimedio socialmente. In una delle prime pagine del primo volume, in un brano che parla dell’utilità del viaggio l’autore scrive: “viaggiando, si comincia a vedere coi propri nostri occhi che, dal più al meno, tutto il mondo è paese; si vede, cioè,... che dappertutto c’è del buono e del cattivo, del brutto e del bello, della gente garbata e della sgarbata, dei ragazzi ammodo e dei biricchinacci di strada che ti danno noja, dei signori che vanno in carrozza e dei poveri che ti chiedono l’elemosina...”[50], in fondo dichiarando l’ineluttabilità della povertà, naturalizzando le differenze sociali più stridenti.

Collodi fa descrivere, o semplicemente citare, ai suoi personaggi la presenza di istituti di beneficenza, ospedali, collegi, orfanotrofi, ospizi e manicomi, ma se traspare una sincera commiserazione per le condizioni degli individui costretti ad usufruire dei servizi di tali enti[51], un sincero plauso per i benefattori che rendono possibili la loro azione e commiserazione per le condizioni di lavoro di alcune categorie lavorative[52],  non emerge mai palesemente una critica alla struttura sociale che rende possibile tali condizioni.

Questa è la narrazione che, con tutta probabilità, offre meno spunti di riflessione per l’analisi qui condotta. Infatti nel tentativo di descrive un’Italia fatta di “monumenti, folklore e eroi” gli aspetti più vicini alla geografia sociale passano, inevitabilmente, in secondo piano, nascosti, spesso, come già chiarito, dall’enumerazione dei tratti folkloristici delle condizioni di vita della quasi totalità della popolazione di diverse regioni della penisola.


Il genere

Il libro di Collodi permette anche di rilevare come è descritta l’Italia da un punto di vista del “paesaggio di genere” e l’atteggiamento nei confronti delle donne da parte dell’ autore.

A questo proposito bisogna innanzitutto sottolineare che i protagonisti del libro di Collodi sono due uomini, circostanza che, oltre a confermare un tòpos del Grand Tour, potrebbe essere interpretata come una sottintesa considerazione che il viaggio, didattico, ludico o lavorativo che sia, con tutto ciò che di “avventuroso” comporta, sia essenzialmente un’attività maschile. In un solo caso nelle tantissime pagine che compongono il libro si incontra una donna che viaggia senza accompagnatore maschile.

Al di là di questa già significativa circostanza bisogna dire che nell’Italia delineata dal Viaggio per l’Italia di Giannettino è un Paese dove le donne appaiono poco. La scelta di descrivere soprattutto le emergenze monumentali e i centri cittadini, limita di molto la descrizione della componente antropologica del paesaggio, e, anche in questo caso, le donne sembrano relativamente assenti, anzi si potrebbe dire che le donne si fanno notare per la loro quasi totale assenza soprattutto dai lunghi elenchi di personaggi illustri che corredano queste descrizioni. Bisogna tuttavia rilevare come il libro di Collodi rafforza gli stereotipi di genere, particolarmente significativi in un testo che si propone un fine educativo. La figura del dottor Boccadoro, a cui è affidato il ruolo di guida al contempo didattica e morale di Giannettino, in un’occasione, ad esempio, si esprime così nei confronti del genere femminile: “colle donne, ... bisogna aver sempre molti riguardi, anche quando non se li meriterebbero”[53]. In generale nei confronti delle donne con cui i protagonisti entrano in rapporti, cioè quelle appartenenti alla classe borghese, l’atteggiamento è di distaccata educazione, mentre l’autore non esita a definire “donnicciule”[54] quelle appartenenti al popolo. Le donne appaiono maggiormente nelle pagine dedicate alle aree più “esotiche” del Paese, nel sud e nelle isole, e soprattutto quando la narrazione si sofferma a descrivere i ceti più popolari.

In generale sembra sia affidato loro il compito di incarnare la tradizione così si sottolinea che: “le donne procidesi, nei giorni di festa, vestono in maniera graziosa, cioè con abiti rossi e orlati d’oro, come quelle contadine che qualche volta si trovano dipinte ne’ quadri”[55], sono le protagoniste di devozioni popolari[56], o di riti, descritti con atteggiamento tra il divertito e lo sprezzante,  da cui traspare qualcosa di arcaico e di pagano[57]. In questo senso la donna appartenente ai ceti popolari del sud sembra essere definita come una creatura vicina alla natura[58], mentre la donna appartenente ai ceti più elevati sembra sottratta, tramite la limitazione sociale della libertà, a questa condizione, così, a proposito dei caffè di Palermo, si afferma: “Una signora poi non oserebbe entrarvi. Le nostre signore si permettono, tutt’al più, nelle sere d’estate, di prendere un gelato o una gramolata nei caffè improvvisati in faccia al mare, sotto i grandi alberi della pubblica passeggiata”[59].


Conclusioni

Molti sono i motivi di interesse per i geografi che volessero analizzare il testo preso in esame.

Nel presente contributo si è voluta analizzare la valenza ideologica del testo. Infatti se ormai è stata accettata l’idea che il “pensiero pedagogico non è indipendente dalle condizioni sociali e politiche in cui nasce, così come è evidente che la organizzazione del sistema scolastico e la stessa emanazione dei programmi costituiscono un ‘fatto’ essenzialmente politico, pur se percorso da specifiche influenze culturali”[60], meno indagati sono le valenze ideologiche delle singole discipline[61] e, in particolare, come queste vengano diffuse dalla letteratura per la gioventù che possiamo definire paradidattica.

Isolando e analizzando alcune tematiche di grande rilevanza ideologica si è tentato di mostrare come anche questo tipo di letteratura sia un potente mezzo di diffusione del senso comune. Il caso di studio è riferito ad un’opera pubblicata oltre un secolo fa, in un periodo cruciale  per la costruzione del senso nazionale italiano, ciò ha permesso di far emergere da una parte il ruolo che la

letteratura a cavallo tra didattica e ludicità ha svolto nella diffusione dell’idea nazionale e, dall’altra  su quali basi ideologiche si volevano formare i cittadini del neonato Stato italiano. La distanza temporale dal momento in cui il libro fu scritto se permette una maggiore distanza di giudizio non deve però farci illudere che in testi più recenti avremmo potuto registrare un minor numero di preconcetti e di stereotipizzazioni, le colpe e i doli dei libri del passato ci sembrano più gravi semplicemente perché si riferiscono a elementi ideologici totalmente o parzialmente superati dalla nostra società, verso i quali abbiamo acquisito il giusto distacco, ma ciò non significa che i testi più recenti non diffondano gli elementi del senso comune su cui si regge l’”egemonia culturale” dell’attuale classe dominante[62]. In questo senso si spera che il contributo possa aiutare a far assumere un atteggiamento critico nei confronti di ogni descrizione spaziale, aiuti a rendere palese come dietro la pretesa oggettività della descrizione del mondo si celi una sua costruzione consona all’ideologia egemone del periodo storico in cui è stata prodotta.  Permetta di individuare la portata discorsiva dei testi parascolastici e della geografia stessa che non può più essere considerata “come fosse il riflesso più o meno adeguato della realtà analizzata”[63],  ma come una scienza che non descrive il territorio, ma lo produce[64].

 

Notas

[1] Lacoste, 1976.

[2] Ó Tuathail, 1996.

[3] Gramsci, 1975.

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© Copyright Enrico Squarcina y Stefano Malatesta, 2012.
© Copyright Scripta Nova, 2012.

 

Ficha bibliográfica:

SQUARCINA, Enrico y Stefano MALATESTA. La geografia del Viaggio per l’Italia di Giannettino di Carlo Collodi come strumento per la costruzione nazionale italiana. Scripta Nova. Revista Electrónica de Geografía y Ciencias Sociales. [En línea]. Barcelona: Universidad de Barcelona, 1 de noviembre de 2012, vol. XVI, nº 418 (24). <http://www.ub.es/geocrit/sn/sn-418/sn-418-24.htm>. [ISSN: 1138-9788].

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