Claustra

San Gregorio Armeno, Napoli

Autoria

Gemma Colesanti, Antonio Bertini, Miriam Palomba

Nom

San Gregorio Armeno, Napoli

Altres noms

San Ligorio, San Liguoro, San Salvatore Santi Pantaleone e Sebastiano

Dades cronològiques

c.960 basiliana/1340 benedettine

Ordes

Basilianes
De 1100 a 1325
Benedictines
De 1350 a 1550

Comunitats relacionades

San Michele arcangelo a Baiano, Napoli
Historia Comunitat

Antico monastero che una tradizione vuole fondato da Elena, la madre dell'imperatore Costantino nel 328 per commemorare s. Gregorio vescovo di Armenia. Una seconda tradizione invece fa risalire la fondazione ad alcune monache greche basiliane in fuga dall'Oriente che portarono a Napoli le reliquie di S.Gregorio. Fu fondato presumibilmete negli ultimi anni del IX secolo o principio X. Il monastero esisteva già nel 1025 come attestato in un privilegio del duca Sergio in cui si accorparono le "cappelle" o monasteri - come asserisce il Capasso- dei santi Gregorio, Sebastiano, Salvatore e Pantaleone. Nel corso dei secoli diventa il monastero più ricco e importante della città soprattutto tra XI e XIV secolo.

Le badesse di san Liguoro attraverso chartulae commutacionis o promissionis, vendite e cessioni gestiscono un patrimonio enorme, che potremmo comparare a diverse aziende agricole, con contratti di differente natura, come dimostrano i circa 500 documenti editi dal 988 al 1306. Le donne elette badesse del monastero, in maniera autonoma dalla sola comunità, avevano una preparazione sia in campo amministrativo sia in campo giuridico ed agivano in un’assoluta indipendenza, senza nessuna interferenza né vescovile né ducale, come si evince dal noto privilegio del Duca Sergio IV.Queste badesse, appartenenti per la maggior parte alla nobiltà cittadina, in qualità di amministratrici, con il consenso della comunità − cunctas congregaciones monacharum – cedono pezzi di chiese e case in cambio di terreni coltivabili e produttivi. La documentazione testimonia un ampliamento territoriale che è comprovato fin dal 1141, quando la monaca Gaudibisa acquista da Gregorio, Giovanni e Marotta Brancaccio, per l’infermeria, la metà di due terre site ad Sanctum Petrumqui dicitur ad Paternum per unirle ad altre due, precedentemente comprate da Anna e Gaita, monache nello stesso ente. La rappresentazione delle proprietà immobiliari è fornita da tutte le attestazioni − donazioni, vendite e affitti − in cui compaiono appezzamenti diversi disseminati nel territorio dell’ex ducato. La consistenza patrimoniale dell’ente si estende nei territori di Calvizzano, Casoria, Sant'Anastasia, sul monte Erasmo e Capodimonte, oltre alle tante proprietà immobiliari nella città di Napoli, dove le badesse riescono ad avere riconosciuto il diritto di poter edificare, demolire e vendere a loro discrezione. Circa l’estensione dei loro possedimenti si è parlato di un vizio d’origine, che avrebbe procurato negli anni delle difficoltà nel controllo di un patrimonio così poco coeso, invece, grazie alle capacità “manageriali” delle nostre badesse, i beni immobili vengono permutati e venduti all’interno di una strategia mirata a soddisfare le esigenze della comunità intera. Si percepisce, chiaramente, un disegno di acquisizione di terreni limitrofi, che vanno a comporre fondi non piccoli, più facilmente gestibili per assolvere alle necessità comunitarie: l’approvvigionamento del vitto per tutte le monache o le persone che gravitavano intorno all’ente per vari motivi, e la vendita dei prodotti in eccedenza. Nei tanti contratti di affitto di terreni dati ad pastinadum, ad laborandum, ad meliorandum si prevedeva non solo l’invio della metà dei prodotti, una parte delle sementi, in alcuni casi il lino che poi poteva essere lavorato in convento, o della legna, ma anche il sostentamento di una o due persone, laiche o religiose − e qui possiamo pensare anche all’invio di alcune monache come palesemente si può dedurre da una carthula promissionis del 1277 − che al momento della vendemmia o del raccolto si recavano sui terreni.

Alle consueta vita religiosa le monache di San Gregorio aggiunsero un'attività importantissima, quella della gestione e funzionamento della loro infermeria Sacrum infirmarium (Vitolo Di Meglio 2003). Questa struttura non era solo a disposizione della comunità, sicuramente era un luogo che offriva servizi medici e infermieristici alla popolazione napoletana che gravitata intorno al monastero. Ciò è evidente non solo dall'alto numero di donazioni che rivece "l'infermeria" nel corso dei secoli e dal protagonismo delle responsabili della struttura, donne appartenentin alle èlite cittadine, ma anche da altre testimonianze come la presenza di infermieri nel XIII secolo che si giustifica solo come servizio esterno alla comunità. Già dal 1175 compare nelle fonti la gestione autonoma delle responsabili dell’infermeria che sarà molto più evidentea partire dal 1207: la rettrice e la governatrice. Queste monache sicuramente erano non solo a conoscenza delle basi della farmacopea medievale ma anche delle principali nozioni di agricoltura per seguire la coltivazione delle erbe medicinali.

Tuttavia, la caratteristica principale di questa strategia economica, voluta dalle badesse e che porta ad un’accumulazione patrimoniale consistente, non si esprime soltanto attraverso le donazioni. Le monache e soprattutto le badesse di s. Gregorio Armeno, adottano un’altra strada per entrare in possesso di beni e di fortune monetarie, quella degli appannaggi. (Feniello, 2011).

Nel 1340 il monastero passò alla regola benedettina quando era abatessa Alessandra Caracciolo Ruxa.


Nel 1576 dopo la soppressione del monastero di sant'Arcangelo a Baiano, una pare della monache si unì a quelle di san Gregorio Armeno, lo stesso avvenne con quelle di S. Maria di Donna Romita e nel 1864 con le monache di santa Patrizia. Queste ultime portarono le relique della stessa santa Patrizia il cui sangue si liquefa ogni martedì ed il 26 agosto di ogni anno.

Una prima storia della comunità è stata narrata da Fulvia Caracciolo nel Breve compendio della fondazione del monastero di s.to Gregorio Armeno detto S.to Ligorio di Napoli..., del 1580 e stampato con annotazioni di Raffaele M. Zito nel 1851,

Nel 1864, si pubblicò il libro di Enrichetta Caracciolo Misteri del Chiostro napoletano, in cui narrava la propria vita nel convento di clausura denunciando l'oppressiva esperienza. 

Fu soppresso il 12 gennaio 1808.

Attualmente è attiva una comunità di suore Crocefisse Adoratrici dell'Eucarestia.

Figures destacades

Abbatessa Maria, figlia di uno Stefano, parente del duca Sergio I  da cui ottiene la donazione di vari monasteri urbani che vengono aggregati in un solo ente. 

Gaita, abbadessa dal 1151 -11165 durante il suo mandato incremeta i beni del monastero e dell'infermeria. Si reca in Sicilia, a Palermo tra il 1168 e il 1170, per ottenere personalmente dal re Guglielmo II e dalla regina madre Margherita il condono delle fidancie, il riconoscimento e la conferma dei privilegi ottenuti nel corso degli anni dai precedenti monarchi. Nel 1115  Gaita riesce ad ottenere il riconoscimento di un servo conteso con Sergio de Turre, per 40 tarì di Amalfi, ottiene infine l’autorizzazione ad usufruire gratuitamente dei mulini del demanio di  Capua per far macinare  100 salme di frumento e l’assegnazione gratuita del reddito di 12 salme di sale.

Luca de Abinabile 1216-1234

Maria Carocciolo 1309-1311

Alessandra Caracciolo 1339-1346

Sabella Caraczula 1407-1413

Ceccarella Capice 1416-1434 

Lucrezia Caracciolo 1572-1577

Violante Pignatelli 1731-1734

Edifici Arquitectura

Il complesso conventuale di San Gregorio Armeno è formato da quattro fabbriche: la basilica, il chiostro, la chiesa di San Gennarello e il monastero di San Pantaleone (quest’ultimo collegato alle altri parti tramite un cavalcavia sormontato da un campanile). Nell’VIII secolo venne fondato il Fondaco di San Gregorio che nel 1225 fu unito ai monasteri di San Sebastiano e San Pantaleone (sec VIII). Forse il convento fu edificato nel 930 nel luogo che avrebbe ospitato il monastero fondato da Sant’Elena Imperatrice, madre dell’imperatore Costantino. Probabilmente è l’unione di quattro piccole chiese. La Chiesa e il Monastero furono fondate dalle monache di San Basilio fuggite da Costantinopoli con le reliquie di San Gregorio, vescovo d'Armenia, nell'VIII secolo. Più volte rimaneggiata e in fasi successive l'interno fu arricchito di stucchi, marmi e ottoni tipici del barocco napoletano. La struttura della chiesa è a navata unica, con cappelle laterali e abside centrale. Diversi sono i dipinti conservati all'interno della chiesa. Nel 1572 la chiesa fu collocata al centro del Convento. Il cavalcavia di connessione tra i due conventi, poi trasformato in campanile, consente l’accesso al chiostro ed al convento, opera dell'architetto Giovanni Vincenzo Della Monica (1572-79) e di Giovan Battista Cavagni (nuova chiesa e nuovo monastero). La chiesa venne realizzata su progetto del 1580 dell’architetto di Roma Giambattista Lavagna. Nel 1682, ad opera di Dionisio Lazzari, vi furono apportati altri rifacimenti. Nel 1694 vi fu un ampliamento ad opera di Francesco Antonio Picchetti. Nel XVIII subì un arricchimento con elementi tipici del barocco napoletano (stucchi, marmi e ottoni). Il terremoto del 1930 provocò seri danni. Ai primordi, il chiostro era stato concepito con uno spazio verde rettangolare ed adibito parzialmente ad orto e delimitato da undici archi per dodici. Cinque belvedere resero meno faticosa la clausura: con lo sguardo si dominava il paesaggio urbano e quello naturale. Altra principale caratteristica del chiostro, sono le reti idriche ideate per usufruire delle acque provenienti dal condotto del Carmignano e quelle piovane, dunque in maniera completamente indipendente. I canali che facevano sopraggiungere l'acqua alle cisterne, vennero collocati su due archi rampanti sollevati tra l'orto e il portico adiacente alla chiesa. Le cisterne furono rivestite da volte a padiglione in lapillo battuto e rese accessibili attraverso una piccola finestra, dalla quale poteva passarci tranquillamente un uomo. Il pozzo che raccoglieva le acque piovane, invece, fu posizionato lungo l'asse orientale. Ben 135 scalini conducevano ai cunicoli dell'acquedotto e a numerosi depositi ricavati negli ambienti sottostanti. Esterno. La facciata presenta quattro lesene toscane con fregio dorico, con tre finestroni ad arcate che, originariamente, erano sormontate da un timpano, poi sostituito da un terzo ordine architettonico. Il portale principale risale alla fine del XVI secolo. Interno. L’interno si presenta con una pianta a navata unica su cui si aprono quattro cappelle laterali. Ogni lato presenta cinque arcate, mentre sul soffitto si apre una semicupola. Il soffitto della chiesa è a cassettoni e venne intagliato tra il 1579 e il 1582. Abside e presbiterio. La zona absidale è a pianta quadrata. Sulla parete destra del presbiterio si apre il cosiddetto “comunichino”, cioè un’apertura dalla quale la badessa del convento ascoltava la messa e consentiva alle monache di ricevere la Comunione. In questa sala, progettata da Giovanni Domenico Vinaccia, sempre ad uso delle monache, nella chiesa è presente la Scala Santa. Il monastero. Il chiostro e il convento della struttura sono opera dell’architetto Giovanni Vincenzo Della Monica, il cui ingresso è affrescato da Giacomo Del Po. Il complesso ospita gli alloggi delle monache e, al centro del chiostro, troviamo una fontana marmorea (vedi sezione patrimonio artistico). La cappella dell’Idria. Dal chiostro è possibile accedere a due cappelle. La prima è coeva alla struttura seicentesca, mentre la seconda, chiamata Cappella dell’Idria, risale all’antico convento medioevale. A sinistra dell’ingresso è possibile accedere al Coro delle monache e al successivo Corridoio delle monache. Infine, all’interno del convento è possibile accedere al Salottino della Badessa, ambiente in stile rococò. La Cupola è rivestita di embrici smaltati gialli e verdi. Il complesso si articola con cinque belvedere che consentono una panoramica sulla scena urbana del centro antico di Napoli. Un'ultima annotazione è riferita al chiostro in funzione paesaggistica con piante di agrumi. ....

La struttura tipica basiliana ed il paesaggio interno al chiostro sono simili a quelli del complesso di Regina Coeli, costruito precedentemente.

Patrimoni Documental

La documentazione si conserva presso l'archivio di Stato di Napoli, nel fondo corporazoni religiose soppresse. Indicazioni su fondo pergamenaceo 

http://patrimonio.archiviodistatonapoli.it/xdams-asna/siasTo-xDams.jsp?titolo=anagrafe&resource=IT-ASNA-00017227

Sulla storia dell'archivio dell'ente cfr. J. Mazzoleni, Archivi di monasteri benedettini conservati presso l'archivio di Stato di Napoli, pp. 88-117, in cu si riportano tutte le indicazioni archivistiche sulle fonti  conservate dal XII al XIX secolo. 
Le fonti più antiche sono le pergamente provenienti dall'archivio del monastero tutte pubblicate (cfr. Pilone e Mazzoleni), le più antiche sono del X secolo.

Una parte del diplomatico è stato pubblicato da Pilone e Carla Vetere Le pergamene di S. Gregorio Armeno, in 3 volumi

La platea 

l'elenco della badesse e un alcuni documenti sono pubblicati in: http://www.fondazionevalerio.org/SGA%20Appendice%20A.pdf

gli stralci proposti sono tratti dalle seguenti piante:

  1. Stralcio della pianta di Napoli del Duca di Noja edita nel 1775.
  2. Stralcio della veduta del Baratta del 1629.
Patrimoni Artistic

La chiesa

Il portone in legno di noce risale alla fine del XVI secolo e in ogni scomparto dei tre battenti sono intagliati, in rilievo, San Lorenzo, Santo Stefano e gli Evangelisti. La chiesa fu decorata da Luca Giordano tra il 1671 e il 1684 e in fasi successive l'interno fu arricchito di stucchi, marmi e ottoni tipici del barocco napoletano, dell'organo, di due cantorie in legno intagliato, opera del Regio Architetto Niccolò Tagliacozzi Canale, e di un coro d'inverno ricavato sotto le capriate del tetto, al di sotto del soffitto ligneo. L’altare maggiore è opera di Dionisio Lazzari (1682) mentre i due cherubini in marmo sono di Bartolomeo Ghetti (1701). Al di sopra dell’altare è presente l’Ascensione di Giovan Bernardo Lama (fine XVI secolo) e le decorazioni in stucco di Antonio Vaccaro. Inoltre, sulla parete absidale, è posta la tela raffigurante Mosè che fa scaturire l’acqua dalla roccia, attribuita a Tommaso Fasano. Tra il 1730 ed il 1750 furono realizzati un organo e due cantorie in legno intagliato. Nell’abside sono presenti un’opera di Giuseppe Simonelli raffigurante il Coro degli Angeli (1699) e una tela di Paolo De Matteis raffigurante Elia e l’Angelo. Cappelle di destra. La prima cappella, dedicata all’Annunziata, presenta sull’altare l’Annunciazione, opera di Pacecco De Rosa, datata 1644. Nella seconda cappella è conservata una tela raffigurante il Sacro Cuore di Gesù con San Pantaleone e Sant’Antonio, del 1775. La terza cappella, dedicata a San Gregorio, è decorata da marmi di Cosimo Fanzago (1637). Qui si trovano anche un dipinto raffigurante San Gregorio tra gli Angeli attribuito a Francesco di Maria, autore anche degli affreschi nella cupola della cappella con le storie del Santo (1660-1670) e, alle pareti laterali, due tele di Francesco Fracanzano in cui sono raffigurati San Gregorio gettato nel pozzo e Re Tiridate col muso da cinghiale supplichevole davanti San Gregorio. La quarta, infine, conserva sull’altare la Madonna del Rosario, dipinta da Nicola Malinconico. Cappelle di sinistra. Nella prima cappella troviamo dipinta una Natività, attribuita al pittore Cinquecentesco Giovanni Angelo Crisconio. Nella seconda sono conservati un crocifisso ligneo risalente alla fine del XV secolo e due sculture di Francesco Mollica raffiguranti l’Addolorata e San Giovanni Evangelista. Nella terza cappella troviamo un grande pulpito seicentesco a tarsie lignee in cui sono raffigurate storie di santi, mentre sull’altare è posta la pala raffigurante la Decollazione del Battista, attribuita a Silvestro Buono e alla sua bottega. Nella quarta e ultima cappella, invece, troviamo un dipinto in cui è raffigurato San Benedetto, molto probabilmente opera di Francesco Fracanzano. Nella semicupola spicca “La Gloria di San Gregorio”, opera di Luca Giordano risalente al 1671. Il soffitto della chiesa è a cassettoni e venne intagliato tra il 1579 e il 1582 da Giovanni Andrea Magliulo e dai sui collaboratori e, successivamente, venne decorato dal pittore fiammingo Teodoro D’Errico che vi dipinse la vita di quei santi le cui reliquie sono conservate nella struttura. Le pareti della navata vennero affrescate da Luca Giordano con numerose opere: nella controfacciata si trovano “Arrivo al lido di Napoli delle monache armene”, “Traslazione del corpo di San Gregorio” e “Accoglienza dei Napoletani alle monache” (tutte nel 1684). Tra le finestre della navata possiamo ammirare “Storie della vita di San Gregorio” (1679) e, nel coro, “Storie della vita di San Benedetto” (1681). Ai lati dell’ingresso, invece, troviamo la “Madonna in Gloria tra San Francesco e San Gerolamo”, opera del pittore fiammingo Cornelius Smet. Nella sacrestia è conservata un’opera di Paolo De Matteis in cui è raffigurata “l’Adorazione del Sacramento”, dipinta attorno al 1712. Nell’atrio iniziale sono state inserite delle lapidi commemorative in ricordo della consacrazione della chiesa (1579), della dedicazione a San Gregorio Armeno e della visita di Pio IX nel 1849. Poche riggiole con foglie gialle e verde, risalenti al Settecento, si conservano in alcune parti.

Monastero. Nell’atrio del monastero vi è un pavimento in marmo bianco e nero e ai lati trovano posto dei sedili di piperno con spalliere in marmo, mentre le bocche delle ruote sono intarsiate con marmi pregiati (marmo bianco con “borolé” di Francia, giallo di Verona) con cilindri di legno ricoperti di bronzo e ottone.
Chiostro. L’ingresso del chiostro è affrescato da Giacomo Del Po. Dal chiostro è possibile accedere a due cappelle. Nella prima cappella è conservata una tela anonima raffigurante l’Adorazione della Vergine, mentre nella Cappella dell’Idria sono conservati diciotto dipinti di Paolo De Matteis che raccontano la Vita di Maria e Virtù e puttini musicanti (1712), mentre sull’altare maggiore è posta un’icona raffigurante la Madonna dell’Idria (vaso per acqua con due anse laterali). Al centro del chiostro è posta la fontana marmorea di epoca barocca (1783) fiancheggiata da due statue scolpite da Matteo Bottiglieri nel XVIII secolo, raffiguranti Cristo e la Samaritana. La fontana fu restaurata nel 1843.

Arqueologia

San Gregorio Armeno si colloca lungo lo stenopos principale che fiancheggiava l’agorà e poi il foro romano. Probabilmente sorge sui resti del tempio pagano di Cerere, nell’area del macellum, sulle sommerse botteghe dell’allume, lo spazio greco insediato dalle sottofondazioni di Napoli sotterranea. In epoca romana la strada che oggi viene chiamata “Via San Gregorio Armeno” era detta “Augustale” perché collegava la Curia Basilicae Augustinianae con il decumanus inferior, poi chiamata “Nostriana”, dal vescovo di Napoli Nostriano. Il monastero è situato in un’area dell’antico foro. Nel chiostro sono conservati numerosi capitelli di epoca romana (del tempio di Cerere?) e diversi mortai di marmo bianco (secondo il Pane ottenuti dal riscalpellamento dei capitelli corinzi). La chiesa di San Gennarello, poi meglio conosciuta come chiesa di San Gennaro ad diaconiam e fino ad oggi chiesa di San Gennaro all’Olmo, nasce dalle vasche termali che formano un piccolo sistema dislocato pochi metri più a nord e più a sud del tracciato greco-romano, sorto a partire dal 449 d.C.

Bibliografia i enllaços

Bibliografia

Mazzoleni, J., 1973. Le pergamene di San Gregorio Armeno di Napoli, Napoli: Libreria Scientifica editrice.


Pilone, R., 1989. Diplomatico di S. Gregorio Armeno conservato nell’Archivio di Stato di Napoli, Napoli: Tipografia Laurenziana.


Vetere, C. (ed.), 2010. "Più antiche pergamene degli ebdomadari conservate nell’Archivio Storico Diocesiano di Napoli", Aevum : rassegna di scienze storiche, linguistiche e filologiche, 84: 485-517.


Vitolo, G., Vetere, C. (eds.), 2006. Fonti per la storia del Mezzogiorno medievale, 3: 1267-1306. 


Capasso, B., 1881-1892. Monumenta ad Neapolitani ducatus historiam pertinentia, Napoli: ex Regio typographaeo equ. Francisci Giannini.


Vetere, C., 2000. Le pergamene di San Gregorio Armeno (1168-1265), II, Nocera Inferiore: Carlone editore.


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Vetere, C., 1999. "Un privilegio del sale al monastero di San Gregorio Armeno in Napoli: secoli XI-XIV", Campania Sacra, 30: 12-56.


Capasso, B., 1895. Topografia della città di Napoli nell'XI secolo, Bologna: Forni.


Pilone, R., 1996. Le pergamene di San Gregorio Armeno: 1141-1198, Salerno: Carlone.


Mazzoleni, J., 1974. Le fonti documentarie e bibliografiche dal sec. X al sec. XX: Conservate presso l'Archivio di stato di Napoli, Napoli: Arte Tipografica.


Caracciola, F., 1851. Gregorio Armeno detto S.to Ligoro di Napoli: con lo discorso dell'antica vita, costumi, e regole che le moniche di quello osservavano, e d'altri fatti degni di memoria successi in tempo dell'autrice, Napoli: coi tipi di V. Manfredi.


Capasso, B., 1887. "De Curialium Neapolitanorum sub ducibus ordine officio et ritibus, ac de varia actorum ab eis perscriptorum specie, nomenclatura et forma dissertatio", Monumenta ad Neapolitani Ducatus historiam pertinentia, II: II-?


Vetere, C., 1996. "Documenti del monastero napoletano di San Gregorio Armeno per la storia di San Giorgio a Cremano", Archivio Storico per le Province Napoletane, 114: 11-33.


Vitolo, G., Di Meglio R., 2003. Napoli Angioino-Aragonese. Confraternite, ospedali dinamiche politico-sociali, Salerno: Carlone editore.


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Paraules clau

Gaita, abbadessa Infermeria Enrichetta Caracciolo Luca de Abinabile Maria Carocciolo Alessandra Caracciolo Lucrezia Caracciolo Violante Pignatelli Archivio di Stato di Napoli Archivio Diocesano di Napoli

Geogràfics
Campania
Notes

CLAUSTRA es un proyecto del IRCVM (Institut de Recerca en Cultures Medievals) de la Universitat de Barcelona.
CLAUSTRA ha sido financiado por el Ministerio de Ciencia e Innovación 2008-2010 y 2011-2013 (HAR2008-02426, HAR2011-25127), el Institut Català de les Dones de la Generalitat de Catalunya 2010-2011 y las ayudas a las actividades de investigación de la Facultad de Geografía e Historia de la Universitat de Barcelona.