Sette Angeli, Palermo
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Autoria
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Giuseppe Verde
Nom
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Sette Angeli, Palermo
Dades cronològiques
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1532
Ordes
MínimesDe 1550 a 1550
Comunitats relacionades
- Historia Comunitat
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Le prime notizie sull'antica chiesa dedicata ai Setteangeli, risalgono al febbraio 1248 quando ne era beneficiaria, secondo il testamento rogato dal notaio Matteo de Agus, Cristodula moglie di Matteo Visconte, si trovava nello stesso luogo in cui si raccontava fosse nata e vissuta fino al 309 d.C. la martire palermitana Ninfa e in seguito anche Oliva, altra vergine e martire locale (Mongitore, 1726, pp. 5-6; Palermo, 1858, p. 220). Venuto meno il culto dei Settangeli, la chiesa fu abbandonata, condannando le strutture al deterioramento; antecedentemente al 1516, era stata usata dalla curia della Cattedrale, come scuola di canto ecclesiastico per i chierici (Palermo 1858, p. 620). Nel 1516 don Tommaso Belloroso, quale canonico della Cattedrale e Vicario generale di Francesco Romolino, arcivescovo di Palermo, riferiva che entrando in questa chiesa aveva trovato su una parete, tracce di un affresco, "pittura / sop(r)a tavola" (Manganante sec, XVII, f. 321), non più leggibile e che, per poterne recuperare i tratti e i colori lo aveva fatto trattare con olio; a seguito di quest'operazione erano comparse le figure dei Sette Gran Principi della corte Celeste assistenti al Trono Divino. Quest'immagine era descritta in una lettera inviata al pontefice il 23 febbraio 1524, attribuendola "in quodam porvo templo antiquissimo, sed antea penè ignoto, et neglecto", e in un'altra, del 13 marzo dello stesso anno, spedita all'imperatore Carlo V, si leggeva: "duecento anni sono, che in questa città è stata incognita"; ma il resoconto più puntuale dell'epoca era riportato nel testo del Caetano, tomo II delle Vite dei Santi di Sicilia al f. 266. Dell'opera fu eseguita una fedele riproduzione, conservata nel convento, opera di Vincenzo Ainemolo, in cui si apprezzavano anche "misteriosi simboli" rappresentati nell'immagine (Manganante sec, XVII, f.320).
Dopo il ritrovamento era nato un forte interesse e devozione per questo luogo e per il culto, tanto che l'anno successivo (1517), nominato governatore della Sicilia don Ettore Pignatelli conte di Monteleone, anch'esso devoto dei Settangeli, ne fece restaurare la chiesa e nel 1523 rifondò la confraternita dei Settangeli; a questo sodalizio parteciparono insieme al vicerè Pignatelli anche l'imperatore Carlo V, il senato di Palermo e molti altri nobili e giureconsulti (V. Rosso XVI, f. 37). Avendo ottenuto dall'arcivescovo il diritto di patronato della chiesa, il viceré Pignatelli la dotò di una rendita di once trenta annuali (Mongitore 1726, p. 38).
Nel 1525, suor Isabella Sciarrat (Sciarratta; Palermo 1858, riporta Sciarrotta), professa del monastero di San Giovanni l'Origlione dell'ordine di San Benedetto, volendo "attendere ad una maggior perfezione di spirito" .... stimolata dal "desiderio di far carriera" (Mongitore 1726, p. 47), s'impegnò per la fondazione di un nuovo monastero, individuando nella chiesa dei Settangeli il luogo accanto a cui realizzarlo, dove si sarebbe seguita la regola dell'ordine delle Minime di San Francesco di Paola.
Proposto il progetto al viceré Pignatelli, devoto anche di San Francesco di Paola, lo accettò immediatamente facendolo proprio. Don Diego si raccontava avesse iniziato a venerare sia i Settangeli che San Francesco di Paola, mentre era prigioniero di Carlo VIII a Tours in Francia, a essi si era affidato facendo un voto, con la costruzione di questo monastero avrebbe adempiuto alla sua promessa (Mongitore 1726, p. 47); si attivò, quindi, per far rinunziare ai nuovi eletti Procuratori dell'ordine dei Minimi, la concessione della chiesa in modo da procedere alla nuova fondazione, riservando per se lo jus patronato, atto rogato dal notaio Pietro Zuppello di Messina, il 7 maggio 1529, II ind.. La rinuncia alla chiesa, alla casa dei cappellani e al terreno contiguo, fu confermata dai Rettori della Confraternita Imperiale: don Niccolò di Bologna, secreto e procuratore della città di Palermo e il dott. Polidoro di Cona, con il consenso dei confratelli: Giuliano Corbera capitano di Palermo, Luigi Sances Protonotaio del regno, Bernardino di Termine barone di Birribaida, Cristoforo del Castrone, Baldassarre di Bologna, Niccolò Pollastra, Paolo d'Avola, Bernardino Fontana, Niccolò Cento e il dott. Mariano Torres, atto rogato dal notaio Giacomo lo Scavuzzo del 15 marzo del 1529. Furono eletti nuovi Procuratori dei Minimi, Blasco Branciforti barone di Tabari e Girolamo Caprona giureconsulto, con il compito di far costruire il convento. Il cantiere per la realizzazione del monastero fu aperto nel 1529, contiguo alla chiesa dei Sette Angioli (Mongitore 1726, p. 48, p. 53).
Suor Cornelia di Risignano, badessa del monastero di San Giovanni dell'Origlione, , tanto sollecitata da suor Isabella Sciarrat, appena iniziati i lavori concesse la somma di once 320 che avrebbe dovuto ricevere dalla Regia Corte, quale sovvenzione per la fabbrica del monastero, l'atto di cessione fu rogato dal notaio Giacomo lo Scavuzzo l'11 marzo 1529 (Mongitore 1726, p. 51). Anche don Ettore Pignatelli s'impegnò fortemente per trovare le somme necessarie alla costruzione e il mantenimento del complesso monastico, elargendo sia personalmente sia invitando il Senato palermitano a concorrere con una sovvenzione di 150 scudi, per il completamento dell'edificio, come si legge nelle lettere spedite al Senato di Palermo da don Ettore, datate 15 agosto 1523 (Mongitore 1726, p. 53, da Atti del Senato Anno V ind. 1531 e 1532, f. 139).
Finiti i lavori alle strutture monastiche, si dispose che vi potessero accedere le prime suore, e poiché ancora non avevano sovvenzioni per il mantenimento, il viceré Pignatelli pensò di revocare la concessione annuale di 30 once versate alla confraternita dei Sette Angeli per elargirla al nascente monastero. Fu don Bernardo Requesens, Gran Cancelliere del Regno signore di Pantelleria e della terra di Buscemi, quale procuratore di don Ettore Pignatelli, atto del notaio Girolamo Mangiate rogato a Messina il 21 ottobre 1532, che, con la riserva della conferma dell'arcivescovo di Palermo e del Pontefice, e l'approvazione del beneficiale della chiesa di Palermo, revocò la donazione annuale alla confraternita dei Sette Angioli, tenne per se lo jus patronato, è riassegnò le 30 once così suddivise: once 20 per il vestimento e il mantenimento delle monache e once 10 ai padri minimi del convento di S. Oliva, con l'obbligo di amministrare i sacramenti alle monache e celebrare due messe al giorno sull'altare maggiore della chiesa dei Sette Angeli, le monache dal canto loro, avrebero dovuto abbracciare la regola di San Francesco di Paola; la proposta fu accettata sia dalle suore che dal provinciale del convento di Sant'Oliva, padre Tolazino o Placido Toloja di S. Lucia (Mongitore 1726, pp. 54-58).
Il monastero prese il nome dall'antica chiesa dei Sette Angeli, "mettendosi sotto la potentissima protezione di questi Sovrani del Paradiso: e appena entrarono in monastero le monache, che si murò la porta della clausura, per vivere affatto sepolte al mondo, e sol vive a Dio: e così vissero per lungo tempo. Quindi non entrando in esso persona vivente, si valean sol della ruota per ricevere le cose necessarie al vitto: e i medici per curare le inferme, l'osservavan da un portellino, cui l'approssimavano. Tutto il loro studio era l'avanzo nella religiosa perfezione, e l'acquisto delle più segnalate virtù in una Santa, e ammirabile ritiratezza. Tra le più segnalate virtù risplendea nel nuovo monastero una strettissima povertà. Non avean sul principio altra comodità per la conservazione delle robbe necessarie, che piccoli barili. Vivean colla fiducia nella divina provvidenza, e colla speranza di ricevere il bisognevole sovvenimento, che lo somministrasse la cristiana carità. Quindi vivevan di limosine, che persone divote avean cura di raccogliere dalla pietà de' Fedeli, chiedendole in soccorso delle Religiose Murate ne' sacri chiostri de' Sette Angioli: ma quanto più povere di beni temporali, più ricche de' tesori celesti, che a larga mano versava sopra di esse la Divina beneficenza. Per molto tempo, per amore della povertà, vissero spogliate d'ogni commodo, contente di viver mendiche" (Mongitore, 1726, p. 58).
Le prime nove suore che ebbero accesso alla nuova struttura, provenivano dal convento dell'Origlione, erano: Isabella Sciarrat (Sciarratta), Marta Grugno, Dignamerita Gugliazzo, Francesca Arrigo, Brigida Piglione, Ninfa Scolaro, Cornelia Bancheri, Dorotea La Grotta e Marina San Giorgio; queste, ottenuta l'autorizzazione dall'arcivescovo di Palermo il 25 novembre 1532, giorno dedicato a Santa Caterina Vergine, lasciarono il monastero di San Giovanni dell'Origlione per entrare in quello dei Sette Angeli, ricevendo il nuovo abito dell'ordine di San Francesco di Paola, alla presenza del viceré Pignatelli con "i festeggiamenti di tutta la città e consolazione dello spirito di tutti", l'evento fu ricordato in una pubblicazione riguardante il "Principio della Regola, e Correttorio di esso Monastero" edito in Palermo nel 1608 (Mongitore, 1726, p. 58; Palermo, 1858, p. 622).
In questa pubblicazione erano indicate le competenze della Correttrice del monastero: questa avrebbe dovuto far attuare le regole per l'amministrazione del monastero dando dello stesso un'immagine di “divozioso di sante virtù, e di meravigliosa perfezione”. La prima Correttrice del monastero fu suor Isabella Sciarratta che sotto il suo “prudente governo” e con la direzione dei Padri Minimi, organizzò l'evolversi della vita religiosa delle “novelle Spose di Gesù”. Nonostante il breve tempo in cui governò, solo otto mesi prima di morire, fu così forte la sua impronta che morendo in odore di santità, la venerazione e le richieste di entrare a far parte di questo convento crebbero, e con esse il numero delle religiose, da nove, del 25 novembre 1532 a venticinque, nel maggio 1539, tanto da rendere necessario l'ampliamento delle strutture; atto di approvazione della fondazione, redatto dal vicario generale della chiesa palermitana don Girolamo Termine, trascritto nel retro del f. 70 (Mongitore 1726, p. 62). Essendosi impegnate nell'ampliamento del monastero, avevano acquisito nuove case limitrofe, ma nonostante ciò, visto che nel 1585 il numero delle religiose aveva raggiunto le 85 unità, valutato dalle letture delle deposizioni dei molti testimoni che peroravano la causa, recatisi il 25 settembre 1585 a testimoniare in favore di queste suore, nella Corte Arcivescovile della chiesa palermitana, tutti lo avevano descritto molto popolato e con spazi angusti, più che i locali per la vita quotidiana, il problema era legato agli ambienti dove si svolgevano le celebrazioni degli Uffici, poiché, specialmente le inferme, non vi potevano agevolmente partecipare (Mongitore 1726, p. 103); riferivano di: "un'Infermeria molto ristretta, sotterranea, ed umida: valevole piuttosto a recar danno, che giovamento all'Inferme. Il dormitorio piccolo, e tutte le necessarie officine incommode. Per tanto furono costrette le religiose a pensare alla dilatazione del monastero nelle vicine abitazioni, ed edifici della parte meridionale; poiché dagli altri tre fianchi era circondato da pubbliche, ed ampie strade; e sol da questa parte v'era una piccola, ed angusta strada, facile da ottenersi per far passaggi all'abitazione, che si stendeam verso la celebre strada del Cassaro", per cui furono richiesti ulteriori ampliamenti (Mongitore 1726, pp. 90-91).
Il Beneficiale si attivò per l'acquisto di altri locali, ma per far ciò però era necessaria l'autorizzazione arcivescovile, quindi fu stilata la richiesta in forma di memoriale e inviata dalla Corretrice, suor Giovanna lo Vecchio (Pubblicata sul memoriale della Corte Arcivescovile il 23 agosto 1585).
Vista la necessità che il nuovo monastero aveva di ottenere un riconoscimento ufficiale dalla chiesa palermitana e dalla Santa Sede, il cavaliere Guglielmo Grugno, per conto del procuratore del monastero Giovan Pietro Zavatteri, si fece carico di sostenere la causa presso don Girolamo di Termine decano della chiesa palermitana e Vicario Generale dell'arcivescovo di Palermo Giovanni Carandolet, per ottenere la conferma e l'approvazione. La richiesta venne accolta positivamente confermando sia la fondazione che la concessione delle 30 once, oltre a quant'altro riportato nell'atto stilato dal Pandolfo nel 1539, autenticato il 27 febbraio del 1541 dall'ufficio del Mastro Notaio del Senato; di questo documento se ne conservava copia su pergamena, presso l'archivio del monastero (Mongitore 1726, p. 64).
La nuova fondazione che era stata confermata dall'arcivescovo di Palermo, e per esso, dal vicario generale don Girolamo Termini il 17 maggio 1539, ricevette in seguito il riconoscimento ufficiale dal pontefice Paolo III, con Bolla emessa in Roma il 12 giugno 1542 (Palermo 1858, p. 622).
Il 7 marzo 1535, era morto don Ettore Pignatelli, con un pomposo corteo funebre di cavalli bardati di seta e cavalieri era stato portato nella chiesa dei Settangeli, per esservi inumato (Paruta 1869, I, pp. 8-9, n. 2, dal Di Blasi, Storia cronologica dei vicerè di Sicilia, Palermo 1842 p. 172 n. 2).
Per dotare il nuovo monastero di somme adeguate al suo mantenimento, si erano mobilitati in molti; in una riunione del Parlamento del Regno del 1534 era stata inviata una supplica all’imperato Carlo V a nome di tutto il Regno, che concedesse “due tonni de’ quattro” che si dovevano a Giacomo Lo Caxo, sopra le tonnare di Solanto e Mondello, per tutta la durata della vita del monastero. La cosa non fu attuabile poiché il viceré non poteva concedere un beneficio già dato ad altri, ma lo stesso Giovanni de Vega, si attivò con una lettera scritta a Messina il 16 marzo del 1548, conservata nei Registri del Senato, all’anno VI ind., 1547 e 1548 f. 384, per la risoluzione del problema autorizzando il Senato di Palermo a concedere delle elemosine al monastero (Mongitore 1726, pp. 59-60).
Dal canto loro le monache, come risultava dal contratto rogato il 18 giugno 1549 dal notaio Antonino Lo Vecchio, delegavano Leonardo Ginocchio e Carlo d’Asta, a andare a nome del monastero, in giro per la città di Palermo con una cassettina, allo scopo di raccogliere le elemosine per lo “Spazio di anno uno, con la mercede di oncia sei, scarpe quante ne avesse necessità, e casa franca presa a pigione: col patto, che in caso d’infermaresi, fosse in obbligo il monastero a curarlo, senz’altra mercede” (Mongitore 1726, p. 60).
In seguito altri provvedimenti furono presi dal Senato palermitano; l'impegno era riscontrabile negli atti stilati negli anni 1566 e 1567, X ind. f. 150, in cui si dava licenza il 7 luglio 1567 ai Confratelli della Carità del Monastero de’ Sette Angioli, di poter ogni martedì andare per la città a cercare elemosine per il monastero. Anche la Compagnia della Pace stabilì nei suoi capitoli di andare in giro per la città ogni martedì a raccogliere elemosine per l’infermeria del monastero e consegnare il ricavato a questa Correttrice, negli antichi capitoli di questa compagnia si poteva riscontrare che quest'attività si fece fino al 1612. Vi erano inoltre alcune persone, tra queste Giovanni Gelsomino Barbiere, che veneravano e servivano “senza alcuna mercede” il monastero a questo fu concesso in premio di essere sepolto davanti la porta della chiesa del monastero, come da atto di concessione del 18 gennaio 1551 rogato dal notaio Niccolò Vincenzo Leggio (Mongitore 1726, pp. 60-61).
Don Antonio lo Duca arciprete di Caccamo e parroco della chiesa di S. Margherita di Palermo, fu eletto primo Beneficiale e maggior cappellano di questa chiesa, da don Ettore Pignatelli, mentre si trovava a Roma, qui comunicò alla Santa Sede, le notizie realtive alla forte venerazione. per questo monastero. Tornato a Palermo e considerato "l'ottimo stabilimento del Monastero e la venerazione, con cui fioriva per la santità della vita delle Religiose, ne concepì indicibile godimento", con l'intento di cooperare nell'ampliamento del complesso monastico, rilasciò alle monache la Cappellania con tutti i benefici a essa dovuti; l'atto di rinunzia fu rogato dal notaio Gaspare Pandolfo di Palermo l'11 maggio 1538 (1539) e transunto negli atti del notaio Carlo Magliocco di Palermo il 12 gennaio 1720 (Mongitore 1726, p. 63).
Anche la nuova Curatrice suor Anna Naselli, appena subentrata, sollecitò la richiesta al Beneficiale al fine di ottenere la concessione e poter ricorrere alla Santa Sede per la conferma; risposta arrivata l'11 ottobre 1585, "habeant recursum ad sedem Apostolicam".
L'approvazione della Santa Sede era arrivata nel 1586 includendo la "chiesa di S. Gio: Evangelista del Piano dei Cavalieri, colle cappelle di Santo Stefano, ed altri santi, le sue case contigue, col giardinello e altri a dette case spettanti" (Mongitore 1726, p. 103).
Furono comprate diverse case, tra le prime vi furono quelle della famiglia Trojana, ma non essendo sufficiente a risolvere i problemi di spazio, le suore si videro costrette a chiedere la concessione della limitrofa chiesa di San Giovanni del Piano. Contigua a questa chiesa vi era una cappella dedicata a Santo Stefano, anch'essa menzionata nel Rollo de' Tonni del 1439; nell'accorpamento Don Giuseppe Imperadore, che già aveva concordato con gli organi amministrativi del monastero alcuni Capitoli, tenne per se la "nominazione, e conferma di quei della Famiglia Imperadore, che avevano il Juspatronato del Beneficiale e della chiesa"; impose che all'interno della nuova chiesa fosse realizzata una cappella dedicata a S. Stefano e una a S. Giovanni Vangelista; su questa cappella sarebbe stato apposto lo stemma con le armi della famiglia Imperadore, e i membri della stessa famiglia avrebbero avuto il diritto di sepoltura alla base dell'altare (Mongitore 1726, pp. 98-99). Le suore si sarebbero impegnate a far dir messa tre volte la settimana (lunedì, venerdì e domenica), in suffragio delle anime del fondatore e festeggiare la festa dei due santi ogni anno, inoltre il monastero avrebbe dovuto versare al Beneficiale once 18 annuali in tre rate anticipate e il 15 agosto donare un cero da una libra. L'atto fu redatto il 19 novembre 1586 dal notaio Giacomo Galasso, ratificato da tutta la famiglia, prima da don Ludovico e don Girolamo Imperadore il 16 dicembre 1586, poi, dopo due giorni, da don Ottavio e don Carlo Imperadore, quindi da don Pietro Imperadore quale procuratore di Pompilio, Biagio, Ippolito e Silvio il 27 agosto 1587.
Nell'interesse del monastero il nuovo beneficiale Guglielmo Cantaneva, canonico della Cattedrale di Palermo, con atto confermato anche da tutti gli altri componenti e dall'arcivescovo Diego Ajedo, con lettera del 23 gennaio 1589, ne prendeva possesso il 26 successivo (Mongitore 1726, pp. 104-105), rinunciando agli interessi della confraternita sulla chiesa, anzi supplicava l'arcivescovo perché accettasse velocemente il loro atto di rinuncia.
Il 28 novembre 1591 fu redatto un memoriale in cui "Ill. Dominus D. Franciscus Bissus V. G. vedeat supplicata, et referat, redatta da Vicario Generale lo stesso giorno, uscì la seconda prevista: Habeans licentiam", in esecuzione di questa Tommaso di Giglia, Vincenzo Insirillo e Pietro d'Albergo Governatore oltre ai congiunti del convento di S. Stefano, con il consenso degli altri confratelli, rinunziavano in favore del monastero all'uso della chiesa di San Giovanni, consegnadone le chiavi alla Correttrice suor Cornelia Banchieri; con questo atto tralasciavano tutti gli interessi sulle migliorie che vi avevano apportato a fronte di un compenso di 40 once alla compagnia, atto redatto il I dicembre 1591 dal notaio Sebastiano Scalisi. Il monastero richiese conferma al nuovo beneficiale Cantaveno, che però per concederla attese di diventar Ciantro della Cappella Reale di S. Pietro in Palermo; questi specificava che il monastero avrebbe dovuto far eseguire dei lavori nei due anni seguenti, per migliorarne la fruibilità, dopo aver ottenuto dalla Santa Sede la conferma (atto rogato il 22 gennaio del 1591 dal notaio Giulio Trabona).
Il 5 aprile 1593 papa Clemente VIII, da Roma emetteva la Bolla di conferma, inviandola all'arcivescovo di Palermo, che la rendeva esecutiva il 19 agosto successivo, con l'avallo, il 19 gennaio 1595, della Corte Arcivescovile (Mongitore 1726, pp. 108-117; Palermo 1858, p. 622. Trascrizione in nota).
Per ben sessantacinque anni le monache, erano state amministrate e dirette dai Padri Minimi, come indicato da don Ettore Pignatelli, ma papa Clemente VIII revocò questa "oculata amministrazione" per concederla a don Diego d'Ajedo Arcivescovo di Palermo, imponendo alle monache l'obbedienza al nuovo amministratore e proibendo ai Padri Minimi l'intromissione, "Breve" stilato il 17 ottobre 1597 a Roma, reso esecutivo il 5 marzo 1598 (Mongitore 1726, p. 119 e p. 136). Quell'anno il reverendissimo padre Pietro di Mena, generale dell'Ordine rinunciò al monastero in favore dell'arcivescovo di Palermo.
Fu iniziata in questo periodo la costruzione di una nuova chiesa, utilizzando le donazioni, tra cui quelle del re Filippo III e di don Ettore Pignatelli duca di Monteleone, nipote del fondatore, oltre ad altre di innumerevoli fedeli. La prima pietra fu collocata dall'arcivescovo don Diego Ajedo, il 18 maggio 1599 alla presenza del Senato palermitano e del popolo festante. I lavori furono velocemente completati, aprendola al pubblico il 2 aprile 1612, giorno in cui si celebrava la festività di San Francesco di Paola (Emanuele e Gaetani 1873, III, p. 298 n. 1; Palermo 1858, p. 623).
Il monastero presentava, conformemente alla Regola, due cucine, una per la preparazione dei cibi Quadragesimali e l'altra per quelli "Pasquali, che è luogo dell'infermeria: e così sempre si è osservato". Nel 1611 il Vicario Generale dell'Arcivescovo Doria di Palermo, don Francesco la Riba, dopo una visita al monastero, ordinò che la preparazione dei cibi fosse eseguita in una sola cucina mangiando nello stesso refettorio, non curandosi della Regola (Toscano 1731, pp. 516-517). Fu raccontato che la notte successiva a quest'evento, la giovane suor Eleonora Maria di Simone, sognò san Francesco di Paola che le diceva "Leonora butta fuora quella salvietta sozza di carne, che sta nella cucina, perchè io non lo posso toccare"; la suora eseguì il comando sbarazzandosi dello straccio e per paura delle conseguenze che avrebbe potuto comportare la cosa, invocò il santo, che la rassicurò: "Figlia non dubitare, Dio provvederà è volontà di Dio, che s'osservi la mia Regola, l'istesso Vicario ve lo dirà". Durante quella stessa notte il Vicario fu colpito da "una sincopa, e stette circa sette ore morto"; ripresosi immediatamente avvertì le suore che sarebbero potute tornare a utilizzare le regole dettate dal Santo, e da allora non ci furono più intromissioni sull'argomento (Toscano 1731, p. 517).
A seguito del cambiamento di direzione dai Minimi all'Arcivescovo, il Mastro Cappellano della Cattedrale di Palermo, sotto la cui giurisdizione ora cadeva il monastero, pretendeva di amministrarvi i sacramenti e in particolare l'estrema unzione. Le monache a questa ulteriormente imposizione si opposero ricorrendo alla Sacra Congregazione dei Riti di Roma da cui ottennero con lettera datata 14 ottobre 1598 indirizzata all'Arcivescovo di Palermo, risposta positiva, si sosteneva la causa delle monache, notificando che i Frati vi potessero proseguire il loro officio.
Fu questo, uno dei monasteri in cui la regola venne ferreamente seguita, le suore erano " le uniche in Italia tutta tra il debil sesso, che sacrificate vengono a questa dura mortificata osservanza" (Emanuele e Gaetani 1873, III, p. 295).
Il primo settembre 1726 un grave terremoto sconvolse buona parte della Sicilia occidentale e anche Palermo, l'evento era stato anticipato da diversi eventi che a posteriori assumevano un ruolo premonitore tra questi uno accaduto nel monastero dei Sett'Angeli dove "due immagini del SS. Crocifisso si videro in aspetto orrido e minaccioso, tanto che non poteano in loro fissarsi gli occhi senza terrore" (in Mongitore "Palermo ammonito, penitente e grato nel formidabil terremoto del primo settembre 1726 ". La Duca 1978, p. 47).
Le suore presenti all'interno del monastero erano nei primi decenni del '700, secondo quanto riportato dal Pirri "funt hic moniale 78. proventus annui fc. 4000” (Pirri 1733, p. 308).
Il 3 ottobre 1738 veniva celebrata solennemente la festa di san Francesco di Paola nel monastero dei Sett'Angeli, questo evento vi veniva glorificato perché il 19 aprile precedente era stato eletto, dal parlamento palermitano patrono dell'isola, nomina per la quale si era ottenuta la conferma dalla Sacra Congregazione il 6 settembre 1738, con attestazione pontificia del 12 dello stesso mese. La nota era stata resa esecutiva dall'arcivescovo di Palermo Domenico Rosso il 30 settembre 1738, questi riconosceva che ogni anno, il 2 aprile, vi si sarebbe festeggiata la festa di precetto. La madre priora, che in prima persona si era impegnata perché ciò avvenisse, avvalendosi della sua consorella suor Serafina Tessera, chiese all'arcivescovo per tramite del fratello Andrea Rosso, monaco teatino, che nella chiesa fosse esposto il santissimo con festa solenne. In realtà questi festeggiamenti non si sarebbero dovuti svolgere poiché il decreto era surrettizio; Papa Urbano VIII nel 1642 aveva chiesto che ogni organo, provincia o comune, eleggesse un proprio patrono e in Sicilia era stata scelta, fin dal 1643, l'Immacolata Concezione di Maria Vergine, per cui l'arcivescovo non avrebbe potuto dichiararne altre. Ne nacque una contesa che vide da un lato i Paolini e dall'altro i Francescani, ne ebbero ragione i Francescani cui il 18 marzo 1739 venne riconosciuta la patrona, ma solo nel dicembre 1739 si poté averne conferma dall'Arcivescovo (Mongitore 1872, X, pp. 20-22).
Le monache possedevano un appezzamento di terreno di cinque salme fuori città in contrada Petrazze (La Duca 1978, p. 65), vicino all'Uditore, luogo in cui nel 1746 realizzarono una loro casa, recandovisi quell'anno a villeggiare per la prima volta. Il Mongitore nei suoi Diari riportava che erano state accompagnate "A 12 ottobre 1746, mercoledì. La mattina le monache de' Sett'Angioli andarono alla villeggiatura nel nuovo monistero fabbricato vicino del Santissimo Ecce Homo dell'Auditore" ... "non più che nove, una sorella e due cameriere", precisava sempre sul medesimo argomento che "oltre il commodo di quelle religiose, vi ha una decorata chiesa, che bene al culto di Dio vi si vede ordinata, con clausura ricinta di alte mura, formata da cinque salme di terra in circa, che apprestano ragguardevole spazio a goder le delizie de' giardini e dei copiosi alberi, che da poco tempo vi hanno piantato". Il resoconto riporta inoltre l'ordine con cui il corteo delle carrozze si mosse dal monastero verso il luogo di villeggiatura: "Precedeva dunque la carrozza D. Giovanni Maria Ramondetta, duca di Montalbo, con il principe Lanza, suo genero, ed il marchese della Ginestra. Indi seguiva la prima carrozza, tirata da sei cavalli, occupata dalla madre priora D.a Naselli, sorella del principe d'Aragona, e dalle madri vicaria e celleraria, insieme colla principessa di Villafranca vedova, D. Anna Maria Alliata e Di Giovanni. Succedevano alle medesime le altre monache, al numero di quattordici, dentro altre sette carozze a sei ed a quattro cavalli, accompagnate dalle dame secolari loro parenti; e finalmente chiudevano il corso monsignore arcivescovo e monsignore vicario in carrozza a sei cavalli, e carrozze di seguito delle loro famiglie." Dopo diciotto giorni di villeggiatura, con lo stesso apparato processionale e di personalità, le religiose tornarono nel loro convento in città (Mongitore 1872, X, pp.123-124; Emanuele e Gaetani 1874 XII, pp. 54-55).
Nel XVIII secolo al fine di ricevere altri introiti e rendere meno statica la vita delle suore, ogni struttura monastica si cimentava nella realizzazione di un suo manicaretto che lo contraddistingueva dagli altri, "piatta"; il monastero dei Sett'Angeli produceva dell'ottima caponata, oltre a questa da queste cucine uscivano, durante il periodo carnascialesco, centinaia di mustazzoli (Pitrè 1904, p. 201; La Duca 1978, p. 135).
Il 30 luglio 1750, scoppiò un incendio nel monastero costringendo ad aprire la clausura; fu spento velocemente non arrecando gravi danni, questi furono riparati con i fondi forniti dal Senato della città. Il 29 novembre dello stesso anno moriva all'età di sessantacinque anni, don Diego Pignatelli duca di Monteleone, il nobile personaggio che era un discendente del fondatore e uno dei più attivi benefattori del convento, ebbe di diritto un fastoso funerale svoltosi nella chiesa dei Sett'Angeli. Le esequie furono celebrate dall'arcivescovo e fu appesa la "manta di almirante"; questa fu dismessa solo dopo 36 anni, nel 1786 per volontà della badessa Domenica Maria Barzellini, visto che si sarebbero dovuti eseguire dei lavori nella stessa chiesa (Emanuele e Gaetani 1874 XII, p. 184 e p. 191).
La situazione economica della città e delle monache era sovraccaricata da tasse sempre più esose e poco ammissibili, tanto che il 20 settembre 1770, IV ind, in seguito all'ennesima richiesta di dazi da parte del governo comunale, le monache del convento dei Sett'Angeli si rifiutarono di pagare; chiamato l'arcivescovo e il Vicario generale Galletti, gli rimproverarono "l'abbandono della loro protezione in queste emergenze, passando avanti a chiamarli realisti e molto dediti alle lautezze de' pranzi e de' conviti e del fasto secolaresco" (Emanuele e Gaetani 1874, XIV, pp. 249-251).
La viceregina di Sicilia, Giulia d'Alvalos in Colonna Strigliani Aliano, volle fare un giro per i conventi femminili della città, e il 13 novembre 1775, si recò presso il monastero dei Sette Angeli, dove come negli altri prima visitati, fu accolta con rinfreschi sontuosi e regalie (Emanuele e Gaetani 1875, XV, pp.333-334).
Anche la regina Carolina, giunta da Napoli nel 1799, decise di fare visita hai monasteri femminili della città, questi intrapresero una dispendiosa gara tra loro per accoglierla; ai Settangeli le monache si prodigarono per il rinfresco, imponendo le loro direttive alla badessa, che era contraria, (Pitrè 1904, p. 181).
Il monastero era frequentato da sempre da nobil donne che con le loro doti rimpinguavano le casse, rendendolo ricco. Alla fine del '700 ne era badessa una nobile donna appartenente alla casata dei principi Naselli; di lei, però, era riportato: "taccheggiava una ignorantissima femmina", la sopra citata badessa, in questo monastero, in parte convertito in scuola comunale (Pitrè 1904, p. 187).
In questo complesso e in parti contigue a esso, era stato realizzato l'ospedale della Madre Chiesa o dell'Arcivescovato, per la cui istituzione si era impegnato il nobile Giovan Francesco Scicli, atto redatto il 17 settembre 1771 dal notaio Francesco Coppola e Messina di Palermo (Emanuele e Gaetani 1873, III, pp. 299).
Nel 1860 lo edifico era dato alle fiamme dalle truppe borboniche, facendone crollare una buona parte, salvandosi dalla distruzione solo qualche statua, tra cui quella del santo, opera attribuita a Vincenzo Gaggini. L'edificio non fu mai restaurato completamente, e nel 1866 il complesso fu incamerato dal Demanio dello Stato, in seguito alla soppressione delle congregazioni religiose, è venduto a privati (Emanuele e Gaetani 1873, III, p. 299; Palermo 1858, p. 624; La Duca 1978, p. 65). Al tempo in cui scriveva il Di Giovanni il complesso, era oramai abbandonato, avendo in parte subito un incendio, era stato abbattuto mentre la chiesa era stata riadattata a uso profano (Di Giovanni, 1989, p. 127 n. 189).
Tra il 1913 e il 1918 dal comune, sui ruderi del monastero in parte integrati e in parte rimossi, fu costruita la scuola superiore femminile "Giuseppina Turrisi Colonna" (La Duca 1978, p. 76).
Il bombardamento del 18 aprile 1943 colpiva ciò che era rimasto dell’antico complesso distruggendo il rifugio antiaereo che vi era stato realizzato sotto.
Monastero di san Giovanni dell'Origlione.
- Figures destacades
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Isabella Sciarratta
Dignamerita Gugliazzo
Marta Grugno
Francesca Arrigo
Brigida Piglione
Ninfa Scolaro
Cornelia Bancheri
Dorotea La Grutta
Marina San Giorgio
1) Donna Isabella Sciarratta, fu la prima badessa, delle sue virtù riportava notizie padre Bartolomeo Maggiolo (Maggiolo nel suo testo “le vite de’ Compagni di S. Francesco di Paola, ed altri” al f. 145), dopo che era stata eletta Correttrice “e dopo averlo governato lo spazio di otto mesi con prudenza, zelo, rettitudine, e con non poco giovamento di quelle piante novelle, piena di virtù e di meriti passò felicemente all’altra vita” (Mongitore 1726, p. 62).
2) Suor Ninfa Scolaro (Crescenzi 1648, III p. 134; Mongitore 1726, p. 177).
Nacque a Palermo entrando nel "monastero Benedettino di San Giovanni lo Riglione in Palermo, nel quale menò vita esemplare". Durante la fase di fondazione del nuovo monastero fu scelta tra le prime. Il 25 novembre 1532 insieme alle consorelle, entrò e vestì il nuovo abito diventando subito da esempio per le altre, "si ammirò in essa un'angelica purità di animo: e santità di vita segnalatissima: e fu sempre in somma stima, e in grandissima opinione la sua santità, fra quante vissero nel suo tempo" (Mongitore 1726, pp. 175-177).
Riportava il Mongitore (dopo aver attinto da precedenti autori), adorava ardentemente il Crocifisso Redentore tanto da chiedere al Signore di partecipare al suo dolore, ottenenedone le Stimmate interne (non visibili), i cui dolori la fecero molto patire mentre visse, specialmente il venerdì di ogni settimana e per le ventiquattro ore successive. Il 20 marzo 1548 morì in santa virtù e colma di meriti.
Bibliografia sulle suore:
· p. Francesco Lanovio (De La Noue), Chronicon Generale Ordinis Minimorum S. Francisci de Paula an. 1548, Lutetiae Parisiorum 1635,f. 234 n. 7;
· Arnaldo Raiffo, Peristramata Sanctorum, f. 174;
· Adriano Lireo (Adrien van Lyere), De Imitatione Jesu patientis, Siue de Morte et vita in Christo Jesu Patiente Abscondita, Antverpiae 1655, lib. 5 cap. 7 f. 302;
· Lorenzo Beirlingh, Theatro vitae hum. ver. Religio, f. 254;
· Gio: Pietro de Crescenzi Romano, Presidio Romano ovvero della milizia Ecclesiastica et delle religioni si cavalleresche, come claustrali, st. A. Ardizzoni Piacenza 1648. - Edifici Arquitectura
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Il luogo scelto per la costruzione del nuovo complesso monastico era posto alle spalle della Cattedrale di Palermo, in un'area dove forte era la presenza religiosa.
Sorgeva in quest'area un'antica chiesa, dedicata a San Giovanni Evangelista di cui si faceva menzione già nel Ruolo de' Tonni redatto nel 1439 (riportato da don Marco Serio nel libro riguardante la Bolla di Clemente VIII diff. 2 quar. 8 f. 137), vi era trascritto: "Pro Ecclesia S. Joannis de Cavalieri il titolo dovuto al fatto che quivi fosse un piano vicino la Cattedrale dove i cavalieri passeggiavano per onesto divertimento". Questa chiesa era stata utilizzata come: "Spedale della chiesa Maggiore e dell'arcivescovado", come risultava nel testamento redatto nel 1214 da Benedetta, moglie di Pellegrino Grillo palermitano (atto rogato dal notaio Martino Diacono di Palermo il 19 ottobre 1264, transunto negli atti del notaio Roberto Di Palermo del 23 maggio 1269. Pergamena conservata nell'Archivio Maggiore). Anche il Pirri, a proposito di questa chiesa, la datava intorno al 1215 (Mongitore 1726, p. 92, al f. 653). Nonostante appartenesse al ricco Arcivescovato, la chiesa era spogliata e semi abbandonata, "anzi minacciava rovina", per cui agli inizi del '400, in stato di sedia vacante dal Capitolo della Cattedrale, fu concessa a Matteo e Ventura del Castrone, e ai suoi successori, quale luogo di sepoltura della famiglia, con l'obbligo di restaurare la chiesa e farvi dir messa tre volte a settimana, per un compenso di 3 once d'oro annuali (atto rogato dal notaio Manfredi la Muta l'8 maggio VIII ind. 1415); la concessione fu confermata dall'arcivescovo di Palermo Ubertino de Marini, fratello della Ventura (atto redatto il I aprile XII ind. 1419 dal notaio Giacomo Gaggio di Palermo). La Ventura, dal canto suo, nominò nel suo testamento lo stesso fratello quale suo successore (atto redatto il 6 maggio 1422, XII ind. dal notaio Manfredi la Muta di Palermo); a seguito di questo, la gestione passò alla curia che lo cedette agli Ospedali Centrali con l'obbligo che fossero versate 3 once d'oro in favore della sorella dell'arcivescovo Ventura. Per successione, passò dalla famiglia Castrone a quella degli Imperadore; don Giuseppe Imperadore ne era intestatario nel 1586, com'è riportato nell'atto del notaio Giacomo Galasso registrato il 19 novembre, in cui si riportava la concessione al monastero dei Sette Angeli (Emanuele e Gaetani 1873, III, p. 296). "La chiesa di S. Gio: Evangelista, vulgariter detto S. Giovanni la Chiana delli Cavalieri, con tutte le cappelle di S. Stefano, ed altri santi" fu concessa all'Arcivescovo, don Cesare Marullo, il quale vi fondò il Seminario de' Chierici. Il suo progetto era di fondarlo nelle case attigue a questa chiesa, "A 5 di giugno 9 ind. 1587 deliberò fabbricarlo nelle case delle chiese di SS. Giovanni, e Stefano de Plano, ove oggidì è fabbricato il monastero, si rivoltò" (Mongitore 1726, pp. 95-96 e p. 99).
In quel periodo "insieme colla chiesa di San Giovanni, e colle sue stanze, e giardinello: onde venne a conseguire la necessaria ampliazione della parte, che riguarda il piano della cattedrale". In seguito fu programmata la costruzione di una nuova chiesa, per l'ampliato monastero. Si procedette alla sostituzione della piccola e antica chiesa, la cui porta era posta di rimpetto alla tribuna del duomo, trasformata, al tempo del Mongitore, in parlatorio, e la restante parte integrata nei "sacri chiostri del monastero".
La descrizione della piccola chiesa si trova nel manoscritto di Valerio Rosso (1572-1602) (Rosso XVI, f. 37), riportava il resoconto di una sua visita fatta nel 1590, era di modeste dimensioni e accanto alla trave che reggeva il crocifisso vi era la seguente scritta:
Jesus § Tartareos vicit Manes, nundumque redessit § Maria.
Hoc fusi pretio sanguinis, atque crucis
mentre in un'altra trave
Summo Numina, quae folio septem sunt proxima Arcamo, et puro sunt veneranda loco
Dopo che il monastero ebbe raccolto molte elemosine, tra le quali quelle di Filippo III, di don Ettore Pignatelli (nipote del fondatore) e molti altri, fu intrapresa la costruzione della nuova chiesa; la prima pietra fu posta dall'arcivescovo di Palermo, D'Ajedo davanti ad una gran folla il 18 marzo 1599. Essendo l'arcivescovo devoto dei Settangeli, chiese di dedicare una cappella, all'interno della Cattedrale, a San Michele arcangelo oltre a far dipingere altri sei Angeli al palermitano Giuseppe Albina detto il Sozzo.
Iniziati i lavori per la nuova chiesa, fu concesso lo Juspatronato del Cappellone a don Ettore Pignatelli che contribuì con il pagamento di once 400, atto di concessione fatto dal monastero ad Alfonso Posterla commissionato dal duca e rogato dal notaio Rocco Scoferio di Palermo il 13 marzo 1601; ratificato dal duca il 10 aprile 1602 a Napoli con atto del notaio Paolo di Rinaldo. I lavori eseguiti con dovizia, furono velocemente terminati e il 2 aprile 1612, giorno in cui si festeggiava San Francesco di Paola, fu aperta solennemente la chiesa, sempre dedicata ai Sette Angeli.
Al tempo in cui scriveva il Mongitore, la nuova chiesa aveva, in corrispondenza dell'antica porta della chiesa di S. Giovanni, la cappella di San Francesco di Paola. Tra la chiesa di San Giovanni e la primitiva chiesa dei Sette Angeli era posta una strada, la via Sant'Oliva, che iniziava in corrispondenza della porta maggiore e del coro, della nuova chiesa, terminando in corrispondenza delle mura del complesso gesuitico, via Gambino (oggi via delle Scuole), la via fu incorporata negli edifici dopo che il monastero ottenne l'autorizzazione dal Senato palermitano. In questi luoghi, nell'ottobre 1708 durante i lavori di scavo per le nuove sepolture delle religiose, vennero alla luce precedenti sepolture tra cui una particolarmente ricca; presentava sul corpo oltre a ricche vesti, un'ampolla "di odorosissimo balsamo in bocca" (Mongitore 1726, p. 118; Palermo 1858, p. 622).
Un nuovo ampliamento si ebbe grazie all'acquisto da parte di questo monastero della chiesa di Santa Maria Maddalena, che faceva anche questo parte delle proprietà dei Castrone, atto redatto l'8 giugno 1666 dal notaio Giuseppe di Giorgio; anch'esso fu adeguato per essere utilizzato per la clausura, demolendo alcuni anni dopo, il passaggio che la univa al palazzo dei Castrone (Emanuele e Gaetani 1873, III, p. 296, n. 1).
La chiesa aveva due uscite, la principale apriva a settentrione ed era arricchita da elementi in marmo grigio, aveva posto sul portale un medaglione di marmo bianco su cui era scolpito un bassorilievo, raffigurante il busto di San Francesco di Paola, mentre sull'altra porta, un altro medaglione conteneva lo stemma della famiglia Pignatelli che ne avevano il patronato. Entrando all'interno, una colonna di ordine corinzio sorreggeva i due archi posti sotto il coro delle monache, mentre l'acquasantiera era sostenuta da un angelo di marmo bianco. Gli elementi che decoravano la chiesa erano in stile composito; la navata presentava una volta a botte, mentre all'interno le cappelle presentavano elementi decorati in ordine dorico. L'altare maggiore era arricchito da pietre dure e il tabernacolo e il baldacchino anche in argento, alla parete una copia del quadro dei Settangeli, forse lo stesso attribuito all'Ainemolo (Emanuele e Gaetani 1873, III, pp. 298; Palermo 1858, p. 623).
Cinque cappelle completavano la chiesa, tre dal lato del Vangelo e due dal lato epistola: la prima, sul lato destro era dedicata alla Sacra Famiglia di Gesù Cristo, la seconda a San Francesco di Paola dove era conservato il busto in terracotta del Santo, opera attribuita al palermitano Vincenzo Gagini, questa cappella fu ricomposta nel 1740, inserendovi quattro colonne in "cotognino", sempre dal medesimo lato la terza era dedicata alla Vergine del Rosario. Sul lato sinistro, prima vi era quella del SS. Crocifisso, seguiva in corrispondenza della seconda, la porta della chiesa su cui si leggeva "Septem Militiae Coelestis principibus, Divinae Majestatis Statoribus, caeli terraeque Gubernatoribus, a fundamentis erexit, perpetuo vectigali donavit anno 1527 Ector Pignatellus Dux Montisleonis Prorex Siciliae, quod regnum eum prudenter ac feliciter pacavisset duo de vigenti annos bene sapienterque rexit". Dopo la porta, la cappella dedicata a san Giovanni Evangelista e san Luigi Gonzaga, cui era legato il beneficio della chiesa di San Giovanni del Piano, appartenente alla famiglia Imperatore e Jannuzzi. La volta della chiesa presentava un affresco dipinto nel 1738, mentre nella sacrestia vi era il cenotafio di marmo di don Graziano del Castrone (Palermo 1858, pp. 623-624). - Patrimoni Artistic
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All'interno del monastero erano conservate molte reliquie di santi locali e non, specialmente dell'eremita San Francesco di Paola, tra cui la più rilevante una lettera inviata alla comunità di Corleone, incorniciata in argento (Arturo 1657, p. 129; Mongitore 1726, p. 143).
Bibliografia i enllaços
- Bibliografia
-
Consolo, V., De Seta, C., Leone, G., 1990. Sicilia, teatro del mondo, Torino: Nuova Eri Edizioni Rai.
Pirri, R., 1773. Sicilia Sacra disquisitionibus et notitiis illustrata, vol. I, Palermo.
Mongitore, A., 1719. Palermo divoto di Maria Vergine, e Maria Vergine protettrice di Palermo. Opera di D. Antonino Mongitore... Tomo primo [-Tomo secondo], Bayonad1729-1720.
Bagatta, G.B., 1700. Admiranda orbis christiani, quae ad Christi fidem firmandam... Ea... collegit... JB Bagatta…, JC Bencard.
Di Marzo, G., 1859. Delle belle arti in Sicilia dai Normanni sino alla fine del secolo-[XVI]: Dai Normanni sino alla fine del secolo XIV, Palermo: S. di Marzo.
Girardi, F., 1653. Diario delle cose piu illustri seguite nel mondo diviso in quattro parti composto dal P. Felice Girardi della comp. di Giesu all'illustrissimo, et eccellentissimo signore Nicolo Giudice…, Napoli: appresso Roberto Mollo.
Paruta, F., Palmerino, N., 1886. "Diario della città di Palermo da’ manoscritti di Filippo Paruta e di Niccolò Palermitano 1500-1613", Di Marzo, G. (ed.), Diari della Città di Palermo: dal secolo XVI AL XIX pubblicati sui manoscritti della Biblioteca comunale, Palermo, Luigi Pedone Lauriel: ?
Di Giovanni, V., 1872. "Del Palermo restaurato libri quattro", Di Marzo, G. (ed.), Biblioteca storica e letteraria di Sicilia ossia Raccolta di Opere inédite o rare di Scrittori siciliani dal secolo XVI al ХIХ, II (I), Palermo: Lauriel.
Mongitore, A., 1726. Historia del ven. monastero de’ sette angioli nella città di Palermo, dell’ordine delle minime di s. Francesco di Paola colle memorie delle religiose illustri in santità, che in esso fiorirono. Scritta da d. Antonino Mongitore canonico della santa metropo, Palermo: per Gio. Battista Aiccardo.
Pitrè, G., 1944. La vita in Palermo cento e più anni fa, Firenze: G. Barbèra.
La Duca, R., 1975. La città perduta: cronache palermitane di ieri e di oggi, Napoli: Edizioni scientifiche italiane.
Emanuele e Gaetani, F.M., 1873. Il Palermo d’oggigiorno, o sia topografia sicola storica della città di Palermo ... secondo lo stato presente 1788, in cui scrive il Villabianca ... Opere storiche inedite sulla città di Palermo ed altre città siciliane, pubblicate suʼ manoscritti della Biblioteca Comunale, precedute da prefazioni e corredate di note 5.
Bagatta, G.B., 1700. Admiranda orbis christiani, quae ad Christi fidem firmandam... Ea... collegit... JB Bagatta…, JC Bencard.
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Pitrè, G., 1944. La vita in Palermo cento e più anni fa, Firenze: G. Barbèra.
- Enllaços
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Monastero di san Giovanni dell'Origlione.
- Paraules clau
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Isabella Sciarratta Dignamerita Gugliazzo Marta Grugno Francesca Arrigo Brigida Piglione Ninfa Scolaro Cornelia Bancheri Dorotea La Grutta Marina San Giorgio Ettore Pignatelli, don Diego d'Ajedo Arcivescovo di Palermo,
- Geogràfics
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Sicilia
- Notes
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Trascrizione della pergamena conservata nel monastero dei Sette Angioli, trascritto dall'Ufficio del Maestro Notaio del Senato palermitano il 27 febbraio 1541. In nomine SS. et Individuae Trinitatis Patris, Filii, etSpiritus Sancti. Amen. Anno ab Incarnatione Salutifera millesimo quingentesimo stigesimo nono, mense Maii, die verò 30, ejusdem mensis, Regnatibus Serenissim, et invictissimis, ac potentibus Dominis nostris, Dominis Carolo Divina favente Clementia Romanorum Imperatore semper Augusto, Joanna ejusdem Caroli matre, eodemque Carolo primogenito filio, Regibus Castella, Aragonum, utriusq; Siciliae, et Hierusalem feiciter. Amen. Nos Antoninus la Vancara, unus ex Judicibus Ideotorum Regiae Curiae, Praetoris felicis urbis Panormi praesentis anni, Gaspar Pandolphus ortus, civisque Panormi, eiusdem Notarius publicus, et Clericus Panormitanus, Regia auctoritate per totam vallem Mazariensem hujus Siciliae Regni, cum authoritatibus registrari, et faciendi, Judex ordinarius, atque tabellio, ut dictum, publicus, et testes rogati specialiter, atque votati: Praesenti exemplum per me praedictum, et infrascriptum Notarium extractum, et exemplatum ex quodam actu confirmationis, pro ut in eo, facto in actis meis die 17. Maii 12. ind. praemissa, ad instantiam Ven. Monasterii Septem Prinpipum Angelorum, cum nota ratificationis in pede die 29. ejusdem mensis, benè, fideliter, et legaliter, ad in stantiam, et requisitionem Ven. et devoti Monasterii praedicti, nibilo per nos in eis addito, diminuto etiam, seu mutato, quod sensum mutet, viciet, vel variet intellectum, Judiciaria authoritate interposita, ut tanta fides eis adhibeatur, et adhiberi debeat in judiciis, et extra, quanta adhibetur, et adhiberi debet originalibus, et exemplaribus actis meis: cujus exemplaris actus confirmationis cum nota in pede tenor in omnibus, et per omnia, de verbo ad verbum est hujusmodi sub tenore, videlicet. Die 17 Maii 12. ind. 1539. declarando cunctis ejusdem serie lecturis, visuris, pariter his temporibus retro elapsis quondam Illustriss. Dominus D. Hector Pignatellus Dux Montisleonis, Vicerex, et Capitaneus Generalis Caesareae Majestatis Imperatoris, et Domini nostri Regis Caroli hujus inclyti Siciliae Regni ultra pharum, ob devotionem, quam assiduè gerebat erga gloriosos Septem Principes Angelorum, quorum ministerio, et custodiae animae nostrae committuntur, in Confraternitatem Imperialem Confratrum, et disciplinantium Venerabilem Cappellam, sive Ecclesiam dictorum Septem Principum Angelorum fundatam in hac urba felici Panhormi, in urbe antiqua Cassari propè tribunam majoris Panormitanae Ecclesiae, via intermedia introduxit: indeque ipse quondam Illustriss. Dominus videns dictam Ecclesiam. et Confraternitatem in dies augmentari, in aeque divinum cultum frequentiùs extolli, ut cultus Divinus sigulis in ea diebus sine aliqua intermissione frequentaretur, et augeretur, à Reverendiss. Domino Archiepiscopo Panormitano, seu ejusdem R. Domino Vicario Generali dictae Ecclesiae, et Confraternitatis juspatronatus, electionem, et praesentationem obtinuit, in vim literarum datarum in Curia Archiepiscopali hujus urbis die et c. illamque quidem dotavit in unceis triginta reddituum annualium, quas constituit, et imposuit Illustrissimus ipse, de et super juribus, et proventibus granorum quatuor, debitorum singulis annis, et in futurum solvendarum quondam ipsi Illustriss. et successoribus suis, ex omnibus portis, et Carricatoriis hujus Regni Siciliae, virtute Caesarei privilegii dati in urbe Granatae die 17. Decembris indictionis 15. proximè elapsae, solvendis annis singulis in perpetuum unciis duodecim p.g. Rectoribus dictae Confraternitatis ad opus, et essectum emendi frumentum erogandum pauperibus, et Cofratribus dictae Confraternitatis anno quolibet; et unciis decem et octo Beneficiali ipsius Ecclesiae per Illustrissimum Dominunt, et successores suos eligendo, et ad opus infrascriptum, scilicet, unceis quinque dicto Beneficiali pro tempore existenti, et unciis novem pro tribus Sacerdotibus, et unciis duabus uni Clerico servienti eidem Ecclesiae, et unciis duabus pro cera, et oleo eidem Confraternitati necessariis quod idem Beneficialis, ipsique tres Sacerdotes fuissent obligati, et deberent quolibet die, sine aliqua intermissione in Altari majori dicta Cappelle celebrare duas missas, unam ad laudem, et festivionem gloriosissimae omni gratia plena, et omni labe exemptae Mariae Verginis humani generis Advocate: et alteram dictorum septem Principum Angelorum, quorum ninisterio, et custodia animae nostrae committuntur. sub pactis, legibus, et conditionibus contentis, et expressatis in contractu hujusmodi donationis, et dotis reddituum praedictorum celebrato manu nobilis, et egregii Notarii Joannis de Marchisio die 20. Septembris 1527. ind. primae proximae elapsae. Cujus quidem contractus vigore dictus Illustriss. quondam elegit in Beneficialem ejusdem Cappellae presbyterum Antonium lo Duca, sub legibus, et condictionibus in eodem contractus contentis. Quibus donatione, et electione factis, et dictis Beneficiali, et Sacerdotibus perseverantibus in ejusdem Ecclesiae servitio, etdivinis officiis vacantibus, devotio sidelium in eadem Ecclesia miram in mondum extitit extoltam, et accrevit: unde Illustrissimus ipse quondam in aedem Ecclesia multitudinem fidelium confluere, devotionemve dictorum septem Principum Angelorum in dies extolli, et accresci videns, Spiritu Sancto coopernte, à quo cuncta bona procedunt, et per quem omnia facta sunt: dictus Illustrissimus extitit contentus, quod salvo semper, et omni futuro tempore ipsi Illustrissimo, et successoribus suis in futurum, dicto jurepatronatus, ex dicta Ecclesia fieret Monasterium Monialium viventium sub regula Divi Francisci de Paula: et propterea Rectores, et Confratres ipsius Confraternitatis cum voluntate ipsius Illustrissimi, salvo semper dicto jurepatronatus, concesserunt dictam Ecclesiam Spectabili Domino D. Blasco de Branchiisfortibus Domino Cammaratae, et Tabarum, et magnifico Domino Hieronyeno de Caprona U. J. D. veluti procuratoribus dicti Ordinis S. Francisci de Paula, eorumque sucessoribus procuratoribus pro tempore existentibus, ad opus, et effectum, ut in ea construeretur, et aedificaretur dictum Monasterium; et pro ut de dicta concessione apparet, virtute in strumenti celebrati manu nob. et egregii Notarii Petri Zuppello die 7 Maii 2. ind. 1529. et virtute alterius instrumenti celebrati in actis magnifici Jacobi de Scavutio Notarii publici die 15. Martii 2. ind. 1529. Qui quidem Sp. Dominus D. Blascus, et Dominus Hieronymus nominibus praemissis construxerunt, et aedificaverunt in aedem Ecclesia dictum Monasterium, in quo modo Moniales XXV. adsunt, et vivunt sub regula dicti Divi Francisci, et considerans tunc dictus quondam Illustrissimus ad regulam, et vitam dicta recentis Religionis, Monialiumque ejusdem paupertatem, et inopiam, in tantum quod nisi Christi fideles manus adjutrices, et pias porrexissent, in eodem Monasterio vivere non potuissent circa promissa astantes: necnon etiam quod secundùm regulam non possunt alii Sacerdotes eisdem Monialibus missas celebrare, et alia divina officia, et sacramenta ecclesiastica eis subministrare, nisi Fratres Religionis praedictae; quia dicta regula non patitur, quod Sacerdotes alterius regulae sive Religionis in Monasteriis Ordinis dicti Divi Francisci de Paula missas celebrare, et alia divina officia subministrare, et aliis respectibus; deliberavit Illustriss. ipse, salvo semper sibi, et successoribus suis dicto jurepatronatus; et habita prius licentia, et reservato consensu dicti Beneficialis electi per eumdem Illustriss. et habita tamen prius pro cassa, irritata, et nulla dicta donatione per ipsum Illustriss. facta de dictis unciis triginta, prout dictum est, et non aliter, nec lio modo; dictas uncias triginta annuales deliberavit dare supradictis Sp. et Magn. Procuratoribus Ordinis praedicti S. Francesci ad opus subnotatum, videlicet, unciae decem, ut Fratres dicta Religionis commorantes extra moenia felicis urbis Panormi, in Monasterio S. Olivae, perpetuis temporibus die quolibet sine aliqua intermissione tenerentur, et deberent in eadem Ecclesiaseptem Principum Angelorum in Altari majori dictae Ecclesia celebrare dictas duas missas, ut supra, necnon et sacramenta ecclesiastica, et alia spectantia ad Divinum cultum eisdem Monialibus ministrare: et reliquas uncias viginti ad essectum, ut Procuratores ipsius Oridinis tenerentur, et deberent perpetuis temporibus illas quolibet anno convertere, et erogare pro victu, vestitu, et aliis rebus necessariir dictis Monialibus pro tempore existentibus in dicto Monasterio, etviventibus sub regula dicti S. Francisci, et non aliter, nec alio modo. Quae Moniales intrantes in dictum Monasterium tenerentur, et deberent perpetuis temporibus vivere sub regula, et observantia regula dicti Divi Francisci de Paula: alias contravenientibus circa poaemissa, quod praedictus contractus intelligeretur cassus ipso jure, et ipso facto incontinenti: et ipsi redditus non fuissent amplius solvendi, sed reverterentur in dominium, et possessionem ipsius Illustris. et successorum suorum, ad opus illas convertendi in alia pia opera ad ejus, et suorum electionem: etiam si dictae Moniales non vixissent sub dicta regula, et observantia dicti S. Francisci de Paula cum consensu, et dispensatione dicti Summi Ponteficis. Et his per modum, ut supra adimpletis, ipsas uncias triginta dedit ipsis Dominis Procuratoribus, procuratoriis dedit nominibus, ad opus, et essectum superius praenarratum, prout praemissa omnia, et alia clarè patent, et contineri videntur auctoritate contractus, facti in actis nob. et egregii praedicti Notarii Joannis de Marchesio die etc. Et rebus sic stantibus in vim cujusdam actus facti in actis meis infrascripti Not. 11 Maii 11. ind. 1538. in praesetia Magnifici, et Reverendi D. Hieronymi de Termis, Decani Majoris Panormitanae Ecclesiae, et Vicarii Generalis Reverendiss. Domini Archiepiscopi Panormitani, fuit per dictum Rev. D. Antonium de Duca Archipresbyterum terrae Caccabi Dioecesis Panormitanae, et Rectorem S. Margheritae Panormitanae, et Rectorem S. Margarithae Panormi, dictum Beneficium, dictaque Cappellania relictum, et relicta ipsi Monasterio Monialium sub Ordine S. Francisci de Paula, sub vocabulo Septem Angelorum, prout constat in vim dicti contractus dimissionis, relaxationis, et cessionis, et prout in eo, ad quem, quatenus expedit, relatio habeatur, ex quo per Fratres dicti Ordinis celebrantur et missae, et alia divina ossicia ministrantur, et modo restat tantummodo praemissa omnia confirmari auctoritate apostolica. Unde Magnificus D. Guillelmus Grugno Imperialis Miles, nomine, et pro parte Magnifici Jo: Petri Zavatteri Procuratoris ipsius Monasterii, à quo asservit habere speciale mandatum: et nibilominus pro eo de ratho promisit, juxta formam ritus etc. volens poaemissa confirmanda fore austoritate ordinaria, et per Reverendum Dominum Vicarium Dioecesis Panormitanae, antequam auctoritate apostolica confirmentur, accessit personaliter ad dictum Reverendum, et Magnificum Don Hieronymum de Termis Decanum Majoris Ecclesiae Panormitanae, et Vicarium Generalem totius Dioecesis Panormitanae etc. cui in Domino praemissa narrando confirmari dicto nomine commendavit: qui quidem Reverendus Dominus Vicarius audiens praemissos pios cogitatus, auspicio, et nomine Altitonantis Dei, con Siderans praemissa confirmare, quatenus ad se spectat, consentaneum fore, stium, qui fidelium precibus propter eorum nimiam charitatem, ut fidelium existant defensores, extitit contentus. Propterea praemissa omnia in praesentia subnotatorum testium uno contestu, unoque loco, et tempore collectorum, vocatorum pariter, et rogatorum palam enucleata, ita se habere, et esse dixerunt. Renunciantes exceptioni etc. Ideo hodie die qua supra, et in principio hujus veri, et publici in strumenti ad rei futuram memoriam confecti, adnotata, Nos praedictus Reverendus Dominus Hieronymus de Termis Decanus Panormitanus, et Reverendissimi Domini Joannis Carandoletti, Dei, et Apostolicae sedis gratia Archiep. Panormitani, in spiritualibus, et temporalibus Vicarius Generalis, praemissa sui Pastoris indigere confirmatione, et ad Pastoralem curam spectare, pro veneratione tantorum Principum Caelestium, qui sidelium precibus propter eorum nimiam moventur charitatem, ut ipsorumque existant defensores, omniaque auctoritate ordinaria possunt concedi, et confirmari, ad fundationem, confirmationem, et creationem dicti Monasterii nullo pacto considerantes deneganda fore, tenore praesentium ad instantiam, et requisitionem praesati Domini Procuratoris praemissi Ordinis S. Francisci de Paula, ratificamus, laudamus, confirmamus penitus, et acceptamus de verbo ad verbum, singula singulis referendo; ratione tamen obedientiae, et Superioritatis SS. Domino nostro Pontifici, et Illustriss. Domino Archiepiscopo Panormitano, et successoribus eorum confirmationem, juxta formam Canonum reservantes. Mandantes propterea praesentium serie universis, et singulis subditis nostris, quatenùs praedictam nostram ratificationem, confirmationem, et per quoscumque observari faciant, subpoena excommunicationis latea sententia. In cujus rei testimonium praesens infstrumentum fieri, scribi, et publicari per praedictum, et infrascriptum Gasparem Pandolphum in causa scribam deputatum, Notarium publicum, Clericum nostrum Panormitanum, jussimus, et mandavimus. Unde et c. Praesentibus REv. Joseph de Joseph Clerico Panormitano. M. Bernardo de Jordano, Ven. Presbytero Antonino de Michele, et Nob. Vincentio Migliazo testibus rogatis die XXVIIII. Maii XII. ind. 1539. currentis, lecto, et declarato toto tenore proximi contractus, et toto eo, quod in eo continetur in vulgari sermone de verbo ad verbum ut jacet, nob. et egregio Not. Jo: Francisco la Panittera praesenti, et audienti, veluti legitimo, et idubitato Procuratori noviter constituto per Reverendam Dominam Sororem Dignammeritam de Gugliuzo Correctricem praefati devoti Monasterii Septem Principum Angelorum, ad hoc, et alia faciendum auctoritate procurationis, factae circa revocationem aliorum procuratorum praeteritorum ipsius Monasterii, auctoritate publici inandati, et documenti facti in egregii Notarii Jacobi de Capoblanco 20. die currentis mensis, et per eum bene intellecto, ut asseritur, nomine dicti devoti Monasterii, in nostra praesentia personaliter constitutus, ipse nob. Procurator Spontè proximum actum confirmationis, omniaque, et singula in eo contenta, posita, scripta, et declarata, singula singulis referendo, quatenus juris est, ad majorem cauthelam, quae nunquam obesse solet, ratificavit laudavit, et confirmavit, ac ad unguem approbavit: necnon ratificat, laudat, approbat, et plenissimè dicto nomine confirmat, juxta sui seriem, continentiam, et tenorem pleniorem, in omnem eventum et c. promisit dicto nomine rata habere et c. In pace et c. sub hypoteca, et obligatione et c. Renuntians dicto nomine et c. praedicta attendere et c. Juravit nomine praemisso et c. unde et c. Praesentibus ibidem viris infrascriptis, videlicet nobilus Michaele de Marino, Jo: Jacobo de Andrea, et Gabriele de Leo testibus. Unde ad hujus rei futuram memoriam, et tam dicti Monasterii, cujus interesse poterit quomodolibet in futurum, me Notario pro eis stipulanti, factum est praesens publicum confirmationis instrumentum, in praesenti forma publica, nostrum qui supra Judicis, et testium infrascriptorum subscriptionibus roboratum. Actum in urbe felici Panormi, in aedibusque dicti Reverendi Vicarii die, mense, et indictione cum millesimo praemissis. Ego Antoninus la Vancara Judex, qui supra me subscripsi. Ego Not. Antoninus de Jacono Panormitanus praedictum exemplarem actum ratificationis in pede vidi, legi, et me subscripsi. Ego Not. Joannes Andreas Lucidus de Panormo praedictum exemplarem actum ratificationis, et confirmationis, cum nota ratificationis in pede vidi, legi, et me subscripsi. Ego Not. Joannes Matthaeus de Miroldo praedictum exemplarem actum ratificationis, et confirmationis, cum nota ratificationis in pede vidi, legi, et me subscripsi. Ego Not. Alphonsus Gavarretta Panormitanus praedictum exemplarem actum ratificationis, et confirmationis, cum nota ratificationis in pede vidi, legi, et me subscripsi. Ego Not. Joannes de Fiarrantino Panormitanus praedictum exemplarem actum ratificationis, et confirmationis, cum nota ratificationis in pede, vidi, legi, et me subscripsi. Ego Gaspar Pandolphus ortus, civisque Panormitanus, qui supra, Notarius, atque tabellio publicus, Iudexque etenim ordinarius, et Clericus Panormitanus praemissis omnibus, et singulis, dum sic fierent, et agerentur, una cum praenominatis te stibus interfui, eaque sic fieri vidi, et audivi, in notam sumpli, scripti, et publicavi, ex quo hoc praesens publicum instrumentum exempli publicatum in praesentem publicam formam manu Scriptoris aliis occupatus negotiis in praesenti pergameno copiari feci, auctoritatibus regia, imperiali, et apostolica mihi largitis. Ideo me subscripsi, meoque solito signo siganvi in fedem, et testimonium veritatis, et omnium, et singulorum praemissorum rogatus, et ubi legitur: extitit extolta, et non vitio, sed Scriptoris errore. Universitas felicis urbis Panormi: cunctis pateat praesentes inspecturis, qualiter egregius Notarius Gaspar Pandolphus, qui fuit, et est concivis noster charus, publicus Notarius in hac urbe, actis cujus adhiberi consuevit plena fides: et in testimonium praemissorum praesentes fieri jubsimus, sigillo dicta Universitatis, quo utimur munitas. Panormi die XXVII. Februarii XV. ind. 1541. Amari Magister Notarius. + Loco Sigilli Allegato 2 Bolla di Paolo III redatta in Roma il 12 giugno 1542. Paulus Episcopus Servus Servorum Dei, dilectis in Christo filiabus Correctrici, et Conventui Monasterii Monialium, per Correctricem soliti gubernari, Septem Principum Angelorum nuncupati Panormitani, Ordinis Sancti Francisci de Paula, sub cura Fratrum Ordinis Minimorum degentium, salutem, et Apostolicam Benedictionem. Cùm à Nobis petitur quod justum est, et honestum, tam vigor aequitatis, quàm ordo exigit rationis, ut per sollicitudinem officii nostri ad debitum perducatur effectum. Exibuta Nobis nuper pro parte vestra petitio continebat, quod postquam bonae memoriae Hector Pignatellus, carissimi in Christo filii nostri Caroli Romanorum Imperatoris semper Augusti in Regno Siciliae ultra Pharum, dum viveret, Vicerex, et Capitaneus Generalis, pia devotione ductus unam Confraternitatem. ordinaria auctoritate instituerit, et datis per eum certis annuis redditibus in celebratione duarum missarum, in Altari majori ejusdem Ecclesiae sub certis modis, et formis, et diebus, etiam tunc expressis celebrandarum, ac quosdam alios pios usus similiter tunc expressos erogandis, sub patronatus, et praesentandi Rectorem, sive Cappellanum perpetuum ad protempore occurrente, sibi, et successoribus suis, aedem auctoritate reservari obtinuerit; Rectores dicta Confraternitatis pro Divini Cultus augmento Ecclesiam, sive Cappellam praedictam de ipsius Caesaris dotantis consensu, salvo Jurepatronatus, et praesentandi hujus sibi, et successoribus suis praedictis desuper praestito Blasco de Brancifortibus, et Hieronymo de Caprono Ordinis Minimorum Procuratoribus ad essectum, et vestrum Monasterium praedictum in eadem Ecclesia construeretur, prout postmodum, sicut asseritis, constructum exititit, annuis redditibus praedictis pro Missis superius expressis, per Fratres dicti Ordinis modo, et vestitu Monialibus celebrandis, ac victu, et vestitu Monialibus in eodem Monasterio pro tempore existentibus subministrandis; nonnullis conditionibus, et qualitatibus per ipsum Hectorem, tunc adjectis dicta ordinari auctoritate interveniente concesserunt, prout in instrumentis publicis. Quae omnia à nobis Apostolico petistis munimine roborari. Nos igitur vestris justis postulationibus grato concurrentes assensu, ea quae circae praemissa eadem ordinaria auctoritate interveniente piè, ritè, et perinde gesta sunt, et in alterius praejudicium non redundant, rata, et grata habentes, illa vobis auctoritate apostolica confirmamus. Nulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam nostrarum confirmationis, et communiminis infringere, vel ei ausu temerario contraire. Si quis autem hoc attentare praesumpserit, indignationem Omnipotentis Dei, ac Beatorum Petri, et Pauli Apostolorum ejus se noverit incursurum. Dat. Romae apud Sanctum Marcum Anno Incarnationis Dominicae millesimo indus Junii Pontificatus nostri anno octavo.






